-Capitolo 10-

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Pov. Alan

Quando chiudiamo gli occhi, speriamo di poter controllare i nostri sogni. Cerchi di tornare in un luogo a te sereno, in un luogo che ti fa sentire in pace con te stesso. Cerchi...ma così non è mai. Gli incubi tornano sempre a tormentarti. Gli sbagli si presentano per punirti, ancora. Non ne hanno mai abbastanza. Ti ricordano che tu sei ancora quella persona lì. Che ha fatto tanto, eppure così poco. Che ha tentato ma non quanto avrebbe dovuto. Che per una persona che salvi, un'altra no.

Quel giorno, era arrivato. Sentivo la primavera scorrere anche nelle mie vene. Il magone formarsi in gola. Il sudore imperlare la mia fronte. Agitazione incontrollabile, che smuoveva il mio corpo. Troppo presto. Eravamo troppo vicino.
Sapevo sarebbe successo. Speravo non così.

Speravo di non rivederla. Non avrei mai dovuto conoscerla, non avrei mai dovuto rincontrarla. Eppure era lì. Sulla soglia della porta di quella casa, in cui era entrata da cui era uscita anni prima. Non ricordava nulla. Proprio come era previsto. Lei non sapeva. Non poteva sapere che io l'avevo cullata tra le mie braccia. L'avevo amata nel segreto assoluto. Troppo rischioso dirlo. Non usavo quella parola, non sapevo che gusto avesse. Ma ogni volta che vedevo i suoi occhi azzurri e puri, veniva semplice poterla dire. Ma non l'avevo mai fatto.

L'avevo trattata in maniera poco carina. Zero tatto. Scorbutico al punto dell'impensabile. Lontano. Era questa la parola che si ripeteva come un mantra nella mia testa. Lontano da me, dal suo passato. Adesso era Hope. La speranza, la mia speranza. Di lasciarla fuori pericolo.

La spiavo sempre. Lei non mi vedeva, ma io ero lì. Come uno stalker ossessivo, compulsivo. Sapevo la vita che conduceva, con chi stava. Chi fosse la sua migliore amica. Preparazione di un fottuto matrimonio. Ero come l'ombra di Peter Pan.
C'era mancato così poco ad essere scoperto quella sera. E non avevo evitato il suo incidente. Sempre così sbadata. Lo era sempre stata. Viveva in un mondo tutto suo.

Mi chinai a terra, era priva di sensi. Chiamai subito l'ambulanza e prima di scappare come un codardo, mi avvicinai al suo viso di porcellana.
"Ho lottato invano. Non c'è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti"

Era un pezzo del suo libro preferito. Orgoglio e pregiudizio. Di Jane Austen. Odiavo leggere. O meglio, leggevo ciò che m'interessava. Amavo disegnare. Dentro ogni disegno c'era un'espressione diversa. Dipendeva da come usavi i tuoi strumenti, le mani. Ma quel libro lo avevo letto così tante volte, me lo aveva letto talmente tante di quelle volte. Che ricordavo ogni singola frase. Ogni sillaba che soffiava leggiadra da quelle labbra rosee.

Guardai Vanessa alzarsi dal divano, e venire incontro a me. Dovevo evadere da quei pensieri. Dovevo rimanere un'ombra. Il suo mondo era differente ora. Il mio era questo. Un uomo che prendeva e non dava niente. Che esigeva ma non amava le imposizioni.
Ciò che non avrei dovuto essere. Ma nella vita non sempre si sceglie. Lo sapevo bene.

Ci recammo nella camera da letto, come era di consuetudine. Molto spesso mi ritrovavo nei ménage a trois. Ma stasera c'era solo Vanessa.

La guardai togliersi il corpetto che le comprimeva il seno rifatto, ed il suo sguardo lussurioso, illuminarsi sempre di più. Lasciandolo cadere a terra.

"E così...hai fretta eh?" Le domandai, vedendola annuire. Mi sentivo asettico. Privo di tutto.

"Non mi piace come la guardavi. Non ti vado più bene Alan?" Fece scorrere le unghie laccate di rosso, sul mio petto, scoperto dalla camicia.

"Chi quella? Ma l'hai vista?" Cercai di sviare il discorso, e di mentire. Ci riuscivo bene, fin troppo. Mentre avrei voluto dirle, che lei era diversa. Era qualcosa da proteggere. Troppo preziosa per essere sprecata con uno come me.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora