-Capitolo 31-

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Pov. Alan

Mi sentivo un cazzo di stalker maniaco, in effetti. Seguirla e rischiando, solo per vederla. Sapevo ciò che gli aveva detto Kevin, non avevo bisogno di conferme. Avevo bisogno di rivedere i suoi occhi azzurri, che risplendevano sempre di desiderio puro, ogni volta che entrava in contatto con i miei.

Cosa potevo rivelargli di me?
Cosa potevo dirle?
Non mi ero preparato niente, e stasera ero sicuro che sarebbe venuta.
Lo sentivo, lo percepivo dal suo sguardo.
Si stavo andando contro certe regole, le infrangevo. E non me ne fregava un cazzo.
Le sue parole mi avevano dato maggior forza, per far tornare il passato a far luce al mio presente.

Guardai gli edifici di San Francisco, con occhi spenti, attraverso la grande vetrata del mio studio, portando le braccia conserte, e sentii la stoffa della camicia bianca, tirare sull'avambraccio.
Il sole era alto in cielo, e tutta quella luce mi urtava. Urtava l'oscurità che vigeva dentro di me. La tristezza che mi agonizzava.
Finché non sentii un rintocco vigoroso, di nocche sulla porta di legno.
Esalai un sospiro, socchiudendo appena le palpebre.
"Avanti" pronunciai asettico ed apatico, sapendo già che fosse Kevin. Ed infatti il suo passo, e subito dopo un colpo di tosse, confermarono la mia tesi.

"Ti ho portato le copie del caso dei Pattson" rivelò tranquillo, sentendo il fascicolo poggiato con un tonfo sordo sulla scrivania, in faggio.
"Qualcosa ti turba?" Mi domandò successivamente, notando il mio silenzio.

Dissentii con la testa, vedendo attraverso il vetro i suoi occhi verdi, che cercavano i miei, con precisione.
"L'hai rivista?" Domandò intercettando il mio sguardo. E più che una domanda, suonava come un rimprovero.

Sorrisi amaramente, stringendomi le spalle nella giacca nera.
"Non scherzavo quando dicevo di portare il passato nel presente" gli riportai la frase di tre giorni prima, con tono sprezzante, sentendolo emettere uno sbuffo e subito dopo il tonfo secco, del suo palmo, sbattuto sulla scrivania.

"Non riguarda solo te, ma anche lei. E sai cosa hai promesso. Non capisco perché ti ostini. Potrebbe semplicemente ricordare tutto e continuare ad odiarti per ciò che le hai fatto, senza mai rivederti. Invece di farti odiare mentre ti guarda negli occhi" rivelò serio, tentando caparbio di farmi comprendere quelle puttanate.

Mi girai fulmineo verso di lui, vedendolo chinato con la schiena, appena, verso la scrivania.
"Io l'ho salvata. Sarebbe morta se non fosse stato per me. Avrebbe continuato a fare la prostituta. Dio solo sa cosa le sarebbe successo. Cazzo!" Sbraitai fuori di me, portandomi una mano in maniera frustrata tra i capelli, andando avanti ed indietro per lo spazio amplio dell'ufficio.
Andai verso la credenza in legno, riempiendomi un bicchiere con del whisky, che sgolai in una sorsata. E neanche quello alleviava l'amato che mi rimaneva sul palato, che seccava e raschiava le pareti della gola.
Sentivo il suo sguardo trapassarmi le scapole, e potevo immaginare che stesse scuotendo la testa, a capo chino e la schiena ancora curvata verso la scrivania.

"Pensa se venisse a saperlo il tuo cliente Simon. Come reagirebbe? Come gli spiegheresti la faccenda dei tuoi falsi sorrisi, inviti accettati a cui vai solo per Hope? E sopratutto pensi che Lei...non gli dica niente?" Mi pose delle domande susseguite, tartassandomi la testa, mentre tenevo ancora il bicchiere di cristallo nella mano che scottava. Sapevo a chi si riferiva, ma non credevo sarebbe scesa a tanto.

Mi voltai verso di lui, alzando una mano, come a scacciare qualcosa nell'aria.
"Cazzate. Non direbbe nulla. Sa il prezzo da pagare qual'è. Una merce di scambio, diciamo" feci un ghigno, rivelando ispido quelle frasi, mentre Kevin si drizzò, guardandomi con un sopracciglio innalzato, come se non capisse.

"Cazzo...l'hai minacciata. Ma che ti dice il cervello?" Mi accusò tagliente, passandosi entrambe le mani ai lati dei capelli castani.

"Kevin sei mio amico, ma di queste cose te ne devi sbattere le palle. Sono affari miei. Intesi?" Aggiunsi l'ultima parola, digrignando i denti che quasi scricchiolarono tra loro, e guardandolo con gli occhi che sembravano due tizzoni ardenti.

"Come ti pare" alzò le mani in aria, storcendo appena la bocca, piegata in giù in una linea sbieca. Percepivo la sua delusione. Ma per chi non aveva mai donato il cuore a qualcuno, non poteva sapere com'era vivere senza.

Portai solamente il pollice e l'indice sul setto nasale, senza aggiungere altro, prima di vederlo aprire la porta e richiuderla alle sue spalle, con un tonfo pesante.

"Cazzo!" Ringhiai furioso, sbattendo il bicchiere sulla credenza.
Non ero felice di ciò che avevo fatto. Ma avevo imparato a non fidarmi delle persone. Neanche a quelle del mio stesso sangue.

Estrassi il cellulare dalla tasca del pantalone grigio fumo. Probabilmente non avrebbe capito come facevo ad avere il suo numero. Ma tante cose di me non sapeva, e tante cose di me non la stupivano più.

Scrissi velocemente un messaggio. Molto spesso preferivo una chiamata veloce. Odiavo mandare messaggi. Odiavo sprecare troppe parole attaccato ad un apparecchio telefonico. E specialmente non amavo parlare in generale.
La voglia di sentire la sua voce sensuale ed incerta, si faceva largo dentro di me. Sapere che si sarebbe morsa quel labbro carnoso, mi faceva impazzire.

Hope Weston

-Ciao, sono Alan...stasera alle 20, fatti trovare vicino casa tua, ti passo a prendere.

Non potevo dire di essere stato carino. Non potevo dire che era un messaggio che ogni donna sognava di ricevere.
Tornai dietro alla scrivania, sedendomi sulla poltrona, e rovistando il fascicolo del mio caso. Avevo un lavoro, ma nonostante questo il mio più grande lavoro era lei. Mi sentivo appagato. Non credevo un giorno, di arrivare al mio sogno di divenire un avvocato. Ma ogni obbiettivo che avevo raggiunto era per lei. Lei non mi vedeva, ma io ero ovunque. Mi bastava anche solo osservarla da lontano.

Guardai ripetute volte il telefono, agonizzando in attesa di una sua risposta. La gamba si muoveva frenetica sotto al tavolo, alzandosi ed abbassandosi, senza mai trovare pace. La penna sbatteva ritmica su i fogli che esaminavo, a cui non badavo la giusta attenzione. Mentre l'altra mano era sulla tempia.
Finché non sentii la cazzo di vibrazione, e mi aggiustai gli occhiali.

Da Hope Weston

-Non ti chiederò come hai avuto il mio numero. Secondo...cosa ti fa credere che verrò? La mia ieri non era un "si".

Lessi attentamente il messaggio, mascherando appena un sorriso sfacciato, passandomi il pollice sul labbro inferiore.
Adoravo quando era così scontrosa. Era ancora più fottutamente scopabile.

Hope Weston

-Ci vediamo stasera.

Confermai io per lei, sapendo che non avrebbe risposto, e sicuramente sarebbe stata alterata, per il mio modo di prendere decisioni al posto suo.
Ne avevo prese tante al posto suo. Anche quella per il quale mi avrebbe odiato.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora