-Capitolo 3-

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-Ohio 10 anni fa-

"Credi che saranno capaci di soddisfare gli uomini di Glacowsky?" Sentii un ragazzo dalla voce titubante, domandare. Ero dentro questo camion logoro. Un telo bianco a coprirci, come se fossimo stati degli animali. Probabilmente per loro lo eravamo. Grace...il mio pensiero andava verso mia sorella. Così piccola e indifesa. Mi sarei venduta a tutti gli uomini a costo di salvare lei.

"Nessuno ritorna vivo da qui" commentò una ragazza più grande di me, di almeno cinque anni. Sembrava avesse letto i miei pensieri impauriti.

"Hanno preso mia cugina, quattro anni fa. È morta di Overdose. Le drogavano per farle rimanere arzille. Ma il suo cuore non resse quelle dosi pesanti" aggiunse, vedendo i suoi occhi bui, ma dove lacrime non vi erano. Era inutile piangere sul latte versato. I ricordi lasciavano spazio all'amarezza.

Alzai gli occhi verso il telo, finché non sentii il bandone del camion, spalancarsi con un cigolio simile ad uno stridulo, che mi straziò i timpani. E venir investita da il bagliore del giorno, portandomi una mano a pararmi gli occhi, abituati a quell'oscurità per chissà quante ore.

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Mi svegliai di soprassalto, scattando a sedere sul letto. Scostai le lenzuola appena, sentendo il battito accelerare frenetico nel cuore.
Deglutii fortemente. Mi portai una mano sulla fronte sentendo piccole gocce imperlarmi la pelle diafana. Ero sudata ed accaldata. Mi accorsi di una lacrima lenta che allo sbatter delle ciglia, scivolò sulla mia guancia arrossata. Il buio mi avvolgeva, nella stanza. Solo un fascio di luce, dovuto ai lampioni al di fuori, mi permise di vedere, la figura di Simon sdraiato accanto a me.

Chiusi gli occhi, cercando di calmare quel rimbombo frenetico. Avevo fatto un incubo. Ma ora non ricordavo più niente. Come cancellato e spazzato via. Frutto di una mente malata e soggiogata.

"Ehi...tutto bene?" Sentii la voce dolce ma impastata per via della sonnolenza, di Simon.

"Io...si. Sto bene" mentii spudoratamente, venendo avvolta dal suo braccio, che mi riportò a distendermi.

"Scusa se poi stasera non abbiamo fatto nulla" sussurrò rauco sul mio lobo, scendendo con la mano verso la mia intimità. Volevo fermarlo. Ma ne avevo bisogno. Volevo evadere da quei pensieri.

Mi girai, montando a cavalcioni sopra di lui.
"Non fa niente" replicai dolcemente, sentendo la sua erezione premere contro il tessuto delle mie mutandine in pizzo.

Avevo una fissa per la lingerie in pizzo. Qualcosa di cui non riuscivo a fare a meno.
Notai un luccichio nei suoi occhi nocciola, spazzare via ogni mia incertezza.
Mi sfilai la sottoveste, rimanendo solo con le mutandine.

Mi abbassai sopra di lui, premendo i palmi sul muro freddo, sentendolo leccare i capezzoli che divennero turgidi ed ansimai.
Ribaltò la situazione, sfilandosi i boxer, e cercando la mia intimità.
"Simon..." sussurrai. Volevo dirgli che ancora non ero pronta. Non ero abbastanza bagnata. Amavo i preliminari, ma lui andava sempre dritto al sodo. Non riuscivo mai a venire solo facendo sesso normale. Era una cosa che mi straziava. Forse avevo dei problemi. Ma non riuscivo a sentire l'orgasmo salire. Ero venuta così poche volte che neanche ricordavo i brividi che mi riscuotevano dentro, staccandomi dalla realtà.

Ma lo lasciai fare. Come sempre. Carta bianca. Quella fedele.
"Sei troppo perfetta Hope" sussurrò eccitato, sprofondando dentro di me con un colpo deciso. Sussultai per il dolore misto al piacere.
Spingeva sempre più preciso, e chiusi gli occhi.

Fu in quel momento che mi staccai dal mondo di Hope Weston. Un solo istante. Due occhi freddi e cristallini, mi apparvero davanti. Così intensi da farmi vibrare l'anima. Sentivo Simon spingere e gemere, mentre io vedevo solo quegli occhi. Non riuscivo a vedere altro. Volevo vedere il suo volto, il suo corpo. Che sembianze avesse. Ma quegli occhi ipnotici, mi bastarono per sentire un formicolio, propagarsi dentro di me, fino a farmi montare l'orgasmo, come a Simon. Si accasciò su di me, baciandomi febbrilmente, mentre riaprii le palpebre, frastornata.

"Direi che mi sono sdebitato a dovere. Ansimavi come un'ossessa" si fece dolcemente beffa di me, ma capii che era serissimo, mentre mi guardava ancora lussurioso. Ero convinta di non aver emesso alcun suono. Sentivo solo le sue spinta ed i suoi gemiti potenti e rauchi.

"Già" affermai solamente, stirando un sorriso per scendere dal letto, scostando le lenzuola.
Mi avviai giù a piedi scalzi sentendo il pavimento fresco sotto la pianta del piede, ed i passi deboli ed ovattati.

Andai in cucina, aprendo il frigo che produsse un rumore refrigerato ed una luce fioca, nel buio della notte.
Presi un po' d'acqua, bevendo dalla bottiglia. Mi dissetava di più che berla dal bicchiere. Sentivo la gola secca, asciutta. Ero ancora basita da tutto ciò. L'incubo in cui non ricordavo niente. Gli occhi più belli che avessi mai visto. Erano simili ai miei. Ma i suoi incutevano timore ed eccitazione allo stato puro. Così vivi da tagliare come lame affilate. Così freddi da farti accapponare. Ma così intensi da farti trepidare.

Stavo decisamente impazzendo. Forse leggevo troppi libri. Mi chiudevo in un mondo non mio. Un uomo come Darcy era ciò che sognavo. Simon era così simile a lui. Avevo tutto ciò che desideravo. Eppure un senso di vuoto, restava sospeso come in bilico sopra un filo. Ero un'equilibrista. Non amavo penzolare, rischiando di cadere ed annegare.

La mattina mi svegliai, con il sole caldo. Niente più cedimenti durante le ultime ore di sonno. Poiché appena tornai a letto mi girai dalla parte opposta a Simon e trovai quiete. Niente più incubi. Avevo dormito forse quattro ore. Ma mi bastavano.

Mi alzai svogliatamente. Il letto sembrava così invitante, mi supplicava di rimanere. Ma la mia priorità era correre alla frescura della mattina. Solo io, il vento, il cinguettio dolce degli uccellini, e poi la musica.

Mi lavai velocemente, mettendomi un leggings corto fino alle caviglie, un top giallo fluorescente con le spalline, ed una felpa nera.
Scesi giù, notando la 24 ore di Simon, poggiata sullo schienale della sedia in legno, e subito la sua figura. Era a braccia conserte, con il fondoschiena premuto contro il top in marmo granito, della cucina. Sulla sinistra teneva una tazza fumante di caffè, e guardai quella nube debole, disperdersi nell'aria, mentre sul tavolo era poggiato il giornale sportivo, che esaminava attento. Finché non si accorse della mia presenza, ed alzò gli occhi vispi su di me. Un dolce sorriso gli solcò il volto, e mi venne vicino.

"Buongiorno. Dormito bene?" Sussurrò le ultime parole vicino alle mie labbra, che si aprirono in un sorriso.

"Come un angioletto" affermai derisoria, avviandomi a prendere un po' di caffè dalla brocca.

"Pronta per la corsa mattutina?" Mi girai, vedendo Miranda con la scopa in mano mentre annuii nella sua direzione.

Guardai l'orologio sul polso, constatando che era già tardi.
"Si e se non mi sbrigo non riesco a percorrere tutto il viale. Ci vediamo dopo" affermai sincera, dando un bacio casto a Simon che mi aprì la porta poiché si avviò verso la macchina, ed io iniziai a riscaldarmi, prima di correre. Perdendomi nell'aria fresca di San Francisco.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora