27.Magna cum laude.

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Ho passato la notte, fino alle prime luci del mattino, ad impacchettare le mie cose prendendomi tutto il tempo a disposizione visto e considerato che non sarei riuscita a chiudere occhio una volta a letto.

Quando ho finito, ormai troppo tardi per dormire e troppo presto per partire, sono rimasta fino alle sette del mattino a meditare sul mio patetico piano.
Nel panico più totale ho appreso che sarebbe stato un vero incubo, non avendo altre parole con cui descriverlo.
Mi sono ripetuta allo sfinimento che ce l'avrei fatta a convincere i miei e che è normale essere su di giri.
Peccato che non si spiegano questi strascichi emotivi, la mancanza di sonno e l'ansia a mille.
Tecnicamente sono pronta per partire, ma psicologicamente non potrei sentirmi peggio.

Per di più non riesco ad accantonare la figura pietosa che ho fatto di fronte a Lucas con il mio tentativo disperato di elemosinare aiuto.
Una parte di me sperava, illusoriamente, che ci può essere la remota possibilità che avesse cambiato idea, e dall'altra parte quella meno razionale ammette di sentirsi delusa.
Non gli avevo mica chiesto la Luna.

A qualche minuto alle otto, mi scopro seduta sul pianerottolo di casa, arrotolata in una felpa leggera dei Columbus Blue Jackets di mio fratello Dylan, la quale mi riveste interamente dalla brezza fresca mattutina.

Mi sento persino una pessima amica nell'aver messo in mezzo Miguel, sapendo ancor di più che non sarebbe stato il candidato migliore per questa parte.
L'ho usato come ruota di scorta, a meno che Lucas fosse apparso per magia, questo è quello che posso ambire.
Un giorno gli avrei chiesto scusa come si deve.

Guardo la strada vagliando ogni passante, trasalendo ogni qualvolta incrocio un'auto simile o uguale alla sua Chevrolet Silverad.
Invece l'unica figura conosciuta, che si avvicina, è quella del mio amico, Miguel, con il suo solito look da gangster con tanto di catenacci al collo, vestiti larghi e il suo sguardo malandrino che mio padre non avrebbe apprezzato, né ora e né mai.

Mi alzo dubitabile, pulendomi il sedere dalla polvere con un gesto meccanico, e titubante, avanzo per salutarlo.
Sarei fuggita all'istante se solo potessi.

«Hola mi corazon» procede sciatto e ad un passo da me, apre le braccia invitandomi in uno dei suoi abbracci spacca-ossa.
Sorrido inevitabile, immaginando cosa avrebbe pensato appena lo avrebbero visto.
Forse sarebbe stata la buona volta per dimostrargli che sto voltando pagina, radicalmente.

«Ehi Miguel» ricambio arresa di fronte al fatto.
La mia testa incomincia a metabolizzare un dettaglio particolare che mi fa rabbuiare.

«Dove sono le tue valige?»
Non ho tempo di riceve risposta che la porta di casa si apre mostrando Alice appena sveglia.

«Stai partendo senza salutarmi?» rimprovera imbronciata la rossa con ancora i segni del cuscino stampati sul viso.

«Ti avrei svegliata appena saremo stati pronti»
La guardo allegra per poi tornare dal mio amico e approfondire questo fatto.
Ok che gli uomini sono essenziali, ma così mi sembra troppo persino per loro.

«Allora? Non avrai intenzione di rimanere con quei vestiti per settimane...» indico il suo abbigliamento eccentrico e discutibile.

«Ma come? Non lo sai?»
E proprio in quell'istante il rombo di un'auto, quella che speravo di vedere arrivare minuti fa, si approssima parcheggiandosi proprio affianco alla mia.
Tutti e tre ci giriamo, e il mio cuore si placa per niente.
Mi sembra di aver appena ingoiato uno stoccafisso.

«Lucas mi ha chiamato stamattina dicendomi che avrebbe volentieri preso il mio posto. Pensavo che ti avesse informato-»

«Il signor Rodriguez viene con te, Mar? È una barzelletta?» interviene Alice sconvolta.
Non so chi dei miei amici guardare.
La notizia ha sorpreso loro, quanto me.
Intanto un Lucas, con lo sguardo incavato, scende dall'auto sbattendo lo sportello. Prende il suo borsone ignaro dei nostri commenti. Si volta mi lancia uno sguardo carico di energia a cui rabbrividisco.

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