-Capitolo 6-

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-Ohio 10 anni fa-

Uscii dalla piccola stanzetta, dove altre ragazze come me la condividevano. Eravamo quattro per ogni stanza, i letto a castello consumati. Le pareti spoglie dove un po' di muffa si affacciava dal soffitto e colava giù. Mi sentivo così. Ammuffita. Una bambola di pezza.
Domani avrei dovuto cominciare ad avere il mio primo cliente. Ci avevano istigato dandoci oggetti per il piacere, e far abituare le nostre intimità, per non sentire troppo dolore. Difficile non sentirlo quando lo porti dentro al cuore.
Ti marchia profondamente.

Mi avviai verso lo spiazzato, constatando che era troppo presto o troppo tardi. Lo capivo da chi non c'era più nessuno fuori. Il sole doveva ancora sorgere, ma dentro di me non succedeva più.
Aprii una porta, salendo le scale a chioccia in metallo. Solo i passi miei riecheggiavano e si dissolvevano come un eco lontano, nella frescura mattutina.

Mi trovai difronte ad una porta celeste. Non esitai e tirai giù la maniglia nera per aprirla. Mi si parò la visuale di un balcone in cemento. Due canne fumarie in acciaio, si ergevano come colonne ai due lati opposti. Avanzai finché non scorsi un ragazzo da lontano. Era poggiato con la schiena al muro, le ginocchia piegate dove aveva appoggiato un blocco, forse un quaderno, e nella mano sinistra notai una sigaretta, dove il fumo della miccia volava lontano, dove voleva. Quel fumo era libero, non aveva vincoli.

Potevo avere paura, ma dentro di me una strana sensazioni si stagliò. Potevo fidarmi di lui. La mia vocina ripeteva questa frase, ed i miei piedi camminavano, spinti da una forza di gravità maggiore.

Quando fui abbastanza vicina si voltò verso di me. Rimasi immobile sul posto. Due occhi azzurri e freddi, il sole che stava per sorgere lo illuminò appena, muovendogli il ciuffo nero pece.
"Non ti hanno detto che è maleducazione spiare?" Lo guardai visualizzare un punto non definito davanti a lui, ed aspirare una boccata. Il filtro sembrava così armonioso di scivolare tra le sue labbra carnose. Ed un fremito mi pervase.

"Sei sordomuta?" Guizzò di nuovo lo sguardo verso di me, cercando di stirare un sorriso. Ma aveva solo una linea dritta, appena incurvata all'insù. O forse era solo una mia impressione.

"Non riuscivo a dormire" ammisi fievole, avvicinandomi a lui e scivolando con la schiena contro il muro freddo, fino a sedermi a terra.
Ogni volta la scena di me, mia sorella, mia madre. Mi si formò un groppo in gola, e deglutii fortemente.
"Sei sordomuto?" Lo presi sarcasticamente in giro. Mi sarei aspettata una risposta rude, poiché mi morsi la mia lingua biforcuta. Azzardavo sempre a parlare troppo.

"Certe volte lo vorrei" fu la sua risposta sommessa, come un sussurro più a se che a me.

Buttai lo sguardo verso il blocco. La matita ferma in mezzo a quelle pagine. Non azzardai più a dire nulla ma solo ad annuire e ad ascoltare il fruscio del vento fresco, che mi portò a solleticarmi i capelli sul collo. Allungai una mano in uno scatto repentino, e gli soffiai il blocco. Mi alzai di fretta per vedere cosa contenesse o se fosse tutto bianco e triste.

Sfogliai le pagine, ed in un attimo, sentii la sua voce possente.
"Ridammelo" un'imposizione fredda ma dolce al tempo stesso.
Lo guardai divenire scuro in volto, la mascella rigida dove aleggiava un po' di ricrescita ispida. Dio era sexy da far male. Scacciai quel pensiero strano che si era fatto largo dentro di me.

Scoppiai in una risata dissentendo con la testa, e scoccando la lingua sul palato.
"Voglio vedere" affermai cristallina, scorgendo dei disegni. Dei ritratti bellissimi e perfetti.

Lo sentii alzarsi ed avvicinarsi minaccioso, con sguardo furente verso di me.
"Ti ho detto di ridarmelo" ripeté risoluto, tendendo la mano verso di me, ed alzai gli occhi su i suoi glaciali.

Scorsi in fretta le ultime due pagine, dandogli le spalle e trovai un ritratto. Rimasi perplessa e sbattei più volte le palpebre. Una luce si accese nel mio sguardo. Rimasi immobile a fissare il mio ritratto. Il modo in cui mi aveva disegnato perfettamente i contorni del mio volto, ed il mio sguardo perso. Quello che ora non credevo di avere ma aveva lasciato spazio ad un piccolo bagliore.

Mi girai, mostrandoglielo e ridandogli il blocco che mi strappò furente, dalle mani.

"Cos'è quella faccia ora?" Mi domandò, indugiando su i miei occhi ancora esterrefatti. Mentre chiuse il blocco con un tonfo sordo.

"Sono io?" Chiesi ciò che era ovvio.

Guardò un punto dietro di se, e si spostò il ciuffo con la mano, per tornare su i miei occhi.
"Si...perché? Ti ho disegnata male?" Ricalcò sarcastico, ma mantenendo una linea dritta sulle labbra scolpite.

"No, ma perché io?" Mi puntai un dito contro, scuotendo i capelli sciolti.

"Sembravi un soggetto interessante, tutto qui" mi congedò secco, senza darmi spiegazioni.

"Solo questo hai da dirmi?" Rimasi esterrefatta ed anche delusa. Pensavo...ma che diavolo pensavo. Lo avevo visto solo due volte, passeggiare sempre da solo e con un'aria triste su quel volto bellissimo. Che illusa! Probabile che non sapesse neanche il mio nome, ed io non sapevo il suo.

Distolse lo sguardo, e tornò a sedersi, mentre restai lì in piedi.
"Si...solo questo" riformulò sincero.

Rimasi a fissare il vuoto, scalciando sassolini immaginari, con la punta rotonda, delle ballerine in vernice. Mentre il sole ora si stava ergendo più possente.

"Comunque..." riportò lo sguardo su di me, ed io alzai la testa di conseguenza.
"Dovresti rientrare. Se ti trovano qui...sono guai" proclamò serio, passandosi la lingua sul labbro. Un gesto che mi affascinò, e mi fece vibrare leggermente.

Guardai il balcone in cemento sul quale eravamo, per girarmi di nuovo verso di lui, incatenandosi a quegli occhi intensi. Trasmettevano tristezza ma anche altro. Qualcosa d'indecifrabile. Un'enigma troppo bello da poter risolvere.
"Tu...non vieni?" Gli domandai, mordendomi il labbro.

Scosse la testa, riprendendo in mano la matita e picchiettandola sulla pagina con un ticchettio ritmico.
"Io rimango ancora un po' qui. Adesso va, sbrigati" ripeté più dolce, come i suoi occhi adesso.

Sentii il rumore di una macchina, e mi apprestai a sporgermi per vedere. Era segno che un'altra giornata stava iniziando...ed un cliente per la prima volta mi aspettava. Paura e gelido a percorrere il mio corpo.

Sentii due mani poggiarsi sui miei fianchi e sussultai, chiudendo appena le palpebre.
"Non preoccuparti, finirà presto" il suo alito caldo quanto le sue parole avvolgenti, mi fecero sentire protetta, e riaprii gli occhi.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora