59.Modus Operandi.

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È se non altro comico che il dramma sia dietro l'angolo, quando finalmente, e dico finalmente, ho un piano.
E per la prima volta nella mia vita ne ho uno, e sono piuttosto stupita di essere anche solo riuscita a pensare un progetto così ben definito.
Io.
Il fallimento fatto persona.

Le nocche si sono fatte bianche da quanto stringo il volante.
Saluto Miguel e dopo secondi di fifa, i miei stivaletti neri toccano il vialetto della residenza Rodriguez.
Il sole sta tramontando, l'aria rigida e, a parte il rumore dell'auto che fa retromarcia per scomparire dalla mia vista, non c'è nient'altro che mi accompagna nella mia passerella della vergogna.
Non credo di essere mai stata così nervosa prima d'ora.

Davanti alla porta principale, rilascio sospiri di incoraggiamento, prima di suonare il campanello.

Aspetto.
Uno, due, tre minuti e nessuno mi apre.
Okay, ho i nervi tesi al massimo.
Forse non c'è nessuno?
E perché Lucas non è a casa?
Dove si è cacciato?
Mille domande si susseguono una dietro l'altra rendendo la mia capacità di intelletto pari a quella di un criceto.
Traballo sui piedi, se qualcuno mi vedesse da fuori potrebbe pensare che mi scappa la pipì.
Soffio spazientita oltre a pensare che se davvero nessuno si presenta alla porta dovrei seriamente passare ad un piano b.
E io non ho un piano di scorta.
Già è tanto se sono riuscita ad idealizzarne uno.
Ritento, pregando qualche divinità lassù che mi faccia la grazia.
Suono diverse volte il campanello come una forsennata.
Niente.

«...stupido Rodriguez» sbotto calciando un piccolo sassolino.

«stupido Rodriguez che mi ha fatto perdere la dignità. Me lo merito! E stupido Rodriguez che non capisce niente» continuo imperterrita.

«Stupido Rodriguez che mi lascia una stupida lettera... e stupido Rodriguez che mi ha fatto innamorare!»

Caccio un urletto di nervosismo.
Spero che nessuno mi senta e abbia voglia di venire a vedere cos'ho, perché non ho spiegazioni da dare.
Ho il telefono scarico e non ho idea di cosa fare.
Dovrei farmela a piedi fino in città?

«Aaah!» Mi tiro i capelli.

«Ma perché deve essere tutto così complicato?»

Soffoco un rantolo di disperazione e mi sento così patetica.
Il segreto è conoscere i propri limiti e accettarli.
Vivere al di sopra delle proprie possibilità porta solo un sacco di guai.
È questa ne è una prova.

«Martha?»

È Emily, la madre di Lucas che da dietro la porta mi guarda spaesata.
Oh Gesù mio.
Non lei, per favore.
Non avendo altro da fare, abbozzo un sorriso forzato e risalgo i pochi gradini per andarle incontro.

«Sì?» sussurro con voce appena udibile.

Questa è la versione docile di me, ho paura di quello che potrei dire.

«Che ci fai qui?» domanda continuando a ispezionare come se fossi un cane randagio.

Probabilmente la mia mise non è delle migliori.
Puzzo ancora di aeroporto e ho un diavolo per capello.

«emmh...» farfuglio notando che non sono più capace di mettere de parole in fila.

«Tutto bene?» chiede titubante.

«Ma certo.»
Certo che no.

«Sicura?»

«Sì... sì...» misuro guardandola attentamente.

Lucas gli somiglia, hanno la stessa espressione.
La fisso in modo piuttosto spudorata e lei pare accorgersene.
Diciamo che dal primo momento non ho avuto un gran feeling dopo il susseguirsi di figuracce.
Ma è ora che Emily incominci a far almeno parzialmente il callo al mio modus operandi.

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