Pov. Alan
Ero tornato a casa e benché non dovessi pensarci, lei era il primo pensiero, al quale il mio cervello si era collegato.
Non potevo ancora perdonarmi il modo in cui l'avevo trattata, ma non potevo accusarmi di volerla possedere. Era mia, in ogni modo, in ogni istante lei lo era.Mi feci una doccia veloce, facendomi passare la sbornia dovuta ai troppi bicchieri ingurgitati. Volevo alleviare il dolore che provavo dentro, e per quanto mi sforzassi era inutile. Lo portavo ovunque andassi. Lo dimenticavo solo quando c'era lei.
Avvolsi un telo intorno al bacino, stringendolo come meglio potei per non farlo cedere, ed afferrai il cellulare, rimasto nella tasca dei Jeans.
Scorsi con il dito la rubrica, in cerca del suo numero, e senza pensarci troppo, puntai l'indice sul cerchio verde della cornetta.
Gli squilli si fecero prorompenti nel mio udito straziato, aspettando impaziente una risposta dall'altro capo. Mentre camminavo scalzo per casa, passandomi una mano furiosa tra i capelli umidi, dove alcune goccioline trasparenti, caddero sul tappeto persiano.-Pronto-
dopo minuti interminabili, la voce pacata di Kevin mi riportò alla normalità.-È a casa?- gli domandai subito di lei, senza soffermarmi a stronzate varie, mentre lo sentii annuire con le labbra serrate tra loro, in un verso.
-Alan la devi lasciare perdere. Non è stupida. Voleva risposte alle sue domande-
Spiegò duro ciò che già sapevo. Era sempre stata curiosa. Due nomi diversi non cambiano l'anima di una persona. Lei era la stessa. Imprigionata in una vita non sua. Una vita che avrei riportato a galla, tentando di salvarla dai suoi ricordi oscuri.-Immaginavo. Cosa le hai risposto?- Esalai un sospiro veemente, andando verso la credenza intarsiata per riempirmi un altro bicchiere con del whisky. Cazzo! Avevo appena smaltito l'alcol che il mio corpo come se avesse avuto vita propria, ne esigeva altro. Era l'ansia che accresceva e non diminuiva mai. Mi straziava i sogni e non cessava.
-Che non spetta a me dirle tutto. Devi buttarti indietro il passato, devi sciogliere quel nodo che ti ostini a mantenere. Lei non tornerà, non come pensi te. Kristal è del passato e lì rimarrà- rivelò tagliente e risoluto come meglio poté per farmi capire ciò che il mio cervello non immagazzinava. Chiusi la bottiglia di vetro, per prendere un sorso di whisky, che sputai come fosse stato acido, scagliando con veemenza ed irruenza il bicchiere di vetro contro la parete Beige, con un tonfo netto e cristallizzato.
-Lei tornerà. Tornerà perché lei è legata a me come nessuno- Ripetei straziato, con l'anima ridotta a brandelli, vedendo i pezzi di vetro per terra.
-Alan cazzo, possibile non capisci- mi riprese più carezzevole ma sempre duro come era, sentendo il rumore di macchine sfrecciare e le sue dita tamburellare sul volante in pelle.
-È il passato, ma posso far si che il passato torni il presente- rintuzzai aspro e con una voce graffiante dovuta all'alcol ed alla disperazione, riattaccando senza dargli modo di replicare. Finché non buttai il cellulare sul letto, dove fece un piccolo rimbalzo tra le lenzuola rosso vermiglio, e sciogliere il telo che tenevo legato, per provare a darmi pace. La pace che non arrivava mai.
Flashback
" Valten, ti prego." La voce spezzata dalla disperazione di mia madre, mi fece raggelare il sangue nelle vene. Mi strinsi nelle spalle, facendomi piccolo dietro il divano in tessuto, dove gomma piuma giallognola, faceva capolino. Le ginocchia portate in grembo, e tremavo come una foglia. Era la paura. Il terrore che metteva quell'uomo. Mio padre.
"Zitta Puttana. Sei solo una puttana. Hai messo al mondo una femminuccia. Piange più di te. Ma lo sai, non puoi impedirmelo" digrignò i denti con disprezzo, tenendo stretto nella sua mano forte, L'avambraccio esile di mia madre.
Un sorriso lascivo e beffardo, a solcare la sua mascella squadrata. La testa rasata come un soldato."È solo un bambino Valten. Io...io ti prometto che quando sarà..." non la lasciò finire che le urlò contro, strattonandole il braccio e facendola sbattere contro il tavolo in legno, dove finì quasi distesa sopra. La paura dipinta sul suo volto, in quegli occhi chiari, mentre mio padre avanzava felino verso di lei, con gli occhi iniettati di sangue.
"Quando cosa? Quando sarà un rammollito? Un flaccido? Quando sarà un frocetto da due soldi? No mia cara Agnes. Tu volevi appropriarti dei miei averi, mettendo al mondo quell'essere. Ma ti rivelo una cosa, mia piccola Agnes..." lasciò la frase beffarda e pungente, in sospeso, portando una mano sulla coscia nuda di mia madre. Distolsi lo sguardo, sentendo i suoi lamenti disperati, coperti da singhiozzi incessanti, mentre lui gemeva.
"Si brava puttana. Fai il tuo lavoro. Il tuo tentativo è stato misero" sussurrò tagliente, sentendo silenzio subito. Un silenzio agghiacciante. Uno che mi fece accapponare la pelle, e far morire un singhiozzo, dove una lenta lacrima fece il suo tragitto.
Finché non sentii il rumore di una porta sbattuta con veemenza.
Aspettai cinque minuti, ed ero ancora tremolante ed avvolto dal silenzio sovrano.
Mi feci forza, alzandomi da terra, ed avviandomi cauto, verso la cucina. Il mio cuore si bloccò. La mia vita cessò di esistere.
Guardai gli occhi spalancati di mia madre. Occhi vitrei, privi di vita. Le piastrelle bianche, rimpiazzate da un rosso vermiglio. Una macchia liquida che si espandeva a macchia d'olio. Le braccia esili stese lungo i fianchi. Un ginocchio piegato, mentre l'altro era steso, ed il suo volto girato verso di me.Guardai la sua figura appannata, dai miei occhi finiti dalle lacrime. Dal dolore che provavo. Caddi in ginocchio, davanti a lei, chiamando il suo nome. Inutile. Lei non era più con me. Ero solo.
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Mi alzai di soprassalto, gridando un'agghiacciante e disperato "No" Che riecheggiò tra le mura, e se lo portava via il vento notturno. Ero ancora avvolto dalla mezza oscurità. Il cuore pompava ad una velocità supersonica, e mi sentii una pozza di sudore. Avvertivo la fronte imperlata, da quelle gocce, che sporcavano anche l'attaccatura dei capelli nero pece.
Cercai di portarmi una mano sul cuore, socchiudendo un attimo le palpebre, ed afferrando il telefono sul comodino.
Sembrava che avessi dormito un'eternità. Ed invece mi resi conto a malincuore, che avevo appena fatto un'ora di sonno. Un sonno tormentato dai miei incubi incessanti. Un'insonnia che portavo avanti. Perché avevo paura a dormire. Paura che ogni volta rivedessi quella scena che mi dilaniava l'anima. Paura di chiudere gli occhi e vedere il suo volto spento. Solo con Kristal ero riuscito a dormire, a sognare con lei stretta tra le mie braccia, che le infondevano calore. Ed ora che non era più mia, gli incubi erano tornati, più prepotenti. Più corrosivi. Era la mia ancora di salvezza. Era il mio salvagente. Ciò che gli altri non capivano. Lei era la chiave per terminare il mio dolore interno.Andai verso la finestra a tentoni, arrancando sul comodino, per aprire il pacchetto di sigarette, e prendere una tra le labbra aride.
Mi parai con la mano la bocca, solo per vedere quella fiammella accendere il mio vizio preferito. La luna stava piano piano scomparendo, ed ebbi il tempo di salutarla, prima di lasciare spazio ad un sole, che era mio nemico.
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-Rewinding of me-
Misterio / SuspensoKristal Evans, una ragazza da un passato turbolento, nero. Strappata dalla sua famiglia, addestrata per essere frutto di uomini ricchi. Hope Weston, una ragazza che si sta per sposare, un lavoro come arredatrice. Ha tutto ciò che sogna. Un segno de...