33.Buio.

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Sono fuori in veranda, seduta sulla chaise lounge che mamma ha fatto comprare due estati fa con la scusa di poter ricamare all'uncinetto mentre il sole tramonta.
Le mie dita accarezzano l'orlo della gonna, mentre guardo il paesaggio lì fuori: piove.
Stamattina avevo previsto che sarebbe stata una giornata faticosa e ora posso dire che si è conclusa, finora, solo in peggio.
Qui non piove mai, persino in inverno le piogge sono rare, differentemente da come si pensa.
Siamo in America e in genere piove il giusto.
Adesso che l'estate è agli sgoccioli saranno solo oggettivamente più frequenti.

Le gocce cadono quasi orizzontalmente a causa del venticello che si è alzato.
Harry è rientrato pochi minuti dopo il nostro bacio.
Lo sguardo furente, gli occhi glaciali e feriti erano lì a sentenziarmi.
È a quel punto che ho deciso di prendere il suo posto.
Soffocata di fronte al suo sguardo dispiaciuto, sono venuta qui per una boccata d'aria.
È ridicolo, mi sento inadeguata come se la causa di tutto ciò sia io.
Harry non ha idea di come mi sono sentita quando ho visto le sue labbra incollate su quelle di un'altra donna.
Finalmente deve aver inteso l'entità del mio malessere.
E a pensare che lui è l'uomo che non mette mai il naso fuori casa.
Ed è una seccatura, bella grossa, vedere che proprio adesso ha deciso di cambiare.
Il lavoro, da quando ha iniziato il praticantato, era divenuto la sua orbita principale.
Negli ultimi mesi della nostra storia ho subito una trasformazione dall' essere "centro della sua esistenza" ad un "satellite qualunque che si muove attorno a lui".
Non gliene avevo fatto una colpa.
Sapevo che prima o poi quei giorni sarebbero cambiati.
Ed invece, con il senno di poi, sono caduta nel tranello come una babbana.
Ad oggi, quando rispecchio nei suoi occhi chiari, mi domando se non ci sia nient'altro che lo tenga attaccato a me.
A parte aver provato la bella vita e capire che non fa per lui, intendo.
Di certo, non sono io.
Questa costatazione mi delude, ma non al punto di isolarmi totalmente davanti a lui.

Lucas...
È come una torta a tre strati al cioccolato.
E io vado matta per il cioccolato.
Lucas piano piano accorcia le distanze.
Ha le mani nelle tasche dei pantaloni slavati.
Mi guarda come se avesse capito il motivo della mia uscita di scena.
Avrei scommesso su cosa stesse pensando di me.
Penserà che sono un idiota a star male per uno come lui.
Eppure Lucas riesce a dirottare i miei pensieri.
Diamine...
È come un campo magnetico.

Il respiro si blocca in gola quando si ferma torreggiando sulla mia figura.
Solo una frazione di secondo per registrare la mia espressione e poi, come se lo avessi invitato, si siede ai piedi della chaise lounge.
Sbircia con la coda dell'occhio passandosi una mano tra i capelli, le sue spalle si allargano e si sgonfiato, dopo un lungo sospiro.
Poi torna ad ignorarmi.
Finisce qua.
Niente di più.
Nessun cenno ulteriore.
Sospiro, portando i miei occhi per un secondo lì, tra la pioggia che sembra non voler smettere.
E nervosa, ho un continuo bisogno di guardarlo di nuovo.

«Non ho ancora ben capito. Sei cattolico o no?» chiedo all'improvviso dando voce alla mia curiosità.
Subito una sua mano si tocca il collo portando la collana grande come un quarto di dollaro, fuori dalla sua camicia per osservarla.

«Non sono credente» risponde serio accigliandosi.
Mordo il labbro.
Avrei voluto sapere, sapere e sapere.
Cerco di bloccare la lingua.
Se avesse voluto me lo avrebbe detto lui.
Mi sento come quelle bambine a cui è stato detto di mantenere un segreto.
Lui se ne accorge del mio stato di irrequietezza e allora le sue sopracciglia si sollevano esasperate.

«Puoi chiedere quello che ti stai trattenendo»

«Risponderai?»
Sbuffa girando definitivamente il suo corpo nella mia direzione.
Mi sollevo dallo schienale della chaise lounge, poggio i gomiti sulle gambe incrociate.

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