-Capitolo 41-

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Aprì la porta con un calcio, sentendo il rumore della maniglia di ottone sbattere contro le piastrelle verdi del muro, e tornare appena in dietro con un cigolio.
Ero ancora avvinghiata a lui, quando con una mano lasciò una mia natica, per allungare il braccio verso il box doccia già aperto, azionando il getto e controllando quando la temperatura dell'acqua sarebbe divenuta più calda e non ghiacciata.
Mi tenni aggrappata alle sue spalle ampie, come se fosse stato un appiglio. Un'ancora della mia salvezza, annusando di nascosto il suo buon odore, che infettava dolcemente le mie narici, socchiudendo appena gli occhi.
Lo sentii rilasciarmi piano, toccando con la pianta del piede, il rialzo in ceramica bianco, già bagnato, procurandomi una dolce pelle d'oca, mai quanto quella che mi procurava lui.
La sua mano salì fino al mio fondoschiena, sentendo i capezzoli divenire di nuovo turgidi, per essere stati strusciati contro il tessuto della sua maglia aderente, che metteva in mostra il suo fisico delineato e prelibato.
Alzai di poco lo sguardo, incontrando i suoi occhi che mi fissavano il seno compresso sul suo petto, enfatizzato, per tornare su i miei occhi lucidi, rilasciando un sospiro pesante, come provato. Lo vedevo dalle sue iridi argentee con sfumature di ghiaccio. Tornava come prima, e tutto questo mutamento, come un camaleonte, mi faceva confondere.
"Vuoi entrare con me?" Domandai azzardata e timorosa sulla risposta, cercando di essere persuasiva quantomeno.

Lo vidi distrarsi un secondo dai miei occhi, puntandoli oltre le mie spalle, dove piccoli fiotti d'acqua arrivavano deboli, poiché non ero del tutto sotto al soffione, che scrosciava veemente e copriva in parte le nostre parole.
"Direi di no" affermò netto ed ispido, come se l'Alan di prima fosse stato sostituito in un nano secondo, da l'Alan pezzo di ghiaccio senz'anima.
Rimasi un attimo basita, sbattendo più volte le ciglia, ed il mio viso tramutò, in un'espressione delusa ed amareggiata, ingoiando a fatica un senso di pastosità, che mi serrava la gola.
Provai ad aprire la bocca per parlare, ma prima che potessi emettere qualche suono, prese parola lui.
"Vado a vedere se è tornata Dorothy" mi comunicò secco, senza tornare più sul mio sguardo che lo cercava o preoccuparsi se ci ero rimasta male. Niente di tutto ciò. Si voltò, richiudendo la porta con un tonfo, dietro le sue spalle.

"Fanculo" bisbigliai tra me e me. Come sempre mi lasciavo andare. Stavo bene. Amavo anche le sue imposizioni che dettava rauco e suadente, intrigante da farmi fremere e bagnare come nessuno prima d'ora. Mi piaceva da matti il suo sguardo famelico, da cacciatore spaesato che invece dell'agnellino, trovava una lupa affamata. Ci divoravamo con gli sguardi e con gli ansimi.
Potevo ancora sentire il sapore della mia fica sulle dita, ed ero venuta per lui, esposta a lui in ogni modo. Il suo sguardo lussurioso nel vedere le mie labbra gonfie ed arrossate. Il
Suo cazzo pulsante nei pantaloni. Era tutta un'estasi, una dipendenza tossica per chi non conosceva certe sensazioni. Ne abusavo, e rischiavo.
Perché poi tornava freddo e rigido. Eppure in questi giorni non era così. Cosa aveva di tanto enigmatico dentro. Di tanto turbolento?!
Lo volevo sapere, perché ora per me era diventato molto più di uno sconosciuto da evitare e desiderare. Era diventato qualcosa che annullava Simon, qualcosa che mi faceva sentire viva e libera. Lui mi faceva sentire come una libellula.
Esiste una linea così sottile da oltre passare, tra sbagliare ed essere felici, o fare la cosa giusta ma accontentarsi. Ed io non sapevo veramente cosa scegliere. In cuor mio forse lo sapevo, ma sapevo anche che nella vita esisteva o il bianco o il nero, il grigio non era un colore che si addiceva. Questo me lo aveva insegnato Joy, che poteva essere stramba e forse cambiare uomini come rossetti, ma mia madre cosa avrebbe detto?! Non sapevo se esisteva. Se ero nata e poi abbandonata. Se l'avevo conosciuta. Non avevo avuto insegnamenti, perché il mio passato era un buco nero e vuoto, dove solo la notte tornava sotto forma di incubi nel quale la mattina non ricordavo più niente.
A quel pensiero mi scese una lacrima, che si mischiò con l'acqua calda che scorreva veloce sul mio corpo, e veniva risucchiata. Il sapere chi non ero, era la peggior cosa che uno poteva passare nella propria vita.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora