54

7 0 0
                                    

Ci guardiamo per un po' in silenzio. Non è il silenzio bello al quale ero abituata, però. È un silenzio imbarazzante che fa pesare la situazione e mi fa sembrare che l'aria intorno a noi si sia trasformata in cemento.

«Posso entrare?» Dico poi per cercare di rompere l'imbarazzo.

Lei si toglie dalla porta e mi fa un cenno con la testa per invitarmi dentro la sua casa.

Il profumo che mi investe è pazzesco: profumo di sugo al pomodoro, come quello che facevamo quando eravamo insieme, quello che io le avevo insegnato a cucinare.

«Che buon profumo.» Le dico voltandomi quando sento che lei ha chiuso la porta.

«Grazie.» Mormora fredda. «Spogliati pure il giubbetto.»

Faccio come mi dice mentre lei si dirige in cucina e, alzando le maniche della felpa, mischia il sugo per non rischiare che si attacchi al pentolino. Sorrido amaramente perché questo è un gesto che le ho insegnato quando stavamo insieme. Mi fa piacere, comunque, che continui a cucinare anche se non stiamo più insieme, mi fa piacere che abbia rinunciato ai piatti pronti.

«Come stai?» Le chiedo sedendomi sulla sedia sulla quale mi sedevo sempre quando mangiavamo insieme. La stessa sulla quale ero seduta durante la serata del nostri primo bacio. Mi sembra passata un'eternità da quella sera.

«Sto bene.» Mormora senza guardarmi. Ha la voce dura e non sono abituata a questo suo atteggiamento.

Mi dice che sta bene e non so se esserne felice oppure no perché vorrei che un po' stesse male a causa mia. Perché vorrei che le mancassi, che sentisse la mia assenza fin negli atomi più piccoli del suo essere, come io sento la sua.

«Anche io sto bene.» La informo anche se non me l'ha chiesto e anche se non è la verità.

"Sto una merda, Olivia" vorrei dirle ma lo tengo per me.

Liv annuisce e vedo i capelli, che le sono cresciuti leggermente, sbattere contro il collo. Quanto vorrei passare il naso sul suo collo, perderlo nel profumo dei suoi capelli soffici e infilarci anche le dita per ricordarmi della loro morbidezza.

«Devo aiutarti a fare qualcosa?» Le chiedo perché non mi va di stare seduta mentre la guardo cucinare.

Vorrei fare qualcosa e non dirle nulla; fare qualcosa per farle capire ciò che ho nel cuore e nella testa senza, però, usare le parole.

«No.»

«Okay.» Mormoro.

Il silenzio cade ancora pesante attorno a noi e lei non si decide a voltarsi, continua a mischiare il sugo e, successivamente, la pasta. So perfettamente che il suo mischiare ogni cosa che sta cucendo in questo momento, è una scusa per non voltarsi verso di me, per non guardarmi, per non stare con me.

«Guarda che la pasta non scappa e il sugo non brucia.» Tento di dirle per strapparla dai fornelli e attirarla di fronte a me perché ho bisogno di parlarle faccia a faccia, di buttarmi nei suoi occhi, di trattenere il fiato e riemergere dall'acqua cristallina del suo sguardo come una nuova persona, come se facessi un nuovo battesimo.

«Non posso distrarmi.» Ribatte lei muovendo di scatto il collo e stringendo ancora più forte il cucchiaio di legno che ha in mano.

Io sospiro sconfitta e mi passo la lingua sulle labbra, non trovando altri argomenti per distrarla dalla sua cucina.

«Posso andare un attimo in bagno?» Le chiedo allora e, mentre pongo questa domanda, Artemisia spunta dal corridoio e viene a strusciarsi contro le mie gambe. Io le regalo dei grattini dietro l'orecchio, nel suo punto preferito e lei, per ricompensarmi, mi lecca il palmo della mano.

NaturaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora