-Capitolo 29-

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-Ohio 10 anni fa-

Il controllore Newton era intento nel suo controllo pomeridiano. Venivano senza permesso, non ne avevano bisogno, e spalancavano le porte dei nostri "rifugi". Già li chiamavo così io, anche se erano delle misere stanze. Per me quel letto a castello malandato era il mio angolo dove potevo sognare mia madre, dove potevo ricordarmi il volto di Grace. Mi mancava. Non sapevo dove era, e tutto ciò mi straziava lentamente. Agognavo nella speranza di vederla in fila. Non certo per vendere il suo corpo. In fila per assicurarmi che stesse bene. Il solo pensiero che faceva la prostituta come me, mi faceva perdere tutte le speranze che divenivano lacrime che non pulivo. Le facevo rimanere lì sulla guancia, a seccarsi. A diventare parte della mia pelle arrossata.

Mi persi un attimo in quegli occhi scuri e diabolici, la mascella squadrata sempre contratta, che ci studiava con attenzione.
"374" sobbalzai quando sentii il mio nome. Per loro era questo. Non avevo più un nome di battesimo, non avevo un cognome.

"Si" cercai di controllare la voce, prendendo ossigeno per riempire i polmoni. Non potevo traballare, indugiare. Dare un cedimento. Dovevo mostrarmi sicura dentro le mie insicurezze.

"Oggi festeggerà il suo decimo cliente. Ordini dal capo" rivelò beffardo, lisciandosi la poca ricrescita scura sul mento.

"Festeggiare?" Domandai attonita, guardando le altre ragazze che non puntavano mai lo sguardo su di me. Restavano a testa china, intente a guardare i loro vestiti logori. Perse nei loro pensieri. Nessuna si era mai confidata con me. Ed io tenevo i miei segreti nella cassaforte del cuore.

"Non si ricorda il significato di questa parola?" Si beffeggiò con disprezzo, avvicinandosi, sentendo gli scarponi far scricchiolare un asse di legno a terra, mentre tentai di farmi piccola e schiacciarmi contro il muro freddo. Non avere paura, mi ripetevo.

"Sai sei fortunata. Perché tra i tanti ragazzini, per te hanno scelto il migliore. Il figlio del capo. Dovresti sentirti onorata, tu che sei solo una puttanella" sputò fuori ispido quelle parole, e più aspro possibile, per vederlo masticare qualcosa in bocca come una chewing-gum, che gonfiava la sua mascella. Ma mi accorsi che era solo uno scaracchio, che arrivò dritto sul mio viso inebetito e triste.

Finché non girò le spalle e richiuse la porta con un tonfo pesante, tanto da far tremare quella porta in legno.

Mi pulii con il lembo del vestito putrido, la guancia. Sperando che gli incubi prima o poi svanissero. E che se avevo ancora una stella che splendeva per me, mia madre che mi proteggeva, il figlio del capo sarebbe stato magnanimo. Ma noi non avevamo un'anima. Eravamo numeri. Perché in questa vita siamo solo scatole vuote, numerate, che un giorno abbandoneranno la loro pelle, la terra, per lasciare spazio ad altri numeri.

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Dopo l'episodio di ieri notte con Miranda, avevo bisogno della mia fedele corsa mattutina. Corsa che avrei tenuto con Joy. Non sarebbe sfuggita a tutto ciò.

Mi ero svegliata ripetute volte, benché avessi dormito poco. Sentivo il mio sonno agitato, il cuore palpitare. E forse la causa era lui. Ma il ricordo di un letto a castello e di una finestrina dal quale penetrava una luce fioca, mi faceva intendere che non sempre era la colpa sua. Forse stavo impazzendo. O lo ero già.

Scostai lentamente le coperte, solo il lenzuolo che si era avvolto intorno a me, mentre il piumone giaceva inerme, in fondo al letto quasi a toccare il pavimento.
Le tempie pulsavano ancora, ricordandomi ciò che avevo fatto. Era inutile scervellarmi sull'accaduto. Ero stata consenziente. Per questo ancora più in conflitto con me stessa. Ed il brusio allo stomaco sembrava tormentarmi.

-Rewinding of me- Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora