Entro nella stanza designata, tutti i professori sono seduti a un tavolo e, di fornite a loro, c'è una sedia vuota che è destinata a me. Tra le facce dei professori sconosciuti, noto gli occhi della Bizzaglia che catturano i miei per cercare di farmi capire che lei è lì e che devo stare tranquilla. In questi mesi in cui abbiamo lavorato alla mia tesi, il nostro rapporto è migliorato: lei non è più così rigida nei miei confronti e io non sono più spaventata da lei.
«Buongiorno.» Mormoro timidamente e con la voce che mi trema un po', mentre mi siedo sulla sedia.
«Buongiorno.» Mi salutano alcuni professori mentre altri continuano a farsi gli affari loro, non degnandomi nemmeno di un'occhiata.
«Prego, inizi pure.» Mi chiede la Bizzaglia facendomi un cenno con il capo.
«Certo.» Mormoro io e, prima di iniziare a discutere la mia tesi, un solo pensiero mi attraversa la mente e questo pensiero non è dedicato all'ansia, alla mia famiglia che è seduta nelle sedie dietro di me e nemmeno a Diego, che ha abbandonato i suoi amici per essere qui. No, è un pensiero dedicato all'unica persona importante della mia vita che qui non c'è. "Quanto vorrei che tu ci fossi".
Parlo tanto, a volte balbetto e a volte mi dimentico le parole e inizio una serie infinita di "ehm" che cerco di scacciare trovando altre parole da utilizzare. Alla fine dei quindici minuti tassativi che ci sono concessi, i professori, come hanno fatto con Diego, si alzano in piedi assegnandomi il mio voto, 100, poi mi stringono la mano e si congratulano.
Esco dalla stanza faticando a trattenere una risata liberatoria perché, finalmente, ho finito il mio percorso scolastico.
Vengo raggiunta da tutta la mia famiglia e, a turno, mi abbracciano forte. Abbraccio Nicola e lo ringrazio, stringendolo forte, per tutto quello che ha fatto per me nel momento in cui ne avevo bisogno. Abbraccio Chiara e, insieme a lei, mia nipote e ringrazio di averla nella mia vita perché sono state le sue parole, dure ma necessarie, che mi hanno aiutato a svegliarmi dalla catalessi, a uscire dal fango in cui stavo così bene ma del quale, però, non avevo bisogno. Mi stringo a Isabella dandole un bacio sulla guancia perché è anche grazie a lei se sono diventata una gabbiana che sa volare. Poi è il turno di mamma che, con gli occhi lucidi, mi stringe e mi dice che è orgogliosa di me perché sono riuscita a tagliare il traguardo contando solo su me stessa. Anche papà mi abbraccia ed è il primo abbraccio che mi regala da tempo. E io ringrazio entrambi perché sono stati loro che mi hanno dato la possibilità concreta di seguire il mio sogno.
Poi è il turno di Diego che mi stringe tra le sue braccia e la nostra gioia è talmente potente che ci fa diventare sdolcinati e iniziamo a dirci che ci vogliamo bene, che siamo felici di aver iniziato questo percorso perché ci siamo incontrati e che anche se, ora, l'università è finita e non ci incontreremo più tutti i giorni per seguire le lezioni, dormire sui banchi invece di prendere appunti per cercare di recuperare ore di sonno spese altrove, e passare ore interminabili in biblioteca a fare le fotocopie, non ci perderemo mai perché ci troviamo talmente bene insieme, anche se siamo così diversi, che sembrerebbe che le nostre vite si siano intrecciate prima della nostra venuta al mondo e che ci siamo incontrati per questo motivo.
Senza rendermene conto, mi ritrovo con una corona d'alloro sulla testa mentre tutti cercano di essere immortalati con me in mille fotografie diverse.
Poi, ad un tratto, come quando si vede il Sole all'orizzonte dopo la notte, scorgo un viso familiare, degli occhi azzurri limpidi e profondi e dei capelli dorati. Il cuore mi si ferma e guardo la mia alba con la bocca leggermente socchiusa perché non so se è un miraggio causato dalla troppa mancanza che è talmente presente e forte da sgretolarmi le ossa, come succede nel deserto di vedere acqua quando si ha sete. Ha la stessa forma sinuosa, un sorriso sincero e lo sguardo dispiaciuto. Tra le mani tiene un mazzo piccolo di fiori ma è ancora troppo distante e non riesco a capire che fiori sono. Capisco, dalle sue mosse, che si sente di troppo in questa situazione, che vorrebbe occupare lo spazio più piccolo possibile e rendersi invisibile agli occhi degli altri.
Mi stacco dal corpo di mia sorella, alla quale stavo aggrappata, e cammino lentamente verso di lei, con lo sguardo confuso perché non so se sto scambiando un'altra persona per colei che vorrei tanto avere al mio fianco, oppure se, invece, quegli occhi azzurri sono effettivamente i suoi.
«Ciao Anita.» Mormora non appena siamo a circa trenta centimetri di distanza.
«Ciao Olivia.» La saluto a mia volta mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e stringendomi nelle spalle.
Vorrei tanto abbracciarla e darle dei piccoli baci su tutto il viso, perché mi è mancata da morire e, ora che la vedo, mi sembra di essere tornata a respirare dopo essere rimasta invischiata per mesi nel petrolio.
«Congratulazioni.» Mi dice sorridendo mentre mi porge il mazzo di fiori che, ora, riesco a vedere bene: è composto da piccole rose bianche contornate da foglie d'alloro e, tra un fiore e l'altro, sono state inserite delle bacche rosse.
«Ti ringrazio.» Le dico mentre prendo il bouquet e lo annuso. Prendendo in mano il mazzo di fiori, noto che, appeso attorno ai gambi, è presente un ciondolo a forma di gabbiano, simile a quello che le avevo regalato io quando sono andata a casa sua l'ultima volta. Sorrido mentre lo sfioro.
«Finalmente ce l'hai fatta.» Mormora in imbarazzo, sfregando un piede sulla caviglia.
«Già.» Affermo annuendo e sorridendo imbarazzata come lei.
L'imbarazzo è palpabile tra di noi, è come una patina di unto che ci impedisce di respirare e non mi va che tra di noi ci sia questo ostacolo. Così, spinta dall'euforia del giorno, faccio due passi e la abbraccio, stringendo forte il suo corpo debole e aspirando, come aria nei polmoni, il suo profumo di agrumi.
Olivia stringe le sue braccia intorno al mio collo e fa combaciare perfettamente le sue forme alle mie ed è come se chiunque abbia creato il mondo, avesse creato due stampini diversi ma combacianti e, poi, dopo averli utilizzati con noi, li avesse gettati via per impedire la creazione di altri due esseri umani come me e Olivia. Ed è per questo che non possiamo separarci: perché non c'è nessun altro essere umano col il quale io possa combaciare e con il quale lei possa combaciare. Le nostre forme sono fatte per stare insieme e noi potremmo tentare di unirci ad altre persone uguali, simili o diverse da noi, potremmo sforzarci di limare i nostri confini e contorni per cercare di andare d'accordo, per cercare stare bene, per cercare di non pensare che nel mondo c'è l'essere adatto a noi ma che, però, non ci appartiene e potremmo fare tutto questo anche solo per convincerci che il destino non esiste, che le persone non nascono già destinate ma che si incontrano per caso e poi sta a loro decidere che cosa fare. Ma la verità è che non potremmo mai essere semplicemente noi stesse se non saremmo la compagna l'una dell'altra perché io sono convinta di essere il suo destino, così come lei è il mio. E non ci sarà niente e nessuno che potrà farmi cambiare idea.
E siccome la mia vita non avrà lo stesso sapore senza di lei, decido di baciarla sulla labbra, in mezzo a questa folla trepidante di alunni neolaureati. Olivia, dopo un iniziale momento di stupore, intreccia le labbra alle mie e mi stringe ancora più forte. Per la prima volta me ne frego dei giudizi degli altri, di tutti quelli che ci circondano e ci stanno guardando in questo istante. Per la prima volta non scosto la mano dalla sua, non cerco di mantenere le distanze, non mi preoccupo dei risolini, dei commenti inopportuni che potrebbero fare, dei loro giudizi non richiesti. Per la prima volta penso solo alla mia felicità che collegata con l'essere me stessa ed è questa che sono io.
«Sono ancora innamorata di te.» Mi sussurra in un orecchio mentre mi accarezza i capelli, dandomi la risposta alla domanda che le avevo posto quando ci siamo viste l'ultima volta.
Io mi abbandono nell'incavo del suo collo perché, per tutto questo tempo, ho temuto che lei mi avesse dimenticata completamente. «Ti amo anche io.» Le sussurro a mia volta, con le labbra appoggiate sul suo collo mentre le regalo un semplice, dolce e casto bacio sulla sua pelle morbida.
Rimaniamo abbracciate nella nostra bolla di sapone e ci stringiamo sempre più forte, come se cercassimo di recuperare queste settimane in cui siamo state separate, in pochi istanti.
«Mi dispiace tanto, Liv.» Le dico chiedendole nuovamente scusa.
«Non ti devi più preoccupare.» Mi dice staccandosi dal mio corpo e prendendomi il viso tra le mani, guardandomi profondamente negli occhi e facendomi arrossire.
Io annuisco perché nei suoi occhi ho letto che ha capito che ho attuato un processo di cambiamento e, da pulcino che si credeva un gatto, sono diventata una gabbiana dalle ali forti che non ha più paura di volare.
«Vieni,» le dico prendendola per mano, «là c'è la mia famiglia.»

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Natura
RomantikÈ l'ultimo anno di Università e Anita, prima di potersi laureare in Scienze della formazione, deve fare tirocinio. Fa domanda in un asilo vicino al suo paese dove incontra Olivia una giovane maestra che, più delle altre, la aiuta in questo suo perco...