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Questa mattina mi sono svegliata abbastanza di buon umore: ho voglia di uscire dal letto, aprire le ante e far entrare aria pulita nella mia camera; ho voglia di vedere mio fratello e Chiara, di conversare con loro, di chiedere come va il bambino e di accompagnare mia cognata a fare shopping per comprare dei vestiti premaman.

Mi sento un po' meglio. La tristezza non alberga più in tutto il mio essere: ha fatto le valigie e se n'è andata velocemente, capendo di non essere più gradita. Le parole di Chiara mi hanno aiutato moltissimo. Ci ho pensato tutta la settimana e mi hanno fatto capire di dover affrontare i problemi perché, come ha detto lei, la mia vita non si ferma solo perché è in un momento di crisi.

Il fatto di essere stata cacciata di casa mi fa ancora un po' male ma ho capito che devo affrontare la cosa, che non mi posso imbozzolare nelle coperte e stare così, come un bruco che non vuole diventare farfalla.

Per quanto riguarda Olivia ... non la sento da settimana scorsa, da quando abbiamo litigato e ci siamo lasciate. Lei non mi ha mai scritto né chiamato, non è venuta qua per cercare di chiarire e nemmeno io l'ho fatto. Non l'ho chiamata e non l'ho cercata per chiederle scusa per tutte le brutte cose che le ho sputato addosso. Anche se delle scuse lei se le merita davvero. Ogni volta che il pensiero di Liv bussa sul portone del mio castello, io la scaccio e chiamo i coccodrilli per mangiarselo perché io non la voglio pensare, non ho voglia di stare male per lei. Così ho relegato il suo pensiero in un angolo impolverato del mio cervello e del mio cuore e non le permetto di prendere i comandi dei miei due organi.

«Ciao.» Compaio nella cucina di mio fratello e mi sfrego i piedi l'uno sull'altro in imbarazzo.

«Buongiorno!» Il viso di mio fratello si apre in un sorriso luminoso.

«Posso sedermi con voi?» Chiedo.

«Ma c'è bisogno di chiederlo? Vieni. La tua tazza è già pronta.» Mi invita Chiara mostrandomi il mio posto con la mano.

Mi muovo traballando e mi siedo a capo tavola.

Il mio posto è apparecchiato e mi chiedo se l'abbiano fatto tutte le mattine nella speranza che io scendessi dal letto e mangiassi con loro. Io, invece, non l'ho mai fatto e il pensiero che loro, in queste due settimane, aspettavano di vedermi ogni mattina, mi stringe lo stomaco.

Nicola mi versa il latte nella tazza e mi taglia una fetta di torta per, poi, posarmela nel piatto che ho di fronte. Sospiro mentre inzuppo la crostata nel latte e la mangio facendo attenzione a non sbrodolarmi come una bambina. È la prima volta che mangio con loro da quando vivo qui e mi sento un po' in imbarazzo perché non so cosa stanno pensando loro di me in questo momento.

«Come hai dormito stanotte?» Chiede Chiara versandosi del succo d'arancia e bevendolo avidamente.

«Molto bene, grazie.» Rispondo annuendo e sorridendo. «Andate a messa dopo colazione?» Chiedo visto che è domenica e solo ora noto che sono vestiti troppo bene per rimanere a casa.

«Sì» mormora Nicola, «ti sta bene?»

«Certo. Finché non sono io che devo andarci, mi sta bene che ci vadano gli altri.» Ridacchio ma, poi, mi ricordo che è domenica e che, la domenica, loro vanno sempre a mangiare o a casa dei genitori di Chiara o a casa dei miei. E, quest'oggi, toccherebbe a casa mia, per cui il mio sorriso svanisce e abbasso lo sguardo nella mia tazza piena di briciole di torta che galleggiano nel latte.

«Andate a mangiare da mamma e papà?»

«No» risponde secco Nicola mentre, però, la moglie risponde di sì.

«Nicola!» Lo riprende Chiara. «Avevamo deciso che oggi ci saremmo andati, avremmo fatto buon viso a cattivo gioco e avremmo detto loro del bambino.»

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