-Capitolo 22-

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Non sapevo bene il motivo, ma non mi sentivo in colpa con Simon per i baci famelici che mi aveva dato. Lui risvegliava in me qualcosa di profondo, che tenevo dentro. Qualcosa che cercavo e trovavo solo quando c'era lui. Era come se conoscesse ogni parte del mio corpo a memoria, come un pianista che sapeva già le note da suonare. Stavo iniziando a vorticare nell'ignoto, lo sapevo bene. Ma per ogni scopo c'era un prezzo da pagare. Se volevo sapere di più sul suo conto, avrei giocato le mie carte. Non ero brava in ciò è probabilmente per lui ero un Jolly. Una carta facile da tirare quando non hai altre mosse da fare.

Ed invece avrei dovuto sentirmi pentita, mi sarei dovuta martoriare internamente, ma la mia mente non era d'accordo, e nemmeno il mio corpo, dove ancora sentivo la pelle d'oca, che sembrava non affievolirsi mai.
Mi scusai immensamente con gl'impiegati che aspettavano l'ascensore, dando la causa ad un blocco momentaneo. Mentre lui era già svanito. Veniva, mi sconvolgeva, mi ribaltava, e andava via. Senza motivi, senza valide ragioni. Per lui ero un gioco, da manipolare. Quale era il suo scopo in tutto ciò?!

Tornai in ufficio a passi mesti, con il cuore in gola, a spalancando con un cigolio tremante, la porta in vetro dell'ufficio, dove Joy era seduta sulla poltrona girevole, in attesa di gossip. Lo notano dai suoi occhi ambrati pieni di curiosità, ed il suo sbattere le ciglia, implorante che io le dicessi tutto. Tutto era relativo. Non potevo dirle del contatto fisico. Avrebbe allestito l'ufficio con palloncini e trombette frastornanti. Avrebbe aperto una bottiglia di Chardonnay, e comprato caviale. Avrebbe appeso striscioni, ed appurato finalmente la sua grande teoria. -Simon non è l'uomo per te-.

"Allora?" Sobbalzai persa tra i miei pensieri assidui, raggiungendo la scrivania, mentre il bigliettino tra le mie mani sembrava scivoloso, dato i miei palmi umidi.

"N...non c'è nessun allora" balbettai incerta all'inizio, soppesando bene le parole da cacciare fuori, accomodandomi svogliatamente sulla poltrona, con ancora il tremolio incessante.

"Ascolta Hope. Sai la definizione di Manzo cento per cento, carne fresca di razza pura? Fisico da spavento. Le mani ruvide che al solo sfioramento avviene un allagamento. Voce rauca e possente. Occhi da brividi. E tu...tu mia grande amica, unica, la migliore del mondo. Non vuoi dire nulla a questa povera anima eccitata?! Io mi cibo di uomini. Mi lasci a secco" comunicò afflitta e con sguardo trasognante, immaginandosi perfettamente lui. Una descrizione dettagliata. Si era fatta un ritratto mentale. Lo dimostrava la mano racchiusa in un pugno, che sorreggeva il mento, annuendo con se stessa.

"Joy" la ripresi severa, vedendola scuotere la testa e puntare i suoi occhi nei miei come una felina.

"Hai visto le sue labbra? No dico...le hai viste? Se solo potessi testare con mano, quante cose sanno fare, tante quante ne sta elaborando la mia mente. E sta facendo ancora la ricerca con tanto di cerchio che gira ancora per caricarsi. E dai." Mi supplicò di nuovo, formando una specie di broncio tenero, con sguardo da gatta ferita.
Mentre scoppiai senza un motivo a ridere. Era impossibile essere serie, con una ragazza come Johanna.
E se avesse saputo cosa sapevano fare le sue labbra. Sapevano mandare in cortocircuito il cervello. E la sua descrizione non era dettagliata quanto la mia. Io che lo sognavo ogni notte. Forse ancor prima di conoscerlo di persona. Come un'apparizione che cerchi disperatamente. Ed istintivamente serrai le gambe, sentendo ancora una fitta nell'intimità.

Aprii la mano dove era il biglietto, sporgendomi dalla scrivania e notando Joy alzare il sopracciglio come se non sapesse che diavolo fare. Finché non allungò il braccio, prendendo il biglietto e leggendo il nome.
"Sai cos'è?" Le domandai a bruciapelo, vedendo il suo sguardo attonito e la testa annuire convinta, poggiando il bigliettino sulla scrivania.

"Il Red Tower. Impossibile non conoscerlo. È il locale più in voga del momento. Un locale che sicuramente non è per te Hope. Dove l'hai trovato?" Chiese curiosa, girandosi completamente con la sedia, dove le rotelle strusciarono deboli sul pavimento, per guardarmi faccia a faccia.

"È...l'ho trovato, me l'ha dato lui. Il proprietario voleva modernizzare il locale, ed è venuto lui al posto suo." Mentii con la prima scusa che mi era passata per la testa, stando attenta a mantenere una voce ferma e sicura.
Guardai Joy mordersi il labbro ed attorcigliarsi la coda come uno chignon, pensando a cosa dire o forse se credermi.

"Devi presentarti lì. Beh mia cara, se vai vestita da suor Teresa fidati che non ti farà cambiare neanche lo specchio all'entrata. Ma per fortuna hai qui la maga della seduzione." Rivelò con tono seducente e modesto, spiegandosi una mano davanti la sua figura, per rincarare la dose della sua modestia immensa.

Sgranai leggermente gli occhi, ed il mento traballare, per l'ansia che si stava facendo largo.
"C...come dovrei vestirmi?" Le domandai con voce appena percettibile, mordendomi il labbro gonfio, dei suoi baci e dei miei denti affondati troppe volte. Ed era un sollievo che Joy non si fosse accorta di nulla. Forse troppo presa dall'immagine di quel Dio bastardo.

Allontanò appena la mano, stendendola davanti a lei, per controllarsi le unghia smaltate, tornando su i miei occhi maliziosa.
"Diciamo che le gonne a plissé, possiamo rimandarle alle uscite noiose" ammise allungando il collo e dondolandolo appena, come a farmi capire a chi si riferisse, e non potei non roteare gli occhi ma sentirmi anche divertita da quelle affermazioni, e dal suo ambrato goliardico.
"Stasera vieni da me. Ti rimetto a nuovo baby" proclamò in piena enfasi, alzando entrambe le sopracciglia e riabbassandole, con fare ammiccante, e girandosi con la sedia come una trottola.

Tornai a casa, in ansia. Mi stavo buttando in un gioco d'azzardo. Perché con Alan azzardavo e mi piaceva forse anche quel gioco. Ma ero stufa di sentirmi Cappuccetto rosso e lui il mio cacciatore. Ormai ero quasi sicura che non ci fosse più nulla a legarmi a Simon. Lo avevo tradito, lo stavo tradendo, e probabilmente avrei continuato. Era come una dipendenza dal quale non riuscivo a farne a meno. Tanti uomini prima di Alan sul posto di lavoro, avevano tentato approcci, o di corteggiarmi sfacciatamente. Li respingevo, non m'interessavano. Avevo in testa solo Simon. Ma solo lui riusciva ad incuriosirmi, a farmi sentire elettrica. Ed era un circolo vizioso, tossico per il mio stato fisico e mentale. Prendeva spazio quando meno me lo
aspettavo, e lì rimaneva. Forse era solo la curiosità, di scoprire chi fosse realmente. Perché soggiogava la mia mente e faceva nascere in me fantasie perverse.

Andai su a passi fiacchi, togliendomi le scarpe, reggendola tra l'indice ed il medio, appurandomi con certezza che Miranda non era nei paraggi e neanche a casa. Era solita uscire molto spesso con le sue amiche, per delle serate del "consiglio" come le chiamava lei. In realtà organizzavano solo feste noiose, dove gente ricca si riuniva per far sfoggio del loro denaro.
Simon era partito come il suo solito, per un'affare a Washington. Era uno dei migliori Broker finanziari, e sapevo bene che era richiesto dai clienti. Sarebbe stato via una settimana intera. Una settimana in cui avrei potuto scoprire quel misterioso uomo. Scansando ed evitando di non cadere nella voce, ogni qual volta Miranda mi avrebbe sottoposto a delle domande. Dovevo essere convinta nella tonalità e negli occhi, che lasciavano trapelare ogni emozione, anche la più superflua. Lei mi studiava. E non capivo bene il perché molto spesso ricordasse a Simon che forse non ero la donna giusta. Udivo le sue parole mormorate con una punta di disprezzo, ed ogni volta Simon mi difendeva. Non ne avrei mai fatto parola. Ma se era ciò che pensava, forse aveva ragione. Perché adesso ne ero convinta, sempre di più, che mi sentivo attratta dal pericolo, e finché non avrei tolto la sua maschera non mi sarei saziata.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora