60.In Ominia Paratus.

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4 mesi dopo...

Che cosa abbiamo imparato da questa storia?
Innanzitutto, che odio i felini, in particolar modo, i gatti.
Il mio corpo è completamente intollerante ai chicchi di mais.
Non sono una ballerina e sono abbastanza intonata da potermi concedere, una tantum, una serata di karaoke.
Ed infine ho un rifiuto per i genitori, di chiunque essi siano.
Partendo proprio dai miei.

Cos'altro?

Ah si...
Abbiate fiducia in voi stessi, è davvero possibile imparare dai propri errori.
Io l'ho fatto.
E questa volta, non ho mandato tutto all'aria.
Ho creduto in Lucas, mi sono fidata di ciò che abbiamo, e ho fatto la cosa giusta.
Alla fine ci sono riuscita... per tutte le barbabietole da zucchero!

E adesso veniamo al punto che stavo aspettando: il temuto pranzo di domani a cui siamo stati invitati senza poter dire di no.
Ahimè, ci spetta un lungo viaggio.

Tutto questo perché le date sono importanti.
Soprattutto se si ha una famiglia come la mia.
Ci sono le feste comandate: Natale, San Valentino, Pasqua.
Ci sono i compleanni, ovvio.
Poi c'è il giorno in cui dobbiamo far conoscere l'uomo o la donna che ha scalfito il nostro cuore, quello in cui devi farlo conoscere alla sfilza dei parenti, il giorno in cui ti chiederanno quando vi sposate e poi per ultimo quello in cui vi imploreranno di regalargli un piccolo pargolo da strapazzare...
Potrei andare avanti all'infinito, ma non è il caso.
Perché una cosa ho capito.
La vita è basata interamente su quesiti senza senso e che agli uomini non importa niente di questa roba.
Per esempio Lucas.
Per lui niente è deterministico.
Ho cercato in tutte le maniere di fingere di non ricordarmelo.

I miei genitori hanno l'abitudine di organizzare un pranzo in veranda non appena le giornate si allungano, l'aria si riscalda e i fiori sbocciano.
E mia madre ne approfitta per sfoggiare le sue casacche color pastello, la sua vasta collezione di foulard dalle fantasie più disparate. Ed è così fin da quando sono piccola. Prepara la stessa tovaglia, le medesime decorazioni, per non parlare del suo menù, variopinto.
È una tradizione di famiglia.
Chiunque abbia dato inizio a questa tradizione dovrebbe essere sepolto vivo in una fossa comune insieme al tizio che ha inventato il cellulare e a.... beh, stavo per dire Martin Cooper.
Mai come ora sto odiando quell'aggeggio infernale.

Il telefono squilla imperioso nella stanza da letto.
Per un attimo penso di essermi nuovamente addormentata, di recente, a pensarci bene da quando le cose con Lucas si sono sistemate, ho incominciato a dormire come si deve.
Come se un bradipo si fosse incarnato in me.
I problemi di insonnia sembrano esser passati a miglior vita.

Sobbalzo sul letto come una che è appena rinvenuta dal coma, quando mi arriva una gomitata nel fianco.
Dio mio...

Sbatto le palpebre un paio di volte, per svegliarmi meglio, e i ricordi della notte di fuoco appena trascorsa sono ancora vividi nella mia mente.
Ma poi...

«Ma non è possibile...» mi lamento osservando con invidia l'uomo nudo al mio fianco che se ne sta beato con la testa sul cuscino.

«...saranno i tuoi genitori» bofonchia indisponente, intanto che per niente convinta mi stropiccio un occhio.
Tasto, con la mano, il comodino per afferrare il telefono che non la smette di suonare.
Per poco non casco dal materasso al suono che ne sento uscire.

«Parliamo di posta!»
Se fossi stata più lucida avrei volentieri rinfacciato a Lucas che si è sbagliato.

Dall'altra parte la persona che tuona è mio fratello che, non appena appoggio il telefono al mio povero orecchio, mi rende sorda.

Gesù mio...
Ecco cosa non mi manca.

«Dylan? Ancora questa storia?» alzo gli occhi al cielo.

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