-Capitolo 52-

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Simon mi riaccompagnò a casa, lasciandomi un bacio quasi uno sfioramento, sulle labbra, vedendolo ripartire per andare a lavoro.
Aprii il cancello in ferro battuto con il suo stridulo, che in quel momento sembrava tartassarmi i timpani, già abbastanza violentati dalle voci che sentivo. O meglio dalla sua di voce, e tutto ciò sembrava surreale.
Varcai la soglia a passi flebili, sentendo le tempie pulsare e venendo avvolta dal buio che emanava la casa, con qualche lampione fuori, dove la luce filtrava ed entrava di sua spontanea volontà.
Avanzai verso le scale, e come sempre gettai uno sguardo alla camera di Miranda che era chiusa, come il nostro rapporto quasi. Non potevo lamentarmi, non era certamente la donna che Simon credeva, ma era pur sempre sua madre, ma io avevo smesso di essere una macchina telecomandata dalle sue parole e sorrisi finti.

Aprii la porta della stanza, lentamente, controvoglia. Come se appena superata potessi aver trovato qualcosa.
Non badai a nulla, entrai solamente, girandomi di spalle per richiuderla, ma come lo feci un refolo di vento, la fede chiudere con più potenza, poiché tenevo la maniglia con mani che sembravano imburrate, girandomi subito con un sussulto dentro e fuori dal petto che scoppiava ormai.
Come un'ossessa mi guardai intorno, notando che la finestra era appena aperta. Forse l'aveva dimenticata Simon. Non potevo essere così restia su tutto, come un'indagatrice ma con problemi seri di una pazzia anormale.
Mi passai una mano sulla fronte accaldata, e in piena angoscia che anche se non volevo, abitava dentro di me, sentendo quel vento entrare e soffiare dentro in modo da avvolgermi del tutto.

Scossi la testa, richiudendola del tutto, e girai la maniglia bianca, tenendola con la mano, come ad aver paura che si riaprisse, facendo più pressione.
Aprii la pochette, afferrando il cellulare, e guardando sul display un messaggio di Joy. Mi diceva che era dispiaciuta per il fatto che fossi andata via, ma probabilmente non sostenevo lo sguardo di Kevin. Se solo avesse saputo che il problema di Kevin era passato all'ultimo piano della scala, perché la mia mente elaborava la sua voce, mi avrebbe presa per una povera scema. E forse lo ero, ma mi andava di credere che qualcosa c'era nel fondale.

Esalai un respiro profondo, che mi comprimeva il petto, prima di scalciare via le scarpe con il tacco, che mi avevano fatto intorpidire i mignoli dei piedi, e sedermi dolcemente, sulla mia fedele nicchia, portando un cuscino a sorreggere la schiena.
Feci luce con la piccola lucina, affissa al muro, per illuminare il libro, dove passai una mano sopra, come a lisciare la copertina, prima di aprirlo e sentire il profumo delle pagine, inebriarmi.
Ma quando lo aprii trovai ciò che non avevo notato, ed ero sicura ora che non era stata opera mia.
Una frase sottolineata con un pennarello nero, che era trapassato anche dalla pagina dietro, rendendo illeggibili alcune parole, ed un petalo di rosa rossa.

Allungai l'indice ed il pollice, che tremavano ora, e lo sguardo perso su quel petalo delicato. Lo toccai sentendo quanto fosse vellutato e lo annusai. Era del suo giardino. Ne ero sicura. Conoscevo a memoria quell'odore, come se facesse parte di me, e mi sentii arrivare una fitta che mi contrasse lo stomaco rimasto a secco per tutto il giorno.
Finché non passai l'indice sulla frase, leggendola accuratamente.
-Ho lottato invano. Non c'è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami.-
Sgranai gli occhi, sentendo un calore estraneo propagarsi dentro, ma raggelandomi le vene, come ghiaccio, come quello che riempiva i suoi occhi.
Mi strinsi nelle spalle, rileggendolo più volte, finché non chiusi gli occhi. In un attimo, la mente viaggiò, come a non controllarla, come un salto nel tempo.
Io stesa inerme, al suolo freddo, dei fari abbaglianti sul mio volto. Il suo viso fatto come uno schizzo abbozzato, i suoi occhi di ghiaccio. Si chinava su di me, le sue mani ad accarezzarmi il volto ma senza toccarlo, come se mi stesse disegnando.
Le sue labbra carnose, che soffiarono quelle parole, il mio corpo preso da un brivido irrefrenabile, e poi il buio.

Riaprii gli occhi di scatto, come ad essermi appena svegliata, da un sogno in cui ero cosciente. Frastornata, catapultata di nuovo nella realtà. Non era un sogno, era la verità. La sera in cui feci l'incidente, aspettando che i fiori di primavera, sbocciassero del tutto, rendendo l'aria più leggera e profumata.
Era lui il mio salvatore. Lui che mi conosceva. Lui che mi proteggeva.
Strappai violentemente, la pagina del libro, letto e riletto più volte, rispiegandolo ed infilandolo nella pochette, rimasta aperta.
Richiusi il libro con un tonfo secco, scendendo dalla nicchia con fretta, ed il respiro smorzato, quasi a faticare a respirare aria, che necessitavo, per sopravvivere a quel vulcano che eruttava dentro di me, con adrenalina come scosse di un filo elettrico, dove la mia mente elaborava alcuni pezzi di un puzzle incompleto. Troppo per vedere il lavoro finito.

Portai un palmo freddo contro il muro, infilandomi le scarpe, che ora sembravano troppo strette per i miei piedi sudati.
Il corpo non cessava di tremare, rendendomi irrequieta.
Era stato qui, nel buio terso e senza stelle, padroneggiato solo da una luna sfocata da nuvole scure. Aveva aperto l'unico libro che per me era come respirare. Sapeva di me più di ciò che sapevo io. Era arrivato dove Simon non era mai arrivato, ovvero nel punto debole del mio essere, nel mio cuore, fino a scavarmi nell'anima profondamente, incidendola come un coltello affilato, che non fa male, ma quella ferita nessuno la può richiudere se non chi l'ha causata.

Stavo davvero andando a cercare conferme? Mi servivano davvero? Stavo davvero partendo nel cuore della notte per andare fin sotto casa sua? Dormiva? Era sveglio? Mi aspettava? O era tra le braccia di una che non ero io?.
Scacciai l'ultimo pensiero, come se facesse male, e ne faceva tanto.
Dopo una settimana di silenzio, di logoramento interno, era riapparso così. Come un ladro, preciso e silenzioso, studiava le sue mosse, per farmi cadere nella sua trappola di ghiaccio.
Avevo bisogno di rivederlo, e di sentire che quelle frasi non le aveva sottolineate per puro caso. Che sentiva che qualcosa di profondo ci legava, come nodi indistruttibili, incapaci da sciogliere anche se tenti, ma ti arrendi a tenerli stretti tra loro, perché così devono restare, per sempre.

La testa girava, come me, che cercavo disperata le chiavi della macchina, spostando oggetti che producevano rumori sconnessi.
Finché non le vidi dietro l'abat-jour crema, acciuffandole, come se avessi trovato un tesoro da tenere stretto tra il pugno della mano.

Aprii la porta della stanza, lentamente. Simon comunque sarebbe tornato il mattino dopo. Di Miranda non mi curavo più. La vita era mia, e la vivevo come volevo io, ora che sapevo cosa voleva dire vivere.

Scesi di fretta le scale, aprendo in un secondo la porta di casa bianca, con uno strascico debole sul pavimento, richiudendola con un tonfo sordo, prima di oltrepassare il cancello e vedere la mia macchina che aspettava solo il mio via, per partire ed andare verso qualcosa per il quale il mio cuore non smetteva mai di battere come percussioni senza sosta.

Sgusciai dentro il sedile di tessuto nero con rombi grigi, ed azionai la retromarcia, sgasando e feci stridere le gomme sul viale di pietra, con un rumore agghiacciante. Ma non me ne curai.
Girai con le mani che sudavano, il volante, dove la presa sembrava scivolarmi e dovetti rafforzarla, ed innestai la prima, accompagnata dal buio e dai suoi occhi che la mia mente focalizzava così bene, sfrecciando nel cuore della notte.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora