25 (Parte Prima)

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«La zuppa?!», ripeté Shree.

Gleb si limitò ad annuire, un'espressione triste che sembrava contenere tutta la sofferenza del mondo. Poi sembrò sentirsi in dovere di aggiungere: «Hanno... hanno detto che era quella... Eeera velenosa».

Lei sospirò. Cavare informazioni da quel ragazzo era come seminare grano nel pantano fuori da lì, un inutile dispendio di energie. Alzò la testa. Più avanti le sembrò di scorgere il profilo di una serie di montagne, ma non ci avrebbe giurato. Con quella nebbia, il massimo che riusciva a vedere era il contorno di qualche albero rachitico e un sentiero fangoso lungo il quale avanzare a fatica.

«E tu perché non sei svenuto?», domandò tornando a guardarlo. La risposta di Gleb fu una stretta di spalle.

Shree berciò il suo disagio. «Forse quelli come te sono immuni. Può essere?».

L'altro si strinse nelle spalle una seconda volta.

Lei dovette inspirare un paio di volte per non dare in escandescenza. «E poi che è successo?».

«Pppoi... poi eri svenuta e... e io ttti ho trascinato fuori dalla...

dalla casa e...».

«Potresti cercare di non balbettare e ripetere ogni cosa tre volte? È estenuante parlare con te».

Gleb chinò il viso a fissarsi i piedi.

Shree si rese conto di essere insofferente anche a quello. «Si può sapere che cosa c'è di sbagliato in te? Perché hai così tanti problemi a parlare? Parlare riempie il vuoto, allontana la nebbia e sovrasta il rumore di questa dannata pioggia».

Lo schiavo non sembrò trovare nulla di intelligente da rispondere. Perciò fece la cosa che gli riusciva meglio: tacque.

A Shree andò bene così. Per certi versi preferiva il picchiare della pioggia a quel balbettio sconnesso.

La voce di Gleb riprese quando non se lo aspettava più. «Pppa... parlare non... non è mai stato il mio forte». «Davvero? Che sorpresa».

«Le... Leif non voleva che... parlassi... e poi io... io non ho mai molto da dire».

«Tutti hanno qualcosa da dire. Ma come vuoi, non starò certo qua a pregarti».

«Nnnon... non è vero» «Cosa?».

«Ccche tutti... tttutti hanno qualcosa da dire... Iiio no...». «D'accordo. A me basta che quel poco che hai da dire lo dici senza balbettare».

Gleb fece passare diversi secondi. E come anche nelle altre circostanze Shree si ritrovò a domandarsi se quel silenzio gli servisse per raccogliere le fila dei propri pensieri o solo per vincere la timidezza.

«Mi... mia madre diceva ccche... che quelli come noi meno parlano e meglio è».

Lei non si fermò. Il profilo delle montagne si faceva più nitido a ogni passo, emergendo dalla nebbia come una bassorilievo scolpito dalla natura.

Quando riprese a parlare, la pioggia aveva aumentato d'intensità. «Con tutto il rispetto, tua madre non capiva niente. Non dovresti mai lasciare che qualcuno ti dica cosa fare e cosa non fare. Guarda me, pensi che ho mai ascoltato qualcuno oltre me stessa?».

L'altro sembrò valutare se esistesse un modo corretto di rispondere. Poi fece di nuovo la cosa più ovvia: non disse nulla.

Shree decise che tanto valeva parlare da sola. E così fece. «No, non ho mai ascoltato nessuno. O pensi che avrei dovuto dar retta ai sacerdoti di Nergal? Buoni quelli... Non sapevano dire altro che: "prega, figliola". Ma pregare per cosa? Per un tozzo di pane e un piatto di minestra annacquata che posso procurarmi rubando, invece che stando seduta su una pancaccia di legno a guardare nel vuoto? I sacerdoti credono di avere la risposta a tutto. Io penso invece che non ce l'abbiano nemmeno per gli interrogativi più semplici. Se davvero esiste un dio, allora si è dimenticato di tutti noi. Senza contare che... Bah, lascia stare. Che vuoi che ne sappia un eretico come te?».

«Iiio... io non sono... un eretico».

«A no? Tutti quelli come te sono eretici. O almeno questo è quello che raccontano i sacerdoti di Nergal. Dicono che avete scatenato voi la Morte nera. Per questo siete stati ridotti in schiavitù».

«Rrri... ridotti in schiavitù e massacrati! Llla... la Chiesa di Nergal ccci ha s-ssterminato».

Shree notò che Gleb ne aveva di cose da dire e che quando si infiammava balbettava più del solito.

«E come dargli torto? Avete condannato il mondo alla rovina, c'è da capirli. Sia ben chiaro, io non credo in nessun dio, né in Nergal, né nei vostri dei pagani, e forse anche questo fa di me un'eretica. Ma se fossi stata al posto loro, beh, forse anch'io vi avrei sterminato. Scatenare una tale pestilenza... ma non avevate niente di meglio da fare?».

Il ragazzo inspirò per ribattere, ma sembrarono mancargli il coraggio e le parole. Chinò il capo, mentre il labbro riprendeva a tremargli forse per l'ira, forse per la vergogna.

Per diversi minuti nessuno dei due disse niente. Procedevano nel fango, l'aria satura dell'odore di pioggia e terra bagnata. Quando una nuova ventata le sollevò i capelli, Shree si avvolse nel mantello. Odiava quel freddo e odiava la pioggia. Ma la cosa che odiava più di tutto era la nebbia, perché distorceva e cancellava il panorama e le dava la sensazione di camminare nel nulla. Per quante miglia percorresse, le sembrava sempre di essere nello stesso punto.

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