-Capitolo 1-

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-San Francesco (California). -8 anni dopo un avvenimento-

"Dai Simon corri, sei lento. Non puoi reggere il mio ritmo" urlai con la voce affannata dalla corsa. L'aria fresca ma scaldata dai raggi in alto del sole, rendevano ciò che più amavo, leggero e stupendo. Quando correvo mi sentivo avvolta da un manto, ed ogni pensiero veniva spazzato via, lasciato dietro ogni passo, lungo, corto.
Calpestato dalle suole che ora sfregavano e picchiavano a ritmo sostenuto sull'erba umida che frusciava.

"Hope vai troppo veloce, per la miseria" sentii la voce di Simon lontana ed i polmoni pieni di aria, accusarmi. Sorrisi, girandomi per vederlo accasciato sulla panchina verde bottiglia in ferro, mentre i miei piedi si muovevano sul posto, alzando le ginocchia.

Si voltò verso di me, chinandosi in avanti e affondando la testa tra le braccia, con le mani che penzolavano quasi fino a toccarsi le caviglie coperte da dei calzini bianchi a righe blu.

"Femminuccia" gli gridai derisoria, mentre innalzò il dito medio portandomi a ridere.

Mi voltai e ricominciai a correre, il vento smuoveva i miei capelli, rilegati in una coda alta. Finché non vidi la figura di Simon affiancarmi.
"Chi è ora la femminuccia?" Si beffeggiò dolcemente, facendo uno scatto repentino con la gamba destra, e sorpassarmi.

Risi di cuore, mettendomi le cuffie alle orecchie e lasciando che la musica mi facesse da compagnia.

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"Allora come procede con Simon?" Mi riscosse dai miei pensieri, la voce gracile di Johanna. Era la mia migliore amica, e lavorava con me. Eravamo le migliori arredatrici d'interni della Stylehouse Marketing.

Pigiai più volte sul tappo della penna, sentendo il ticchettio ritmico, riecheggiare nelle pareti bianche perlate dello studio.
"Siamo ad un buon punto. Presto andremo a vedere un casale. Ho visto le foto e sembra perfetto" le confidai dolcemente, aggiustandomi gli occhiali a montatura nera.

"L'hai scelto te o lui?" Mi riprese pacata, poiché aveva sempre da ridire su Simon. Poggiò il fondoschiena alla scrivania bianca, accavallando le caviglie tra loro, e le braccia conserte.

"L'abbiamo scelto...insieme" mentii mordendomi il labbro. Ed infatti indugiò sul mio sguardo e la voce che mi uscii titubante, le diede piena conferma di ciò.

"Per la miseria Hope. Non devi sempre far scegliere lui. In una coppia le cose si fanno in due" lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, coperti da una gonna nera a matita.
La sua voce veritiera era uno schiaffo piantato in viso. Aveva ragione. Non avevo mai preso decisioni da quando stavo con Simon.

Erano passati cinque anni. La casa dove saremmo andati ad abitare, dopo il matrimonio, un trilocale nel cuore di Times Square, lo aveva scelto lui. Aveva scelto la mia macchina, un'Audi grigia metallizzata. Aveva pieno arbitrio. Forse perché gli lasciavo carta bianca. Forse perché non ero abituata a prendere decisioni. La vita certe volte decide per noi. Era un mantra che mi riecheggiava in testa, eppure non sapevo perché mi venisse fuori. Non avevo mai avuto una vita molto complicata.

Da ciò che mi raccontò la Signora Weston mi ritrovò in un bosco, sulla statale. Avevo vent'anni da ciò che sapevo. Ero piegata su me stessa ed i vestiti sporchi. Si fermò con il camioncino, portandomi con se. Non avevo carta d'identità, nulla che potesse risalire alla mia vita. E così ora ero Hope Weston. Anche il nome mi fu scelto dalla signora che in realtà si chiamava Miranda. Ora avevo ventotto anni.
E Simon era suo figlio. Per lui fu amore a prima vista. Per me forse...non lo sapevo. Ero certa che adesso lo amavo.

"Mi stai ascoltando Hope?" Johanna mi riprese per la milionesima volta. Ero solita ad assentarmi ultimamente, e non capivo bene il motivo.

"No l'ho scelto io, davvero" mentii di nuovo, utilizzando un tono più convincente. Mi fissò negli occhi azzurri, per un'infinità di secondi, prima di fare il giro della scrivania e sedersi sulla poltrona in pelle.

"Voglio crederti" affermò buttandomi un bacio, per farmi ridere e vederla digitare sulla tastiera del computer.

Scossi la testa, portandomi una ciocca rossa dietro l'orecchio, ed incominciai a lavorare al mio progetto al computer, su una villa che stavano ristrutturando i signori Montgomery.
Le pareti di ogni stanza andavano dipinte con colori diversi. La cucina doveva avere una parete interamente arancione, quella del salone doveva essere Beige con foglie dorate, e così via. Chiamai varie compagnie di pittori edili, i più bravi sul campo, per mandargli indirizzo e un appuntamento con i signori.

Amavo il mio lavoro, e veder nascere un sorriso sul volto dei clienti, quando trovavano il lavoro finito e che superava le loro aspettative iniziali. Un progetto al computer non è mai come dal vero.

"Oggi ti fermi con me, a pausa pranzo?" Mi domandò Johanna, continuando a inserire con il mouse la varia mobilia, secondo le misure riportate sul fax. Mentre mi tolsi gli occhiali, portandomi il pollice e l'indice a massaggiarmi il setto nasale.

"Non credo. Vado con Miranda, a guardare le bomboniere" le rivelai, vedendola bloccare la mano in cui teneva il mouse e guardarmi.

"Almeno anche lei potrà prendere decisioni al posto tuo" bofonchiò a bassa voce, nonostante captai ogni singola parola.

"Devo tutto a Miranda, e lo sai. Se so quel poco su di me è grazie a lei" ribattei amareggiata ed un senso di tristezza si fece largo dentro di me. Il vuoto totale. Un ricordo di un'infanzia dove non trovavo nulla, nessun tassello. Neanche una vana briciola che potesse farmi collegare un piccolo filo per intrecciare e navigare, fino al punto. Era un mistero, e tale sarebbe rimasto. L'infinità di volte di cercare da dove provenissi o chi fossi, mi era saltata per la mente. Nelle notti di primavera specialmente. Come se tutto fosse partito da quel preciso periodo. Ed ora eravamo vicine. Era la fine di febbraio ed avevo paura che quei pensieri ritornassero a galla, e mi tenessero impegnati la mente, la notte. Ma quest'anno ci sarebbe stato Simon a scaldarmi nel letto e cullare le mie paranoie mentali.

Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo immagini. Non erano ben definite. I primi tempi erano più sfocate. Come schizzi abbozzati su una tela con pittura ad olio. Mentre ultimamente e con il crescere, sembravano più nitidi ma ancora sfocati. Così difficili da raggiungere appieno. E mi lasciavo andare all'arrendevolezza. Che i miei genitori naturali non li avrei mai trovati, o almeno qualche parente. E sul perché fossi stata trovata in un bosco, denutrita e deperita.
Era un mistero che sarebbe rimasto celato nella mia testa.

"Hope. Non mi ascolti. Mi preoccupi" sobbalzai, guizzando lo sguardo verso gli occhi ambrati di Johanna.
"Mi dici che ti prende? È già la quarta volta stamattina" innalzò le spalle, scrollandole. Come se non si desse una spiegazione, e si rilegò i capelli corvini in una crocchia.

"Saranno i preparativi per il matrimonio, te l'ho detto. È ancora tutto da decidere. E sono in ritardo. Ci vediamo domani" mi alzai dalla sedia, prendendo tutti i fogli e sistemandoli precisi dentro la cartellina nera, mentre la vidi annuire.

"Dopo chiamami o mandami su whatsapp la foto delle tanto adorate bomboniere" mi riprese derisoria, gesticolando mentre scoppiai a ridere.

"Sarà fatto" annunciai, con la mano sullo stipite, prima di chiudere la porta bianca con un tonfo debole.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora