21 (Parte Prima)

20 8 1
                                    

Shree si lasciò indietro l'ultimo degli edifici con una certa titubanza. La nebbia si era ispessita, fagocitando le case più lontane, e uscire dal villaggio le diede la sgradevole sensazione di immergersi nel nulla. In breve, perse ogni coordinata.

"Forse dovrei tornare indietro e aspettare che il tempo migliori...". Immobile sotto l'acqua, si prese un minuto appena per soppesare i pro e i contro. Poi optò per la soluzione più ovvia: tornare indietro. Prima, però, estrasse la spada. C'era qualcuno là, qualcuno che aveva preso Gleb e l'aveva ucciso. Non aveva alcuna intenzione di fare la stessa fine. Si sarebbe invece infilata nella prima casa deserta e avrebbe atteso che il tempo migliorasse.

Nell'istante in cui mise di nuovo piede nel villaggio, un brivido le serpeggiò lungo la schiena. Aveva le mani intirizzite e non si sentiva più i piedi. Si avvolse nel mantello fradicio, non ottenendo altro che un nuovo brivido gelido.

I suoi passi erano solo uno sciacquio nel fango. Gocce gonfie tremolavano su tetti in rovina, per poi staccarsi e svanire inghiottite dalla nebbia, in un silenzio irreale. Il cuoio dell'impugnatura le diede un certo vago sollievo. Qualunque cosa ci fosse stata ad attenderla, l'avrebbe trovato pronta. Shree Hildwike avrebbe venduto cara la pelle. Avanzò come una figura spettrale, il volto pallido, il respiro che le si condensava in impalpabili cirri trasparenti. Inspirò per chiamare Gleb, ma cacciò via l'aria senza aver pronunciato una sola lettera. Gridare non le sembrò una buona idea. Fosse stata più onesta con se stessa, avrebbe ammesso che aveva paura.

All'improvviso le sembrò di udire un rumore. Tese le orecchie, ricevendone in cambio solo silenzio. Riprese ad avanzare e il rumore tornò, questa volta più lieve, quasi sussurrato. Proveniva da una casa poco distante.

Attenta a non calpestare le pozzanghere più grosse, scivolò fin quasi sulla soglia dell'edificio. Aggirò la porta e si appiattì contro una delle pareti, come aveva imparato dai topi nei vicoli luridi di Valissa quand'era ancora una bambina. Poggiò infine un orecchio al muro, avvertendo il legno bagnato contro il viso. Non le ci volle molto per udire alcune voci. Non riuscì a distinguere le parole, così cercò una fessura e guardò dentro.

Riconobbe Gleb immobile in un angolo. Di fronte aveva una donna con indosso un vestito ridotto quasi a brandelli; accanto a lei stavano due uomini, uno alto e magro, l'altro magro perfino più del primo, ma molto più basso. Le sembrò che stessero parlando con lo schiavo, nessuno dei tre era armato. Bastò quel dettaglio a convincerla che poteva anche rischiare.

Scivolò sinuosa. Pochi istanti e raggiunse l'uscio. Inspirò e infine mollò un calcione alla porta. Schegge volarono per la stanza e il legno crollò sul pavimento in uno sbuffo di muffa e con un frastuono infernale.

Le tre persone si voltarono nella sua direzione. Lei sollevò la spada tanto per essere sicura che la vedessero. Poi mosse un passo in avanti a dimostrare che non aveva paura di usarla. La donna arretrò. I due uomini la fissarono con un'espressione rabbiosa.

«E... tu chi sei?», quello più alto e magro parlò esitante. Non sembrava spaventato, forse solo preoccupato.

«Non ha importanza. Lasciate andare lo schiavo», disse facendo un cenno a Gleb.

Il ragazzo annuì e sgattaiolò fino a lei.

«Noi adesso ce ne andiamo, voi non azzardatevi a seguirci. Se lo fate vi ammazzo tutti. A cominciare dalla donna».

«Se vuoi andartene, quella è la porta. Ma noi non avevamo alcuna intenzione di fare del male al tuo amico. È stato lui a entrare in casa nostra senza alcun permesso. Noi siamo stati anche troppo gentili. Saranno pure tempi terribili, ma questo non lo autorizza a frugare fra le nostre cose. Lui, invece di darci una spiegazione, si è messo a gridare. Credo che gli manchi qualche rotella...».

PestilentiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora