-Capitolo 61-

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Pov. Alan

Richiusi la porta con uno strascico debole sul pavimento, allentando piano la presa sulla maniglia di ferro.

Mi voltai, puntando gli occhi sull'orologio a cucù affisso sulla parete. Il ticchettio ritmico che spezzava la quiete, e le lancette mi indicavano che era l'ora.
Tra poco sarebbe stata qui. Avevo promesso di darle ciò che voleva, in cambio di sapere la sua frase.
Sentivo che il mio corpo reagiva in modo frustrato a tutto ciò. Temevo e non sapevo perché.
Faticavo a trovare uno spiraglio di pace al mio interno, ma visualizzai il volto di Hope ed il suo modo di mordersi il labbro, stendendo i nervi che sembravano pronti ad esplodere come mine atomiche.

Scrollai le spalle, passandomi una mano sul ciuffo pece, lasciato mosso, mentre scesi le scale, ed afferrai le chiavi della macchina, prima di uscire di casa.
Sapevo dove l'avrei trovata, era ormai casa sua.
Ero stato ignobile, poiché le dissi che era partita abbandonandola. Oggi avrebbe riscoperto che non era così. Forse era un suo nuovo inizio, come lo era il mio. Ognuno di noi può avere seconde opportunità.
La memoria può venir spazzata via, ma se due persone nel tempo si ritrovano, può risortire fuori quel sentimento.

Sorrisi di cuore a quel pensiero, ed il sole in alto, risplendeva e rispecchiava il mio umore.
Pigiai il pulsante della macchina, sentendolo scattare sull'attenti con il suo Clic armonioso, e lampeggiare appena, prima di avvicinarmi e sgusciare nel sedile di pelle.
Appena entrai e richiusi lo sportello, inalai il dolce odore di Hope, che era rimasto impregnato e permeato su quel sedile e tra questo piccolo spazio angusto. I suoi sospiri, le sue gambe agitate che fremevano, rivelando il tappetino sotto al suo sedile, stropicciato ed appena sporco, per via dei suoi continui spostamenti.
Mi morsi il labbro, infilando la chiave nella serratura d'accensione, per fare retromarcia ed avviarmi.

Sfrecciai con la compagnia del suo odore e dell'aria condizionata, fino a visualizzare l'insegna spenta, del Red Tower.
Sostai la macchina nello spiazzato ghiaioso, facendo scricchiolare quei sassolini, e la macchina oscillò appena, come una barca mossa dalle acque agitate.
Scesi in fretta, sbattendo lo sportello con enfasi, e tirai con una spinta sulla maniglia nera, la porta del locale, nonostante il cartello segnasse chiaramente che era chiuso.
Sapevo che c'era ancora qualcuno che era rimasto nelle camere al piano di sopra, spendendo soldi per un servizio completo ed una nottata, con le ragazze che intrattenevano.

Appena varcai la soglia, l'odore di tabacco, misto a marijuana, droga ed alcol, mi schiaffò in pieno viso, annientando dalle narici l'olfatto che prima era impregnato di Hope, venendolo sostituito dal marcio.
Allargai le narici schifato, corrugando la fronte, dove sicuramente si erano formate tre linee come dei solchi.
Ispezionai il locale, che conoscevo a memoria, ricevendo occhiate dalle poche ragazze. Alcune ancora perfettamente truccate e con gonnelline di pelle e bustini che a malapena coprivano i capezzoli, e delle code tirate perfettamente, come se fossero state delle copie di Xena.
Altre invece sì massaggiavano le tempie, sedute su i divanetti di pelle, con delle vestaglie azzurre e rosse, probabilmente di seta, o sorseggiavano del caffè o del thé, poiché delle brocche di porcellana bianche, erano disposte sopra un vassoio d'argento, sul tavolino bianco quadrato, con tanto di vasetto con zucchero bianco o zucchero grezzo di canna, dolcificante, e qualche biscotti.

Le luci soffuse, poiché era pieno giorno, a rendere quel posto migliore di ciò che era di notte. I pali abbandonati dove la sera le ragazze si strusciavano, e le sedie impilate una dentro l'altra.
Vidi due ragazze intente a pulire i banconi ed a spazzare i rimasugli di sporcizia, finché una non si fermò davanti a me, con la scopa in mano.

"Siamo chiusi amore. Ma per te faccio un' eccezione" rivelò civettuola, tentando di essere sensuale con il tono di voce, e squadrarmi come una cagna affamata quale era, scuotendo i capelli rosso fiamma.

Incurvai le labbra in un sorriso sornione, avvicinandomi a lei, che si leccò le labbra, in trepida attesa che me la sarei sbattuta in una di quelle camera, accostandomi al suo lobo, per sentirla sospirare.
"Ti consiglio di fare altro con quella bocca da puttana, piuttosto che dire cazzate" sbottai ispido, staccandomi subito per vedere il suo sguardo ambrato basito, e offeso dal mio comportamento, tornando a fare la sua mansione.

"Dov'è Vanessa?" Domandai freddo, aspettando che qualcuna mi desse una risposta, finché la ragazza Afroamericana, che prima si massaggiava le tempie, non mi rispose.

"È in una delle stanze" proclamò fiacca, con la voce di chi aveva tirato alla grande, rendendola quasi rauca, rimanendo china a massaggiarsi le tempie che probabilmente le scoppiavano.

Non mi presi la briga di ringraziarla, avviandomi verso le scale, quando la vidi sbucare, con gli occhi rivolti verso lo scalino. Fin quando non alzò piano lo sguardo verso di me, dipingendosi di un'espressione stupefatta.
"A...Alan. Che sorpresa. Hai una bella faccia di cazzo a venire" si riprese sulla parte finale, per scaraventarmi addosso la sua frustrazione per non averla più cercata per le nostre scopate.

"Preparati" affermai solamente, duro, senza dar adito alle sue parole.

La guardai scuotere la testa come a non capire ed intercettare il mio sguardo.
Vedevo un lampo di speranza nelle sue iridi, mentre i miei erano asettici.

"Vuoi portarmi a fare un Pic-nic?" Domandò curiosa, muovendo appena le anche e mordendosi le labbra, mentre una musica R&B iniziò a tuonare dalle casse, facendo urlare le ragazze e dimenarsi.

"Si, in un bel posto. Preparati...non ho tempo da perdere" ricalcai risoluto, vedendola fare dietro front per andarsi a preparare.

Mi appoggiai con i gomiti all'indietro sul bancone, e la schiena premuta contro esso, guardando le ragazze ballare.
"Sei venuto per sbatterla?" Mi girai verso la ragazza che domandò con tono freddo, quella frase, riempiendo un bicchiere di whisky e porgermelo, scontrandolo con il suo, che finì in una sorsata, emettendo un verso stridulo, per il bruciore infondo alla gola.

"Non sono cazzi che ti riguardano" la redarguii ispido, notandola riempirsi un secondo bicchiere.

"Senti non voglio che soffra. Si sta frequentando con un ragazzo...quin..." ma non le lasciai finire, quelle frasi del cazzo, che la ripresi assertivo, girandomi verso di lei per guardarla meglio negli occhi grigi.

"Ho detto che non sono cazzi tuoi. Non voglio sbattermi la tua amica, se è ciò che ti preoccupa" rivelai pungente, mentre sentii una tosse finta, arrivarmi dietro alle spalle.
Guardai il volto della ragazza, simulare un'espressione di disprezzo, indicando con gli occhi chi avevo dietro.
Mi girai verso Vanessa, passandomi una mano tra i capelli.

"Felice di sapere che non verrò usata per sgonfiarti le palle" rivelò spigolosa, premendo la borsa sul fianco destro, e portò le braccia conserte, mentre esalai un sospiro esasperato.

"Andiamo" sbottai, senza chiederle scusa, avvolgendo la mia mano intorno al suo braccio, che non oppose resistenza, per aprirle la porta, e venire colti dal calore di quella giornata, fino a condurla dentro la macchina, aspettando che salisse, prima di richiudere lo sportello con un tonfo netto.

Rimanemmo in silenzio per una decina di minuti, o meglio io rimasi in silenzio, mentre lei tentava di parlare sul tempo, sul colore del suo abito del quale non me ne fregava niente.
"Insomma mi vuoi dire perché mi volevi?" Mi domandò ferma ed esasperata dal mio silenzio, aggiustandosi i capelli lisci, allo specchietto affisso sul parasole.

Cambiai la marcia, rimanendo con lo sguardo sulla strada.
"Una persona ti vuole vedere" le rivelai più pacato e controllato, anche se l'ira di rivedere la faccia di quella strega, non mi entusiasmava.

La sentii emettere un "oh" sorpreso, come le labbra che formarono quella vocale, prima di portarsi i palmi sulle ginocchia scoperte.
"E chi?" Chiese curiosa, voltandosi con il busto dalla mia parte, iniziando ad essere stufo di quella chiacchierata.

"Una persona. Ti basta sapere questo" la informai, troncando la conversazione di netto, sentendola sbruffare e scrollare le spalle, perdendosi ad ammirare il finestrino al suo lato.
"È una persona importante per te" aggiunsi più dolce, poiché mi sentivo in colpa con lei. Lei non aveva colpe, se non quella di essere la figlia di un'arpia.

La notai girarsi lentamente, sorridendomi genuina, con l'angolo delle labbra innalzato, come per ringraziarmi di qualcosa.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora