Piccoli ricordi...

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Dentro c'era, una maglietta quasi irriconoscibile,per la quantità di sangue secco su di essa. Era la mia preferita,ed ora diventerà solo un'altra cosa da bruciare. Ma mentre la poggiai sul letto sentì come un forte suono alle orecchie ed una profonda sensazione di vertigine,seguita da un senso di vomito. Gli occhi mi si annebbiarono e caddi con un tonfo sordo sul letto.

*"attento!!! Sterza,veloceee,ci viene controo!!!" urlò mia mamma.

E un forte abbracciò mi riparò dall'incidente. "ti voglio bene!" le ultime parole di Mario.*

Un flashback illuminò la mia mente rendendo vivo quel ricordo. Riaprì lentamente gli occhi. Avevo la fronte sudata e il mio cuore batteva fortissimo. Mi misi la mano sul petto e ascoltai quel rumore provenire da dentro così forte che si sentiva anche l'eco.

Le lacrime mi scivolarono sul  volto,creandomi solo un forte senso di risucchio nel materasso,come se stessi all'apice di una voragine in grado solo di attirarmi al centro per poi finire in un posto buio e privo di speranza.

Secondo ricordo da archiviare.

Il telefono squillò riportandomi nella realtà. Una realtà che non facevo più mia.

"pronto?" era Clara.

"ho saputo che sei tornata a casa!"

"se..per tornare a casa intendi un luogo con delle mura,un tetto e delle stanze allora ti rispondo di si!"

"stai da Caterina?"

"si.."

"dici che potremmo uscire,insieme?"

"non lo so,vorrei sistemare la camera e riposarmi un po'.Possiamo fare domani?"

Nella sua risposta si celò un velo di tristezza e dispiacere.

Ma io non potevo farci niente. Avevo bisogno di starmene un po' tranquilla.

Una volta sistemata la stanza,mi cambiai per andare in cartolibreria.

"dove stai andando?" sentì urlare con una voce spigolosa,Caterina.

A farmi fottere.

"a prendere i libri e l'occorrente per la scuola!"

"non mangi?"

"non ora!"

"vai al diavolo!"

"contaci!"

Uscii sbattendo la porta,presi il motorino e sfrecciai in città.

Una volta ritirati i libri e preso un po' di cancelleria decisi di andare in un bar a mangiare un gelato.

Genna,la signora del negozio amica di mio padre,con un dolce sorriso mi accolse all'entrata.

"ciao piccola,cosa posso fare per te?"

"vorrei un gelato!"

"cono grande?"

"il più grande che hai!" non mangiavo un gelato dal giorno dell'incidente ed era l'unica cosa che mi faceva star bene quando non avevo nessuno.

"mi dispiace,per i tuoi!" non riuscì a rispondere,ma cercai solo di strappare un finto sorriso sulle labbra.

"Camillaa!" una voce maschile era alle mie spalle. Mi girai.

Marco. Moro,alto,fisico da togliere il fiato e occhi nocciola. Il calore di un abbraccio si imprigionò sol mio corpo. Era un buon amico sin dai tempi delle medie.

"Marco" sussurrai.

"sei sempre più bella! E in ottima forma!"

 Con la storia dell'incidente avevo perso circa 15 chili.E poi non avevo mai avuto problemi di peso,anzi dovevo sempre restare in perfetta linea per via della ginnastica artistica.

"grazie,anche tu!"

Si mise a sedere accanto a me raccontandomi del più e del meno,e capì che non sapeva niente del mio incidente fino a,quando non vide il cerotto,sulla gamba.

I suoi occhi  si illuminarono e ebbe l'istinto di dire quella frase che dicono tutti."mi dispiace".

Il mio gelato arrivò puntuale come un orologio e non potevo chiedere di meglio.

Marco andò via,con Erika la sua ragazza ed io rimasi sola in quel bar poco affollato per via dell'orario.

CAVOLO! era tardissimo.

"te lo offre la casa quel gelato,torna quando vuoi!" sorrise e mi guardò con compassione.

Odiavo quei sguardi. Non cercavo compassione,ma affetto.

Mia zia mi stava aspettando in cucina

"dove cavolo sei stata?" urlò isterica davanti la porta

"mh...ti preoccumi di me? Comunque ero dal diavolo,come mi avevi consigliato!ah mi ha detto di salutarti!" 

Fece per darmi uno schiaffo ma si trattenne.

Mi prese per il polso,trascinandomi in cucina.

Il suo sguardo divenne inferocito,cupo e così maledettamente minaccioso. Piegò le braccia sul bancone,appoggiandosi,e mettendosi le mani sul viso con voce calma ma affannosa disse:

"ora,io vado a prendere Paolo,un mio amico. Tu sistemi casa e apparecchi la tavola,poi vai in camera tua e non uscirai fino a domani. Se non farai come ti dico,vado dai medici e dirò di staccare la spina a tua madre!"

Quando sentì l'accostamento delle parole "spina" e "madre" scoppiai in un isterico pianto.

"tu sei pazza!" urlai.

"e tu sei solo uno scarto inutile della società! Dovevano morire tutti!" disse con voce cattiva.

Prese le chiavi e con passo schietto sparì.

Ero confusa,distrutta e soprattutto umiliata. Non capivo il motivo delle minacce,né del perché mi trattava così.

Feci tutto ciò che mi disse.

Andai in bagno in preda ad una crisi esistenziale e piena di sensi di colpa. La pesantezza dei vestiti e il caldo di quella sera mi chiudeva la bocca lasciandomi annaspare in un luogo non mio.

Aprì l rubinetto della doccia e mi buttai dentro come se fosse una tana.

L'acqua  scivolava veloce e morbida sulle curve del mio corpo,mischiata alle lacrime.

Strinsi forte le gambe al petto per cercare di non sentirmi morire.

Mia zia era tornata ridendo come un'oca nel piano di sotto.

Ad un tratto sentì dei rumori provenire in giardino e dei sassolini contro la ringhiera del balcone della mia camera.

Mi asciugai velocemente  e indossai il pigiama.

 Scostai delicatamente la tenda facendo entrare il chiarore della luna piena che sorrideva nel cielo circondata da milioni di stelle.

Un bisbiglio. E ancora sassolini.

Mi affacciai.

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