49.Vuoto.

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Lucas Pov's

Il sole del mattino è già alto in cielo quando mi sveglio.
Mi tiro su pronto a quello che troverò, ovvero una camera vuota.
Non c'è segno della presenza di lei.

Come negli ultimi due giorni, non ho
assolutamente fretta di lasciare il mio letto.
Due giorni e nove ore da quando lei se ne è andata.
Due giorni che non ci parlo, che non la guardo.
Ogni secondo che passa mi sento sempre più debole.
Non ne sono soddisfatto, per niente, ma almeno così non avrei prolungato la sua speranza.
Ma quando poi sono andato alla porta per riparare l'irreparabile, la sua amica mi ha comunicato che se ne è andata.

Richiudo gli occhi tormentato da quella sensazione di incompletezza che avverto permettendo alla mia testa di ritornare inesorabilmente in quell'angolo della memoria che la riguarda.

Per carità...
Negli ultimi mesi ha popolato giorno e notte nella mia vita, ma ora sembra aver deciso di prendere dimora lì.

Caccio indietro quel desiderio di vederla qui a piedi nudi danzare come una squilibrata in uno di quei pigiami inguardabili.
Perché è questo quello a cui mi ha abituato.

Ma poi ritorno in me ricordando che mettere le cose in chiaro è stata forse stata la cosa più saggia che potessi fare per entrambi.
Lei mi ama, e per quanto ho cercato di ricambiare, dentro al mio cuore qualcosa non funzionerà mai.
Quello che ho fatto non rientrerà mai tra le decisioni più brillanti.
Eppure...
Eppure non avrei potuto fare altrimenti.

La testa mi gira all'impazzata, ho come la sensazione di barcollare e di stare per cadere.

Ho bisogno di concentrarmi su come sopravvivere.
Sono tutto quello che mi serve di avere.
Ed è questo avevo bisogno capisse.
Il dolore mi ha modellato, spezzandomi e al contempo rafforzandomi.

Sospiro, fingendo di non sentire la fitta lacerante che avvero nel petto, passo una mano tra i capelli guardando per qualche secondo fuori dalla finestra.

È solo un giorno come tutti gli altri, mi dico.
Solo più buio e più indigeribile.

E dopo quelli che sono minuti di riflessione, mi avvio in bagno.
Tolgo l'unico indumento che possiedo, il cotone dei boxer cade a terra denudandomi e poi avanzo aprendo il rubinetto dell'acqua calda.
Mi sono capitate giornate di cupe dopo le quali sono rimasto sotto il getto come uno zombie sperando che l'acqua lavasse via la tristezza.
Eppure non funziona mai.

L'acqua bollente batte sulle spalle, sulla cute bagnando i capelli, chino il capo poggiandolo sul marmo delle piastrelle e spetto che l'acqua inondi anche la faccia, il petto...
Si proprio lì, in quel punto dove la sua assenza è come un vuoto nel petto.
Non è male stare con lei, in effetti.
Mi piace.
Ma più io e Martha ci avvicinavamo, più mi rendevo conto che non l'avrei potuta far felice.

Compio movimenti lenti strofinando il bagnoschiuma sull'intero corpo, l'acqua calda è una beatitudine, il vapore incomincia a salire, l'aria si fa sempre più umida, il rumore della doccia diventa più ritmico riempiendo il silenzio.
Il cuore è un tonfo sordo contro le costole.
Forse il problema sono io.
Di tutto questo la colpa è solo mia.
Le ho permesso di finire in una specie di spirale.
L'ho ferita.
L'ho portata verso l'alto e poi ripidamente in basso facendola schiantare senza riguardi.

«Lucas guardami»

La  sento sussurrare vicino all'orecchio.
Stringo gli occhi, le sue piccole mani mi accarezzavano le scatole, il busto lenta e misurata da farmi rabbrividire.

«Guardami» sussurra ancora, seducente mordendomi il lobo.

Non resisto.
La guardo.
È qui tra le mie braccia, lei sorride maliziosa, si morde il labbro con fare giocoso e poi si alza in punte di piedi per sfidarmi.

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