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Lei mi guarda confusa. «Troppo veloce?» mi chiede ed io vorrei risponderle che no, il ritmo era giusto, era perfetto e che sarei rimasta volentieri con lei a danzare per tutta la notte.

«Io non ...» Non voglio ferirla ma non so cos'altro dire. «Io non sono come te.»

Vedo i suoi occhi oscurarsi e si stacca ancora di più dal mio corpo allontanandosi da me.

«In che senso, scusa?»

«Lo sai.»

«No, non lo so.» Incrocia le braccia al petto. «Come sono io? Sono bella? Sono simpatica? Sono gentile? Dimmi Anita, cos'è che non saresti tu che, invece, sarei io?»

«Io sono etero, Olivia.» Dico cercando di controllare il tono e il tremolio della voce.

«Ah sì?» Chiede lei scetticamente.

"Ah sì?" mi chiedo da sola.

«Sì.» Annuisco cercando di convincerla. «Devo andare.»

Prendo la borsa appesa alla sedia sulla quale ero seduta e mi dirigo verso la porta di casa.

«Certo, scappa pure, Anita, scappa pure.» Mi dice lei seguendomi a passi lunghi.

«Non sto scappando da niente, devo andare: domani mattina mi devo svegliare presto.» La informo stringendo la bretella della borsa alla spalla come se questo servisse a proteggermi dalla situazione.

È una bugia: domani non devo svegliarmi presto, ma ho la necessità di uscire da questa casa e di allontanarmi da queste pareti che hanno appena assistito alla cosa più bella ed emozionante che mi sia mai capitata nella vita ma dalla quale, purtroppo, devo prendere le distanze.

«Cos'è devi andare a messa domani mattina insieme a tutta la tua famiglia? O per caso ti devi andare a confessare?»

Le lancio un'occhiata torva e non rispondo.

«È questo il problema? È perché la tua religione non ti permette di essere quello che sei?» Mi provoca. «O meglio, la religione in cui credono i tuoi genitori, ti impedisce di essere quello che sei.»

Mi fermo prima di arrivare alla porta d'uscita e mi volto verso di lei per guardarla negli occhi.

«Nessuno mi impedisce di essere quello che sono, Olivia. Io non sono lesbica, non mi piacciono le ragazze.» Uso un tono particolarmente duro perché voglio convincerla. Oppure sto cercando di convincere me stessa? Non sto capendo più niente.

Olivia ridacchia prendendomi in giro. «Ma smettila Anita, ho saputo che sei lesbica, o almeno bisessuale, visto che credevo che tu e quel ragazzo steste insieme, fin dal primo momento che ti ho vista.»

Le sue parole mi fanno vacillare. «Come?»

«Dal modo in cui mi hai guardato la prima volta.» Spiega lei. «Dal modo in cui hai reagito quando, quel pomeriggio, ti ho toccato la mano.» Continua. «E poi ci sono stati altri segnali, altri indizi che ho cercato per capire se la mia teoria era vera. Per questo ho sempre cercato di avere un contatto fisico con te, tra abbracci, baci sulle guance e carezze: perché volevo sapere se anche tu provavi le stesse cose che provo io per te. E le provi Anita, le provi e tu puoi continuare a ripeterti che sei etero, che non ti piaccio, che ti sono indifferente ma la verità, nel profondo del tuo cuore, la sai.»

«Io non ... io non provo nulla per te.» La voce trema. Non ci sto credendo nemmeno io. Sono solo parole. E da un lato vorrei che lei lo sapesse, vorrei che lei sapesse che non è vero che io non provo niente per lei; dall'altro lato, però, ho paura di quello che sto provando e siccome ho paura di questo sentimento strano e confuso, vorrei che lei si allontanasse da me per non doverlo più provare e per non fare più i conti con tutto questo.

Guardo i suoi occhi che vacillano leggermente mentre assorbe le parole che le ho appena dedicato.

«Stai mentendo a te stessa e lo sai.»

«Smettila.» La zittisco. «Io non sono lesbica e tu non hai capito niente.»

«E quel bacio, allora?» dice indicando il bancone al quale eravamo appoggiate fino a qualche istante fa.

«Io ... ehm ... è stata una cosa sbagliata, non dovevamo. Non dovevamo proprio.»

«Tu non stai guardando la realtà con occhi lucidi, Anita.» Mi strattona lei e io abbasso lo sguardo verso il pavimento.

Mi sto sentendo come un uccellino in gabbia. Aprite la prigione, voglio volare via, qui dentro mi sto sentendo morire.

«Sei tu che non vedi la realtà.» Le dico facendomi forza e strappando il mio braccio dalle sue mani spingendola leggermente all'indietro per distaccarmi meglio dal suo corpo.

Vedo i suoi occhi che si riempiono, di nuovo, del dolore che le ho visto addosso quando parlava delle persone che ha perso a causa del suo coming out. Abbiamo rovinato tutto. Io ho rovinato tutto. Ero diversa ... sono diversa ... eppure ...

Olivia si arrende e si stacca completamente dal mio corpo allontanandosi.

«Ci si vede lunedì, Anita.» Mi saluta aprendomi la porta e invitandomi a uscire.

«Sì.» Mormoro di sfuggita e senza guardarla.

Appena metto i piedi sullo zerbino, sento la porta dietro di me che si chiude con un tonfo e tre giri di chiave.

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