52.Sui generis.

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Dicembre.
Si pensa che due mesi sono pochi.
I chili in più che appesantivano la mia figura minuta se ne sono andati.
Si potrebbe pensare che, chi attraversa una delusione d'amore, affonda i dispiaceri nei carboidrati nel gelato e nel formaggio, ma per me è stato il contrario.
Nelle rare occasioni in cui mi veniva un po' di appetito, non appena mettevo qualcosa sotto i denti, mi veniva la nausea.
Mi sono fatta crescere i capelli e ho optato per un taglio scalato.
Ho anche ritoccato la chioma con dei colpi di sole, color miele dorato.

Due mesi fanno davvero la differenza.

Portando la tazza alla bocca con gesti meccanici sorseggio il mio caffè mentre picchietto il piede sul pavimento seguendo il ritmo della canzone con cui questa mattina mi sono svegliata.
È un periodo strano anche nei gusti musicali.
Nel mia mente ci sono i Village People in Y.M.C.A, stile minions di cattivissimo me, che rendono la mia vita un po' meno triste.

Tutto prosegue nel verso giusto.
Io con la testa fra le nuvole.
Silenzio tombale fin quando le mie orecchie captano dei movimenti anomali dal piano di sopra che mi fanno rizzare come un porco spino.

Scatto in piedi.
Mi affretto a prendere la tazza già pronta correndo alle scale per non perdermi il momento.
Davanti ai miei occhi appare Dylan, con un tocco sui generis nel quotidiano abito da lavoro a cui non mi abituerò mai.
È alle prese in una lotta all'ultimo sangue con la sua cravatta color lavanda e mai avrei creduto di dirlo: sta proprio bene.

«Maled- stupida.... Porca di quella-» sibila burrascoso.

Non riesco a mascherare la risatina tanto che Dylan alza di scatto il volto perplesso nel trovarmi lì.
Mi adocchia, aggrotta le sopracciglia bloccandosi come un fuso sull'ultimo gradino.

«Che ci fai lì?» dice cauto.

«Giorno Dy!» rispondo invece allegra.

«Dimmi che non sei stata tutto il tempo ad aspettarmi» afferma rimproverandomi.
Dentro la sua testa c'è una tempesta di elefanti che si abbatte.

«Può darsi» sorrido innocentemente passandogli la tazza che avevo preparato.

Dylan scende l'ultimo gradino fermandosi di fronte a me, abbassa il volto verso la tazza e dopo avere sospirato a lungo, mi raggira proseguendo verso la cucina.
A me non rimane che seguirlo. Trascino a terra i miei piedi scalzi.

«Wooh, Hai preparato le focaccine!» esulta, appagato servendosi.
E quando mai...
È una specie di trita rifiuti umano.
Qualsiasi cibo passi sotto il suo cospetto sparisce per magia.

«F-uando le f-ai f-reparate?» farfuglia con la bocca piena perdendo completamente l'interesse su di me.

Alzo gli occhi al cielo disgustata.
Potrà vestirsi elegante quanto gli pare, ma la delicatezza di un mammut è immutabile.

«Mi sono alzata presto e ho pensato: qual è il modo migliore per passare il tempo, se non preparare le mie famose focaccine?» mostro il sorriso più grande che ho.

E Dylan in tutta risposta si blocca, gli angoli della bocca calano verso il basso drasticamente.
Prendo un respiro per calmarmi e farmi vedere irremovibile.
Batto le ciglia seducente pronta a parlare ma....

«No.» pronuncia all'improvviso.

«Neanche per idea» insiste categorico che lo fa sembrare cattivo e prepotente.

Mi imbroncio e subito il mio entusiasmo scema.

«Cosa no?» divago, sperando che si riferisca a qualcos'altro

«Non te la presto la mia macchina» spiega pungente come se stesse parlando ad una sorellina di cinque anni.

E certo...

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