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«Mamma, tua figlia ha vissuto la sua vita sentendosi sbagliata, diversa, contro natura, hai solo una vaga idea di cosa possa voler dire? Vuol dire svegliarsi al mattino e dover indossare una maschera; vuol dire incontrare gli amici e reprimere i propri pensieri e le proprie idee; vuol dire cenare insieme alla famiglia fingendo di essere una persona che, in realtà, non si è.»

«Io la conosco: lei non è così.» Singhiozza lei interrompendo Nicola.

«Mamma, tu non hai mai conosciuto la vera Anita perché lei non è mai stata se stessa con noi, lo vuoi capire? Sapeva che non l'avremmo accettata e quindi ha cercato di cancellare quella parte di sé reprimendola in un angolo della sua mente.» Continua mio fratello senza quasi prendere fiato.

«Allora se lei è così non è sana, Nicola.» Le parole di mamma martellano un chiodo dentro il mio cuore facendolo sanguinare copiosamente.

«La verità è che non è sano reprimersi, mamma. Anita non può fingere di non essere lesbica, non è così che funziona.»

È la prima volta che Nicola pronuncia la parola "lesbica". Cerco di analizzare il tono che ha usato per cercare di capire se c'era una vena di imbarazzo o di ironia nella sua voce ma la verità è che ha usato un tono del tutto naturale, il che mi fa tirare un sospiro di sollievo, anche se respirare mi fa male da quando ho sentito le parole di mia mamma di poco fa.

«Ha incontrato una persona che le ha permesso di sbocciare, di uscire dal suo guscio per vivere la sua vita serenamente essendo se stessa. E questa è la cosa più naturale del mondo.»

«Ma lei ...»

«Ma lei è pur sempre tua figlia Anita, la bambina che ami da sempre, la bambina che hai sempre difeso quando lei ed io litigavamo, la bambina che ti portava a casa dei lavoretti un po' sbilenchi ma creativi il giorno di Natale. È sempre Anita, la ragazza che adora cucinare le torte insieme a te, la ragazza che ha sempre cercato di renderti fiera. È sempre Anita, mamma. È sempre la nostra Anita. È sempre la tua Anita.»

Vorrei correre giù dalle scale per abbracciare forte Nicola. Non credo di averlo mai amato così tanto.

«Ma lei ... ama una ragazza.» Afferma con tono strozzato mamma.

«Hai detto bene, mamma: lei ama ed è bellissimo, non credi? Ama. Anita ama. Hai sempre detto che avresti tanto voluto che lei si trovasse qualcuno di buono, di giudizioso, con un lavoro, che la amasse e la trattasse bene ... beh ora l'ha trovato: si chiama Olivia, è gentile, ha la testa a posto, fa la maestra, ama Anita e le sta facendo del bene, cosa vuoi di più?»

Sento che Nicola sta sorridendo, lo percepisco dal tono della sua voce. Non mi sono mai sentita così tanto amata e accettata per quello che sono, ed è una sensazione bellissima. Sentire parlare di Olivia, sentire elencati i suoi pregi e sentire parlare del bene che mi ha fatto fino a qualche tempo fa, però, invita la tristezza nel mio cuore e mi ricorda che lei ed io, ormai, non stiamo più insieme e che lei, purtroppo, non mi può più fare del bene perché io gliel'ho impedito.

«Ma questa persona è una ragazza.» Mormora piano mamma come se avesse paura che Olivia potesse spuntare dal pavimento come un diavolo infernale e risucchiare tutta la casa e i suoi componenti, nel suo regno d'ombra.

«E allora? Uomo, donna ... che cosa cambia?» Risponde mio fratello senza neanche pensarci. «Anita è felice, non è questo quello che conta?»

Mamma trattiene il respiro per un attimo come se non riuscisse a trovare le parole e le stesse cercando nelle tasche e nelle borse di tutta casa.

Trattengo il fiato insieme a lei perché la risposta a questa do-manda potrebbe segnare il mio destino e il nostro futuro come famiglia. Nel caso in cui lei dovesse dire che è più importante che io mi trovi un uomo rispetto alla mia felicità, allora potrebbe voler dire che devo fare definitivamente le valigie perché, in queste settimane, ho capito che non posso vivere una vita che non mi appartiene: le scarpe e i vestiti della Anita di prima mi stanno, ormai, strettissimi. Se mamma, invece, dovesse abbracciare mio fratello dicendo che sì, la mia felicità viene prima di tutto il resto, anche prima del fatto che io ami una ragazza e non un ragazzo, allora potrei scendere le scale e provare a per-donarla. Spero con tutta me stessa che la mamma provi a far spazio nel suo cuore duro e nella sua mente spigolosa per accettarmi. Non chiedo altro. Non voglio altro. "Provaci mamma, ti prego".

«Sì, ma perché non potrebbe essere un ragazzo?» Ha un tono di voce incrinato.

«Perché altrimenti non sarebbe Anita.» Mormora mio fratello.

«Ma io non voglio che lei sia diversa, Nicola, voglio solo che a lei piacciano i ragazzi e non le ragazze.» Ribatte mia mamma e le sue parole sono talmente contorte e incoerenti da farmi girare la testa.

«Ma ti senti quando parli?» Chiede mio fratello alzando leggermente il tono della voce. «Come puoi dire che non la vuoi cambiare ma non accetti comunque il fatto che lei ami Olivia?» Sento che si alza dal divano e inizia a camminare in giro per il salone, le sue scarpe calpestano il parquet di legno. «Non accettare Olivia significa non accettare Anita perché lei è così e non serviranno le tue preghiere, le tue urla e le tue minacce per farla cambiare: Anita è questa. Anita ama Olivia, punto. Come tu ami papà e io amo Chiara, lei ama la sua ragazza.»

Me lo immagino mentre gesticola e muove velocemente le mani di fronte al viso, come fa sempre quando inizia a scaldarsi e ad arrabbiarsi. Non ho mai visto Nicola litigare con mamma e, il fatto che lo stia facendo per me, il fatto che stia combattendo affinché io possa rimettere piede in casa mia, mi fa scaldare il cuore.

Mamma sta in silenzio. Sospira. È strano il fatto che lei non abbia le parole, non l'ho mai vista stare zitta per più di cinque secondi durante una discussione. Non sento mamma che parla però sento il mio cuore che bussa ubriaco nel mio petto.

«Falla scendere. Vai a chiamarla.» Dice improvvisamente e gli occhi mi si inumidiscono. Mai parole furono più dolci.

Nicola inizia a salire le scale e, quando arriva al piano superiore, sorride chiudendo gli occhi perché mi vede seduta sull'ultimo scalino intenta ad asciugarmi gli occhi. Capisce che io sono stata qui per tutto il tempo e che ho ascoltato tutto ciò che lui e mamma si sono detti. Mi alzo in piedi e, quando lui mette il piede sul ballatoio, mi fiondo ad abbracciarlo fortissimo.

Ho sempre combattuto le mie battaglie da sola, alcune le ho vinte, altre le ho perse, in alcune sono tornata a casa senza elmo, senza scudo o senza armatura, magari zoppicando e tenendomi la mano sul fianco per il dolore; in altre sono tornata a casa in groppa al mio fido destriero, con i capelli al vento e un sorriso vittorioso sulla faccia. Non ho mai ingaggiato qualcuno per vincere per me ma, questa volta, il drago era troppo grande e, dopo la prima battaglia persa, le mie ferite e le mie bruciature erano ancora sanguinanti e troppo gravi per permettermi di combatte da sola. Nicola, oggi, è il mio eroe, il mio paladino, è il mio esercito. Avevo bisogno di lui. Altrimenti non avrei avuto una singola speranza di vincere.

Non è sempre necessario combattere da soli, non è un disonore chiedere aiuto a qualcuno quando si è troppo deboli, quando si ha bisogno di qualcuno che prenda la spada e si affianchi a te. Nicola mi ha raccolto da terra e mi ha aiutato ad alzarmi e io non mi vergogno di essermi tolta l'armatura, di essermi mostrata vulnerabile e ferita, di aver preso la mano che lui mi tendeva e di aver accettato questa alleanza perché sapevo, dopo essere stata ferita mortalmente nella prima battaglia che ho combattuto da sola, che non sarei sopravvissuta fino al tramonto di questa guerra.

Quando mi stacco dal suo abbraccio, lui mi guarda e mi da un buffetto sulla guancia, poi mi butta un braccio intorno alla spalla e scende le scale insieme a me.


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