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Due minuti dopo, arriviamo al pronto soccorso e aiuto Chiara a scendere dalla macchina e ad entrare.

Mia cognata viene ricevuta quasi subito dal medico e, mentre io sono nella sala d'aspetto, vedo mamma arrivare con passo svelto. Il cuore inizia a palpitarmi furiosamente nel petto e la saliva mi si asciuga nella bocca. Inizio a muovermi nervosamente sulla sedia, non sapendo che cosa fare. Forse dovrei comportarmi da persona matura e aspettarla nella sala d'aspetto per poi raccontarle che cos'è successo non appena arriva fingendo che io non ce l'abbia a morte con lei per avermi abbandonata e buttata fuori di casa trattandomi peggio di un animale; oppure dovrei ascoltare la mia parte più infantile che, appena ha visto la sua figura avvicinarsi, ha acceso l'allarme che mi ha dato l'input di alzarmi e scappare a gambe levate per non dover affrontare la situazione, per non doverla guardare negli occhi e leggere il suo disprezzo.

Ma io non posso fuggire. Lo devo fare per Chiara, perché sono preoccupata per lei e voglio sapere se lei e il bambino stanno bene. Lo devo fare per Nicola perché si merita di ricevere una spiegazione adeguata non appena arriverà qui dal lavoro. Ma, soprattutto, lo devo fare per me: scappando, non risolverei nulla, anzi, sottolineerei ciò che crede mia mamma, ossia che io sia una persona sbagliata e che si deve vergognare di essere lesbica. Scappando, le dimostrerei che ha ragione, che non ho il diritto di rimanere nella sua stessa stanza perché lei è etero e io no, le dimostrerei che è vero che faccio schifo e che sono degna solamente di stare in mezzo agli scarafaggi nelle fogne. Scappando, mostrerei che mi vergogno per quello che sono ma la verità è che non me ne vergogno più: io sono questa e mi accetto e mi voglio bene per come sono. E ho deciso che non permetterò più a nessuno di schiacciarmi a terra a causa del mio essere, della mia natura. Io non ho niente di sbagliato e, mamma, lo deve capire. Non importa se, poi, non accetterà, comunque, la mia sessualità.

Restando, le dimostrerei che io posso camminare a testa alta essendo orgogliosa di ciò che sono e di chi amo perché io, in me, non ho nulla di sbagliato. Restando, le dimostrerei che sono serena e che accetto e vivo bene ciò che sono, facendole capire che non sono la persona malata che lei crede. Restando, parlandole e spiegandole la situazione, le dimostrerei di quanto sono matura a passare sopra alla nostra situazione disastrata per il bene di una persona che amiamo entrambe.

«Mamma.» la chiamo decidendo di restare. Mi alzo in piedi e vado verso di lei.

Non appena lei mi sente e mi vede, assume un'espressione rigida e inizia a tormentare il manico della borsa che porta a tracolla e abbassa lo sguardo guardandomi le scarpe e non gli occhi.

«È dentro dal medico, le stanno facendo tutti gli accertamenti.» Le spiego anche se lei non ha avuto il coraggio di chiedermi nulla.

Mamma si limita ad annuire e si dirige verso le sedie dalle quali io mi sono appena allontanata per andare da lei. Sospiro e la seguo, non so cos'altro fare.

Mamma si siede sulla sedia più vicina alla porta, mentre io su quella più lontana lasciando, tra di noi, più spazio possibile per non rischiare di toccarci o sfiorarci. E rimaniamo così, in silenzio, guardandoci ma non dicendo nulla, come due animali che si studiano girando in cerchio ma non si attaccano per paura di perdere.

Questo disagio ci rinchiude in una bolla fino a che anche Nicola arriva e la infrange venendo verso di me e tirandomi in un abbraccio che ha tutto il sapore di bisogno di affetto, forza e consolazione.

«È tutto okay, Nic.» Gli dico sussurrandogli all'orecchio. «Stai tranquillo.»

Mio fratello si stacca dal mio corpo tirando su con il naso e strizza gli occhi per trattenere le lacrime.

«Dov'è?» Mi chiede senza degnare di un'occhiata mamma, come se non l'avesse vista o l'avesse scambiata per un'altra paziente.

«Dentro insieme al medico.» Rispondo e, poi, spiego anche a lui ciò che ho spiegato a mamma nel momento del suo arrivo. Mio fratello mi guarda e annuisce, poi si siede e, finalmente, dà attenzione a mamma che, nel frattempo, è rimasta seduta sulla sedia impettita e composta, come se avesse paura di spezzare l'aria che le gravita attorno.

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