Capitolo n° 93

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L’intenso odore di cloro inonda le mie narici quando entro nella stanza della piscina coperta. Sono da sola nella grande, anzi gigantesca stanza dalle pareti celesti come l’acqua e quasi come gli occhi di quella che pensavo fosse mia madre, quella persona che mi ha mentito per 18 anni, quello stesso intenso e chiaro colore che, anche al buio, risplende.

E ora come dovrei guardarla? Dovrei fare finta di niente e continuare a comportarmi come se non fosse successo niente? So che da un centro punto di vista dovrei ringraziarla perché se lei non mi avesse mai portata a casa sua quel giorno, sarei finita ad un orfanatrofio, ma non riesco a capire perché abbia aspettato che io le chiedessi spiegazioni, per dirmi tutto, per confessarmi che mia madre non mi ha voluto, che mi ha rifiutata. Se Louis non fosse stato lì con me quella mattina, non sarebbe andato in coma, non avrebbe rischiato di morire, non avrei mai richiesto di fare una trasfusione con Marco, non avrei mai saputo che lui è il mio padre biologico e non avrei mai saputo niente, avrei vissuto nella menzogna per il resto della mia vita.

“Guardati, Jade” dico a me stessa, come se ci fosse un’altra con il mio corpo ma diversa dentro, forse quella di prima, quella ragazza che forse ha meno cicatrici rispetto a questa, forse anche più forte, fatta di ferro, quasi indistruttibile. I miei piedi si poggiano sulla piccola striscia di marmo che si affaccia sull’acqua limpida che sembra una lastra di ghiaccio. La mia immagine riflessa non è immobile, sembra muoversi sull’acqua. “Non potrai mai essere abbastanza per qualcuno”

Sento un piccolo calore scendermi lungo lo zigomo, arrivare poi alla guancia, sfiorare appena il collo per poi mischiarsi alla lastra apparentemente calma, ma appena la mia lacrima entra in contatto con l’acqua, la sua precedente calma si dissolve, come zucchero sulla lingua e il mio riflesso viene costituito da piccole onde e cerchi che rendono mossa la mia immagine.

“Tu non sei questa, sei più forte di tutto questo”

Una voce irrompe nel silenzio quasi tombale della stanza. Cerco di riconoscere quella voce, cerco di escludere anche la minima possibilità che sia chi credo che sia, ma quando la sua mano si poggia sulla mia spalla, riconosco la manica delle felpa azzurra delle olimpiadi.

“Non è bello spiare le persone” Ricordo, sorridendo anche se sono più che consapevole che lui non mi possa vedere; quando guardo nuovamente il mio riflesso, nell’acqua più calma, capisco che mi sbaglio. I suoi occhi sono puntati sul mio sorriso riflesso nell’acqua e scorgo anche lui a sorridere.

“Non è bello neanche demoralizzarsi così” mi dice, la sua mano si abbassa sul mio braccio, invitandomi delicatamente a voltarmi verso di lui, e quando lo faccio, capisco che ha il sorriso simile al mio: c’è anche se distrutto. “eppure lo stai facendo” conclude, accarezzandomi il braccio con il pollice.

Il mio primo istinto è quello di allontanare il braccio da lui, ma capisco che non c’è ragione per farlo, capisco che la mia è solo paura di far entrare qualcuno nella mia vita, ma lui è Marco, lui è mio padre.

“Ci sono cose che non sono tanto belle da sapere, finisci per darti la colpa e, senza che e ne accorgi, ti stai totalmente mettendo in discussione. Lo so che certe cose che hai saputo sul tuo passato ti hanno fatto pensare, ma scordati tutto ciò che hai pensato, perché non è vero” le sue parole sono come un lampo a ciel sereno, inaspettato e lancinante.

Sa della telefonata, questo è più che ovvio ma come fa a saperlo?

“Come fai a sapere quello per cui sto così?” chiedo, cercando il più possibile di non balbettare, lo odio ed è orribile perché mostra la mia insicurezza. So di essere molto insicura per quanto riguarda me, ma odio farlo sapere, voglio mostrarmi una ragazza sicura, anche se non penso di farcela. Altra prova inconfutabile della mia insicurezza.

Brave - fight for You {#Watty2016} IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora