23 (Parte seconda)

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Il cavaliere sentì il gelo mordergli il petto e l'addome, nell'istante in cui la lama lo metteva a nudo. L'uomo sorrise di quel suo sorriso deforme. Poi aggirò il palo e il cavaliere sentì la lama gelida posarsi sul suo collo. Fu una sensazione spiacevole, che gli drizzò i capelli sulla nuca. L'acciaio cominciò a scivolare lungo la schiena, accompagnato dal nuovo lacerarsi dei vestiti.

In pochi istanti, fu a petto nudo. Sentì il cuore accelerare i battiti, mentre l'altro ricompariva davanti a lui. Lo vide fare l'occhiolino in direzione della folla, mentre giocherellava col coltello. Infilò quindi la lama tra i calzoni e la pelle. Di nuovo il contatto con l'acciaio gelido gli mozzò il respiro. Non poté ignorare la vicinanza del coltello con la zona del pube. L'uomo sembrò rendersi conto del suo terrore, perché sollevò la testa a guardarlo, mentre il sorriso assumeva un'espressione sadica.

Poi affondò deciso. La lama scese lungo la gamba e i calzoni si aprirono. Eckhard sentì il freddo risalirgli lungo la coscia. L'uomo continuò sull'altro lato. In un attimo, si ritrovò nudo. Gli sguardi della folla si concentrarono su di lui, come la sua nobiltà lo rendesse diverso ai loro occhi anche nelle zone intime.

Quanto a Eckhard non provò vergogna, ma solo fastidio. «Fermo!».

L'ordine bloccò l'altro un istante, prima che affondasse il coltello. L'uomo obbedì, senza riuscire a trattenere il proprio disappunto. Inspirò come per obiettare, ma il sacerdote non gli diede il tempo. Gli si avvicinò e lo spostò con un gesto brusco che per poco non lo fece cadere. L'uomo grugnì la sua protesta ed Eckhard non riuscì a decidere se fosse dovuta a quel trattamento o al fatto che avesse interrotto il suo gioco perverso.

«E questo che cos'è?».

L'eco della voce del sacerdote non si era ancora spenta, che lui si sentì afferrare il braccio.

«Rispondi! Ti ho chiesto che cos'è questo?!», ripeté girandogli l'arto fino a strappargli un gemito. Le dita ossute del sacerdote sembravano quasi voler affondare nella carne.

Eckhard voltò la testa fino a incontrare il tatuaggio sull'avambraccio sinistro. «Sono certo che lo sai», disse solo.

Il sacerdote gli lasciò il braccio e arretrò di un passo, a fissarlo negli occhi. «Tu non sei un comune cavaliere...».

Tacque e sollevò un sopracciglio in un gesto sprezzante. L'uomo che gli era di fronte sembrava aver perso tutta la sua sicurezza. Lo vide sollevare la mano e stringere il simbolo sacro di Nergal.

«Tu non sei un comune cavaliere», ripeté. «Tu rispondi solo a Nergal, sei uno dei suoi prescelti. Io... noi...». Sentirlo balbettare non doveva accadere spesso, perché tra la folla si alzò un mormorio stupito. «Sei uno dei pochi che io e la mia gente rispettiamo», riprese infine. «Liberatelo!».

I due uomini che stavano per bruciarlo si guardarono perplessi. Poco più indietro, il rumoreggiare della gente si fece più forte. «Ho detto liberatelo!», ripeté il sacerdote. Questa volta i due obbedirono all'istante. «Ridategli le sue cose. La cotta di maglia, i vestiti, il mantello, le armi... Tutto! E trovategli un paio di calzoni, per l'amore di Nergal!», il sacerdote sembrava mortificato per averlo quasi arso vivo.

Di nuovo libero, Eckhard gli andò incontro. «Mi ridarai anche il mio cavallo?».

Non restò ad attendere la risposta. Lo oltrepassò e raggiunse Blake, inginocchiandosi accanto all'animale. Gli poggiò una mano sul ventre e lo sentì tiepido. Non si preoccupò delle occhiate aggressive e interdette di quella folla di disperati. Chiuse invece gli occhi e mormorò una silenziosa preghiera. Gli animali non accedevano al regno celeste di Nergal, lo sapeva bene. Ma dentro di sé era comunque convinto che il dio, nella sua infinita misericordia, avesse creato un luogo dove l'anima di creature degne come Blake potesse trascorrere l'eternità.

«Addio, amico mio. Ma solo per un po'», gli sussurrò prima di rialzarsi.

Una figura arrancò verso di lui. Fra le mani tremanti aveva ammucchiato tutte le sue cose.

Eckhard le prese e cominciò a rivestirsi, a partire da un paio di calzoni lerci che, a giudicare dall'odore, dovevano essere stati strappati a un cadavere. Il sacerdote tornò ad avvicinarsi poco dopo.

«Non mi pento di ciò che ho fatto!», quasi gli urlò contro. «Sarai anche un prescelto di Nergal, ma il tuo cavallo sfamerà la mia gente ed è al loro bene che io devo pensare, non al tuo e men che meno a quello del tuo animale!».

«Quel cavallo aveva più coraggio e più onore di tutti voi messi insieme».

«Forse. Ma guarda questa gente, guarda i loro occhi: hanno fame, si sentono abbandonati. Vorresti vederli morire? Sono persone più sfortunate di me e di te, colpite da un male che le sta distruggendo. Io do loro un po' di speranza e allieto i loro giorni in attesa che si possano ricongiungere con il nostro amato dio».

Eckhard si voltò. Lo sguardo andò agli appestati che ora, perso il loro unico svago, avevano ripreso ad aggirarsi per la palude come cadaveri ambulanti. Li trovò miserabili sebbene quel termine, nella sua testa, non assunse un'accezione negativa, quanto piuttosto neutra.

«Tu vendi fumo a questa gente. Hai abbandonato la via indicata da Nergal per creare una tua comunità di credenti. Questa si chiama eresia. E la chiesa che servo combatte ogni forma di eresia».

«Eresia?! Tu osi parlare a me di eresia?».

Eckhard si avviò verso la pira su cui stavano per arderlo. Si chinò ed estrasse la spada. L'acciaio scintillò. Alle sue spalle, il sacerdote si avvicinò muovendosi con la foga di una rabbia crescente.

«Con che coraggio mi parli di eresia, eh?!».

L'uomo lo afferrò per la spalla, costringendolo a voltarsi. Fu l'ultima cosa che fece.

Eckhard si girò e gli affondò la spada nel ventre. Poi la rigirò ad allargare la ferita. L'uomo spalancò gli occhi forse per la sorpresa, forse per il dolore. Lui non provò invece alcuna emozione. Tutto ciò che fece fu piegarsi in avanti e parlargli all'orecchio.

«Vorrei dirti che questo è per Blake. Ma non è così. Io uccido eretici, non massacratori di cavalli. E tu sei un eretico. Ma sono certo che Nergal sarà ansioso di sentire la tua versione».

Estrasse la spada e, nella penombra che ormai dominava la palude, il sangue rosseggiò lungo il filo della spada. Il corpo dell'uomo crollò al suolo con un tonfo attutito dal fango.

Il resto della comunità lo stava fissando con espressioni tra il sorpreso e l'inebetito.

Il primo a reagire fu l'uomo che lo aveva spogliato. Ancora armato di coltello, diede solo un'occhiata al cadavere del sacerdote. Poi cacciò un grido animalesco e gli si getto contro. Eckhard evitò l'affondo scomposto e calò la spada sul collo del malcapitato. La carne non resse l'urto di una lama tanto affilata e robusta. La testa rotolò a terra. Il corpo impiegò una frazione di secondo in più, poi cadde anch'esso. «Non ho alcuna intenzione di uccidervi. Lui», indicò il sacerdote, «è morto perché era un eretico. Voi non avete colpe. Se mi lascerete andare, non alzerò le armi su di voi. In caso contrario, farete tutti la sua fine».

Due figure si staccarono dalla folla e lo caricarono. Eckhard le vide brandire un randello e un'ascia arrugginita. Non si scompose, parò i due affondi, poi colpì. Il primo fendente aprì uno squarcio nel petto di uno dei due; il secondo affondò nello sterno, spaccando i polmoni all'altro. I due caddero privi di vita.

Disorientate e spaventate, le persone restanti si limitarono a chinare il capo in segno di sottomissione. Qualcuno tornò a sedersi, fissando il vuoto; qualcun altro grugnì una silenziosa protesta, ma non prese altre iniziative.

Eckhard si ritenne soddisfatto. Si chinò a ripulire la lama sulla tunica del sacerdote. Il simbolo sacro di Nergal brillò richiamando la sua attenzione. Lo prese e lo strappò via, quindi lo fece sparire in una tasca. Infine, passando fra due ali di appestati, abbandonò la palude. Solo quando fu abbastanza lontano, si voltò. La sagoma di Blake era ormai invisibile, un po' per via del buio, un po' per la folla che aveva circondato il cavallo.

"Addio, amico mio. Possa tu galoppare nei pascoli verdi dell'eternità...".

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