Prologo

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Ohio 10 anni prima

"301...avanzi" proruppe con tono risolutivo la voce del controllore Newton, rompendo il silenzio, spezzato a frequenze dalla suola di scarponcini sotto il quale scricchiolava la ghiaia. Solo un ragazzo di poco più di trent'anni, robusto ed alto. A coprire la sua testa rasata solo un cappello verde tipico dei militari e due occhi nocciola freddi come una giornata di autunno improvvisa.

Aspettavo il mio turno, come tutti quelli prima e dopo di me. Sapevo le procedure ormai come impari le cose nella vita e diventa un meccanismo. Dicevano che avevamo un'anima e un cuore che sapeva battere. Ma era stato tutto spazzato via, dandoci la conferma che eravamo macchine. Dei burattini montati dove all'interno non vi è niente.

Ero stata strappata via dalla mia famiglia. Già strappata, non avrei trovato una parola più dolce e soave o almeno più gentile. Mi avevano tolto come quando ad un albero venivano sradicate le radici, vedendo solo un solco, un buco profondo dove adesso non c'era neanche più il mio cuore a portare melodia.

Ricordavo precisamente la notte in cui vennero e saccheggiarono la nostra cittadina. Venivano per prendere noi piccole creature indifese. Femmine per il loro trasporto di prostitute e crescerci per soddisfare uomini ricchi, mentre gli uomini diventavano parte del loro esercito.

Camden in New Jersey. Era dove abitavo. Una città povera come noi. Mio padre era morto quando ero solo una bambina. Mia madre Sally si faceva in quattro per me e mia sorella Grace. Le somigliavo così tanto. Stessi capelli rossi naturali, occhi azzurri. Mentre Grace assomigliava a mio padre. Aveva i capelli neri e due occhi nocciola.

Rumori di cinghie, rimbombi di pistole e la puzza del metallo bruciato insieme al sangue. Non eravamo pronti a quello, non ero pronta ad affrontare tutto ciò.
La porta si aprì venendo sbattuta al muro da un colpo di proiettile nella fessura. I loro occhi scuri che ispezionavano nel buio della cucina dove ancora risiedevano i residui di cibo e i piatti sporchi sul lavabo di ceramica scheggiato.
Ci eravamo nascosti dietro la porta dello stanzino piccolo e buio. Mia madre si parò come scudo umano, mentre io e mia sorella Grace eravamo dietro. Le presi un lembo del vestito a fiori, stringendolo saldamente nella mano stretta a pugno, come un appiglio un'áncora. Ma non sarebbe servito. Quando il momento arriva non hai scampo, non puoi cambiare il destino. È già stato scritto.

Il cuore pompava forte, nella gabbia toracica, talmente tanto da far male al petto. Cercavo di tenere a freno i miei respiri affannati che portavano dentro paura.
Rumori di suole arrivavano al mio udito, di scarponi precisamente. Finché un fascio di luce che penetrava dalla porta socchiusa non mi fece intravedere gli scarponi neri stringati di un uomo.
Si fermò come attratto da qualcosa, bloccato ed arrestato. Non sentivamo più rumore, ed era lì che era arrivato il momento.

Aprì la porta con uno scatto repentino ed un ghigno soddisfatto sul viso mascolino, con la mascella pronunciata. I suoi capelli brizzolati mossi da un refolo di vento che entrava dalla porta spalancata della casa.
Agguantò mia madre per i capelli rossi, strattonandola mentre iniziai ad urlare e con me anche mia sorella Grace di due anni più piccola di me. Aveva undici anni.

"Le abbiamo trovate. Anche le ultime due" proruppe con tono fiero, accovacciandosi sulle ginocchia mentre i nostri pianti e singhiozzi rimanevano silenziosi, velati da una paura capace di trafiggere.

"Non vi voglio fare del male. Qui non c'è futuro per voi. Abbiamo bisogno del vostro aiuto in tutto ciò" rivelò dolcemente ma sapevo cosa nascondesse tanta gentilezza.

Grace fece un passo avanti mentre cercai di trattenerla, accettando la mano offerta da quell'uomo.
"Brava ragazza. Tu prendi esempio da tua sorella. Andiamo" aggiunse più ispido, lasciando la mano di mia sorella per prendermi.

"No. Non verrò mai con voi" urlai con quanto più fiato avessi, tentando di divincolarmi ma ero bloccata da un fottuto angolo.
Mi strattonò forte per il braccio, tanto da rompermi la manica a sbuffo del vestito.

"Per questo gesto, verrai divisa da tua sorella. Puttanella da quattro soldi" emise un ghigno malefico, finché non mi scortò fuori, vedendo mia madre a terra piangere. Cercavo vana di togliere le sue luride mani da me, tentando di camminare verso di lei. Ma i piedi si muovevano ma il corpo rimaneva cementato in quella presa salda, scalciando per aria le gambe che tiravano su soltanto polvere e niente di più.

Finché non vidi il gesto che mi fece raggelare il sangue e contorcere le budella.
L'uomo che probabilmente doveva essere il capo di tutto ciò, intimò qualcosa all'orecchio di un suo fedele uomo che annuì, caricando il fucile per mirare mia madre.

Urlai agghiacciata, vedendo il corpo di mia madre piegarsi, portandosi una mano sulla ferita. Aprì le labbra, boccheggiando ed i suoi occhi vitrei si spensero piano come la mia anima.

E ora ero questa. Kristal Evans sulla carta stropicciata e logora. Strappata in piccoli pezzi come coriandoli, bruciati in un mucchio di paglia come altri nomi di ragazze che erano qui. Non le avrei contate. Perché noi eravamo un numero. Inciso dietro la nuca, come un codice a barre, perché eravamo un prezzo da pagare ed un oggetto da comprare.

"374, è il suo turno" la voce dello stesso uomo, lo stesso sguardo freddo, la stessa fermezza. Era arrivato il mio momento. La stessa stanza, un nuovo uomo.

Ma quel giorno non fu così. C'era lui. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, dai capelli neri come inchiostro, una linea dritta su quelle labbra carnose.

"Tu sei..." non terminai di parlare, che si alzò dal letto, venendomi in contro.

Mi prese delicatamente per il fianco e sussultai a quel contatto. Un brivido dolce mi rianimò, come se prima fossi stata in uno stato di trance ed ora mi fossi ripresa la vita.
Il suo alito caldo mi sfiorò l'orecchio e deglutii fortemente.
"Il tuo salvatore" rivelò assertivo.

Un attimo, un gesto repentino, un dolore dilaniante, ed ora non ero più nessuno.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora