«Ma non ti ho fatto chiamare per punirti, tutt'altro. Sei qui perché voglio premiarti, invece. Nonostante il tuo amore eretico, da quel che mi è stato riferito non hai esitato un istante a consegnare la tua donna. Perché?».
La pioggia rumoreggiava sempre più forte. Eckhard pensò che di quel passo il soffitto sarebbe venuto giù.
«Perché... perché era il mio dovere».
«Vuoi farmi credere che hai anteposto il tuo dovere alla vita della tua donna? È questo che mi stai dicendo?».
Eckhard annuì. Non servivano parole.
Il sommo Padre si voltò dandogli le spalle. Gli sembrò quasi che non toccasse il pavimento. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma nel sollevare la testa a guardarlo percepì una fitta al collo che poi gli scese alla schiena e ai reni. Sopportò senza fare un fiato. Al dolore era abituato. Anche se lei era morta solo da poche ore, sembrava conoscere quella sofferenza da anni. Era più che consapevole che non esistesse un organo che potesse provare tanta sofferenza quanto il cuore.
Fu però infastidito dalla pioggia. La sentiva rombare come se dovesse entrargli nel cervello. E poi c'era il freddo. Si stupì che le stanze del sommo Padre fossero così gelide. Dov'erano i camini accesi e i bracieri ardenti per tenere lontana la Morte nera? Tutto era strano in quel luogo, così come era strano che un uomo dell'età del sommo Padre non sentisse freddo.
«Davvero un mirabile esempio di devozione, non c'è che dire». Jahr era di nuovo seduto sul suo scranno, le mani poggiate sui braccioli, le gambe ben piantate per terra. Sembrava la scultura di un dio adirato intento a fissare la sagoma di un uomo che era solo e soltanto quello, un uomo, con tutti i limiti della sua natura terrena. Solo con l'animo squarciato da un dolore più grande di lui. «Sto creando una nuova élite di guerrieri, veri e propri soldati della fede. Un gruppo ristretto di prescelti che sradichino l'eresia dal mio regno. E voglio che tu ne faccia parte».
Eckhard guardò il sommo Padre e il suo volto traslucido.
«Io... io sono già un cavaliere. Il mio compito è già quello di sradicare l'eresia».
«Avrai poteri maggiori di quelli che hai ora. Potrai muoverti per le terre della chiesa e avere alloggio e vitto gratuiti ovunque tu voglia. Il tuo unico compito sarà quello di cercare e sradicare ogni eretico che incontri sulla tua strada. Ti daremo anche un cavallo, se vorrai, così potrai muoverti più rapidamente. D'ora in poi il mondo sarà la tua casa».
«Ho già il mio Blake, vostra santità, non ho bisogno di cavalli. E poi l'eresia è stata sconfitta questa notte. Dubito che esistano altri eretici, ormai. E, se pure ce ne sono, non si faranno mai più vedere».
«Questo è quello che credi tu, nella tua ignoranza. In molti... troppi sono fuggiti prima che potessimo catturarli. Non posso permettere che gli eretici si riorganizzino e riprendano la loro guerra contro la mia amata chiesa. È un onore immenso, quello che ti sto facendo, Eckhard della casata Vanemburg. Non ti permetterò di dirmi di no».
Annuì per l'ennesima volta. Dopo aver sacrificato sull'altare del suo dio l'unico amore della sua vita, non aveva più nulla da perdere. Accettare quell'incarico sarebbe forse servito a dare un senso al resto dei suoi giorni. O magari, se fosse stato davvero fortunato, solo a trovare una morte più rapida.
«Accetto», dicendo quelle parole, avvertì un inspiegabile odore di terra bagnata, del tutto avulso dal contesto di una stanza di pietra. Un lampo illuminò la sagoma vestita di bianco dell'alto prelato e nel tuono che seguì Eckhard si ritrovò solo.
Ma non era affatto così. Un uomo gli teneva il braccio sinistro, mentre una lama gli incideva la pelle. La punta tracciò segni indecifrabili nella carne, mentre gocce di sangue scuro e denso colavano macchiando un pavimento che sembrava tutto fuorché quello di una stanza della Chiesa di Palash.
Un tuono rumoreggiò e poi un altro. La pioggia sollevava spruzzi che ora gli rimbalzavano sul viso. In breve divennero così tanti, che non riuscì più a contarli. L'uomo che gli stava incidendo il braccio gli sorrise. Eckhard notò che aveva il viso segnato dalla pestilenza. Là dove ci sarebbe dovuto essere il naso, c'era solo una voragine vuota; dove ci sarebbero dovute essere le orecchie c'erano solo due buchi. Pus giallastro gli colava dalle ferite, finendo sulla sua pelle. Più che il disgusto, fu colpito da un'altra sensazione: il siero era freddo, quasi gelido.
Un ennesimo tuono scoppiò così vicino, che ne fu stordito. Strizzò gli occhi e d'improvviso tutto si fece nero. Un getto d'adrenalina gli investì il cuore. Poi un lampo illuminò ogni cosa intorno a sé ed Eckhard vide che si trovava rannicchiato sotto una sporgenza rocciosa. Si guardò l'avambraccio e lo toccò. Non c'era traccia di pus, ma solo di acqua gelida. Stava diluviando così forte, che gli schizzi l'avevano quasi inzuppato.
Sospirò e il respiro gli si condensò davanti agli occhi. Tremava per il freddo e pregò che facesse di nuovo giorno. Cercò una posizione più comoda, ma già sapeva che non avrebbe chiuso occhio per il resto della notte. A conferma di quel fosco pensiero, l'alba lo trovò immobile a fissare un volto che solo lui era in grado di vedere.
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Pestilentia
FantasyUn ragazzo in fuga da qualcosa che non doveva essere liberato. È l'inizio della fine. Quattro secoli dopo, il mondo è un ammasso purulento. Una pestilenza ha spazzato via quasi ogni forma di vita, e il gelo ha stretto nella sua morsa gli ultimi supe...