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Nelle due settimane successive, mi concentro particolarmente sulla lettura dei libri e sulla scrittura dei primi due capitoli della tesi. Mi tengo impegnata perché rivivere le emozioni del tirocinio, mi fa pensare ad Olivia. Chissà che cosa sta facendo. Sicuramente ha ripreso a lavorare. Chissà se se a volte mi pensa. Chissà se mi odia. Vorrei tanto prendere il telefono e dirle che ho trovato la docente che mi seguirà nella stesura della mia tesi. Vorrei dirle che questa docente è la Bizzaglia e che ho seguito il suo consiglio di essere coraggiosa accantonando l'ansia e la paura che questa professoressa mi provocava. Vorrei dirle che a fine gennaio mi laureo e che mi piacerebbe vederla nella stanza con me mentre mi guarda orgogliosa. Ci siamo lasciate da tre settimane e non la sento da allora. Mi sembra strano, ora, vivere la mia vita senza di lei. Mi sembra strano non averla accanto e non raccontarle quello che mi succede.

«Smettila di fare la stupida, Anita!» Urlo sperando di riuscire a zittire i miei pensieri.

Ad un tratto, mentre picchietto le dita sui tasti del computer e scribacchio una nota a margine del libro che sto leggendo per la tesi, sento un grido provenire dal bagno.

«Chiara?» Chiamo mia cognata per accertarmi che stia bene, che non le sia successo nulla.

«Anita!» La sento gridare e, così, mi precipito fuori dalla porta per andare a vedere, preoccupata, che cosa sta succedendo.

Chiara è in bagno, seduta sul water mentre si guarda le mutandine, una volta bianche ora tinte di rosso.

«Oddio.» Sussurro portandomi le mani sulla bocca.

Non appena lei si accorge che sono nella stessa stanza con lei, si volta e la visione del suo viso stravolto dalle lacrime mi manda in cortocircuito il cervello.

«Anita! Anita!» Mi chiama di nuovo in panico lei.

«Okay, Chiara, stai calma, ti porto all'ospedale.» Affermo ritrovando una stabilità mentale che, alla vista delle lacrime e del sangue, avevo perduto.

Chiara è incinta, non credo che queste perdite di sangue vadano bene.

«No no, chiama Nicola, chiama Nicola!»

«Lo chiamiamo mentre andiamo in macchina, non preoccuparti.» La rassicuro mentre la aiuto ad alzarsi e ad andare in camera per cambiarsi, il tutto facendo movimenti e gesti lenti per paura di peggiorare la situazione.

La verità è che non so nemmeno io che cosa devo fare, non sono un'infermiera e non so niente di gravidanze e problemi legati alla gravidanza. In più, il sangue mi fa venire i brividi e devo concentrarmi su tutta la mia parte razionale, per non svenire e prendere in mano la situazione.

«Che cos'è successo? Ti fa male qualcosa?» Le chiedo mentre vago per tutta casa e prendo le carte ospedaliere e ginecologiche di Chiara che, forse, potrebbero servirle.

«No, non lo so ... stavo facendo pipì e mi sono accorta del sangue e mio Dio Anita, non voglio perdere il mio bambino, non lo voglio perdere!» Inizia a singhiozzare disperatamente mentre si tiene le mani sul pancione.

«Non perderai il bambino, te lo prometto.» Le dico guardandola negli occhi e sperando di aiutare a calmarla leggermente. «Vedrai che non è niente di grave. Tu devi stare tranquilla perché l'agitazione non fa bene al bambino.» Mormoro come se sapessi realmente di che cosa sto parlando ma, in realtà, pesco frasi a caso dalle serie tv ambientate negli ospedali che ho visto e le regalo a Chiara.

Lei annuisce e si asciuga le lacrime copiose, poi barcolla verso l'uscita e ci sediamo nella sua macchina.

Mentre la aiuto ad allacciarsi la cintura, compongo il numero di mio fratello e spero che risponda in fretta anche se è al lavoro.

«Ehi Anita dimmi», sussurra lui, «veloce però.»

«Sto portando Chiara in ospedale.» Metto in moto la macchina e sgommo sperando di non beccare polizia o carabinieri visto che sto decisamente superando i limiti e sto parlando al telefono mentre guido.

«Cos'è successo?» Sento la sua voce farsi disperata.

«Ha delle perdite di sangue.» Spiego.

«Il bambino!» Mormora subito lui quasi senza voce. «Tu portala all'ospedale, io arrivo subito!» Riaggancia il telefono senza darmi il tempo di salutarlo.

Mentre guido, tengo un occhio sulla strada e l'altro lo uso per scorrere la rubrica e chiamare la mamma di Chiara perché non voglio rimanere in ospedale da sola in questa situazione, rischierei di combinare solo disastri perché io non ci capisco niente di medici e ospedali e, nel caso qualcuno dovesse dirmi che cosa sta succedendo a mia cognata, probabilmente non capirei nulla e non saprei dare spiegazioni a Nicola o ad altri membri della famiglia. Chiamare la mamma di Chiara mi sembra la decisione più saggia, ma il suo telefono suona e lei non risponde. Ci provo una, due tre volte, ma il telefono suona sempre a vuoto e ciò che mi risponde è solo la voce meccanica della segreteria che mi dice che il cliente da me chiamato non è al momento raggiungibile.

Nel frattempo, Chiara, seduta di fianco a me, continua ad accarezzarsi la pancia e a piangere. Non sono abituata a vederla così debole e agitata: solitamente è lei quella che mantiene la calma e l'equilibrio e, in questo mese in cui ho vissuto con lei e mio fratello, ho imparato a capirlo.

Impreco sottovoce mentre inchiodo davanti a uno stop per far passare la macchina che ha la precedenza e chiudo l'ennesima chiamata a vuoto alla mamma di Chiara.

«Tua mamma non risponde.» La informo cercando di mantenere la calma e spero che lei mi dia un'altra opzione perché, in questo momento, non so proprio che cosa fare: non sono la persona adatta a prendere il controllo in situazioni critiche e ansiose.

«Come non risponde? Perché non risponde? E adesso cosa facciamo, Anita?» Esplode lei in un nuovo pianto isterico.

Capisco che non è nelle condizioni di rimanere calma e di far fuoriuscire tutta la sua tranquillità e saggezza e, così, faccio dei respiri profondi per cercare di mandare maggiore ossigeno al cervello: in questo modo potrebbe funzionare meglio e inviarmi la soluzione giusta a questo problema.

Ricapitolando: sto portando mia cognata all'ospedale perché è incinta di cinque mesi e ha delle perdite di sangue che, a parer mio, non sono normali; non capisco niente nell'ambito medico, tant'è che rischio di svenire ogni volta che vedo una goccia di sangue non mia; mio fratello è al lavoro, la mamma di Chiara non risponde al telefono e io ho bisogno di avere qualcuno a fianco a me. Che fare quindi?

In un batter d'occhio, prendo l'ultima decisione che mai avrei pensato di prendere: chiamo mamma.

«Pronto?» Sento la sua voce squillante allegra, dopo più di un mese.

Lo stomaco mi si contorce e digrigno i denti deglutendo prima di risponderle.

«Sono Anita.» Mormoro con voce secca. La sento trattenere il respiro. «Non riattaccare: sto portando Chiara all'ospedale perché ha avuto delle perdite di sangue.»

Mamma rimane in silenzio e io aspetto la sua risposta mentre premo, con la spalla, il telefono all'orecchio. La sento respirare e questo rumore è l'unico segnale che ho per essere sicura che lei sia ancora presente dall'altra parte della cornetta.

Spero che il disgusto che prova nei miei confronti non le impedisca di venire all'ospedale a dare una mano a sua nuora perché, se così fosse, si disintegrerebbe anche l'ultimo barlume di stima che mi è rimasto nei suoi confronti.

«Okay. Arrivo.» Risponde solamente e, poi, riattacca il telefono.

«Ho chiamato mia mamma: sta vendendo anche lei, d'accordo? Tu stai tranquilla.»

«Sì, d'accordo ma tu fai in fretta: ho paura per il mio bambino!» Strilla lei tra le lacrime ed io schiaccio ancora più a fondo il piede sull'acceleratore.

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