13 (Parte prima)

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Vikas aprì la porta e gettò uno sguardo all'interno del locale. In risposta, diverse paia di occhi si spostarono su di lui. Passò in rassegna gli avventori e alla fine optò per il bancone oltre il quale una figura che faceva le veci dell'oste puliva un boccale sbreccato.

«Non ti si vedeva da parecchio tempo», la voce lo accolse nell'istante stesso in cui si sedette.

Lo sgabello traballava, una delle gambe più corta delle altre. «Ho avuto il mio da fare».

«Come farti rompere il naso, ad esempio. Non eri un bel vedere prima, figuriamoci adesso».

«Un incontro ravvicinato con un pugno». «Mi pare di intuire che abbia vinto il pugno».

«Non mi ricordavo che fossi così divertente, Joren, altrimenti sarei passato più spesso».

L'uomo oltre il bancone, un ventre prominente e due braccia grosse come tronchi, smise di pulire il boccale. Sembrò valutare il tono della replica, poi riprese a parlare come se nulla fosse. «Che ti serve?».

Vikas lo ignorò. Lanciò una seconda occhiata alla stanza. Poi tornò a voltarsi verso l'oste. «Gli affari vanno male, Joren. Che è successo?».

L'altro inspirò. Il petto si gonfiò e i muscoli si tesero. La voce uscì però priva di inflessioni. «Se sei venuto fin qui per bere, va bene. E se sei venuto per chiacchierare, va bene lo stesso. Ma se sei venuto per prendere in giro, stai per avere grossi problemi. E mi pare che tu ne abbia avuti già abbastanza per oggi».

«Sta' calmo, sono solo sorpreso. Di solito la tua è la taverna più affollata di Valissa».

«La locanda più affollata di una città deserta è comunque una locanda deserta. Valissa è morta e lo stesso vale per i suoi abitanti. Non c'è più nessuno che abbia voglia di bere. O che possa permetterselo».

«Ma la tua non è mai stata una taverna famosa per la qualità della birra. Altrimenti non sarei qui a quest'ora del mattino...».

L'oste sbuffò contrito. Prese lo straccio e lo sbatté sul bancone con un rumore flaccido. Poi fece altrettanto con il boccale. Il picchiare del coccio sul legno strappò ai loro pensieri gli avventori. Un paio osarono perfino voltarsi a guardare che cosa stesse succedendo.

«I tuoi giri di parole mi hanno stancato, Vikas».

«Davvero un peccato, perché ricordavo che la specialità della casa fossero le informazioni...».

L'oste tacque e sembrò valutarlo per un tempo interminabile. Alla fine borbottò: «Non ho tempo da perdere. Se hai qualcosa da chiedere, fallo. Poi vattene. Questo tuo nuovo naso storto mi dà parecchio sui nervi e vorrei togliermelo da davanti il prima possibile».

Vikas non raccolse, ma sorrise. L'oste non poteva immaginare quanto gli facesse male. «Sto cercando una persona».

«Qui non viene più molta gente. Se la persona che cerchi è qui, bene. Altrimenti dovrai andare a cercartela là fuori».

«Non è qui...».

«Meglio», lo interruppe Joren, «perché non mi va che cacci nei guai la mia taverna. A quanto pare di guai ce ne sono stati anche troppi la scorsa notte».

«Che cos'hai sentito?».

«Il Marcio ci ha lasciato, pace all'anima sua». «E chi l'ha ucciso?».

«Un cavaliere della Fratellanza, pare...», i suoi occhi dovettero tradire la sua curiosità, perché l'oste ghignò. «Se è lui il tipo che stai cercando, meglio se ci ripensi. Poco fa è passata una guardia, una di quelle che era con lui alla bottega. E mi ha detto che quel tipo se l'è cavata da solo contro il Marcio e altri due».

«E chi erano gli altri due?».

Joren tornò a sollevare la schiena e si portò una mano al mento. Pochi fili di barba ispidi come setole di cinghiale gli spuntavano sulle guance e sotto la gola.

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