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Mi sveglio tra morbide lenzuola e cuscini profumati. Passo una mano sul letto e capisco, senza nemmeno aprire gli occhi, che il letto non è il mio. Con un sorriso ricordo di aver passato la notte da Olivia. Apro gli occhi, alzo la testa e noto che, di fianco a me, il posto di Olivia è vuoto e che sono sola in questo enorme letto.

Mi gratto il naso e sbadiglio cercando la forza di alzarmi e vestirmi per andare alla ricerca della mia ragazza. Non appena scosto il lenzuolo, mi accorgo di essere ancora completamente nuda, quindi mi attorciglio nella seta e zampetto per la stanza alla ricerca della mia biancheria, poi apro un cassetto di Liv per indossare qualcosa di suo perché non ho voglia di infilarmi il vestito che avevo addosso ieri sera. Nella profondità di un cassetto trovo una vecchia maglietta bianca abbastanza grande e informe da riuscire a starmi e, dopo averla infilata, cammino, a passi lenti,nel corridoio, verso il salotto e la cucina.

È proprio in salotto che trovo Olivia, in mutande e reggiseno, accucciata per terra, concentrata su una tela, con un pennello dietro l'orecchio e le mani sporche di pittura, mentre Artemisia la guarda con occhi stanchi dal divano.

«Ciao.» Mormoro attirando la sua attenzione.

Liv alza lo sguardo e mi guarda con aria ancora concentrata. Non appena, però, i suoi occhi si posano su di me, vengono illuminati da una luce nuova e questa luce viene messa in risalto anche da un sorriso spontaneo e caloroso che le si dipinge sul viso senza l'uso di tempere e pennelli.

«Buongiorno.» Mi dice. «Vai pure in cucina a farti il caffè o preparati qualunque cosa tu voglia per colazione.»

Decido di seguire il suo consiglio, così cerco di scavalcarla senza disturbarla e senza rovinare il suo dipinto e, poi, vado al frigorifero alla ricerca di un po' d'acqua o un po' di succo da accompagnare ai biscotti che mi mangerò per colazione.

Olivia non mi degna di un'occhiata ma sono abituata a vederla così: quando ha l'ispirazione e dipinge, non ha occhi per nessuno, è circondata nella sua bolla di colore e non ne esce fino a che essa non scoppia dopo la fine del dipinto; quindi so che, se voglio stare un po' con lei e bearmi di un briciolo della sua attenzione, devo andare ad accucciarmi sul pavimento per guardare a che cosa sta lavorando; questa è, infatti, la cosa che faccio dopo aver sbocconcellato qualche biscotto e aver bevuto un bel bicchiere di succo.

«Che stai facendo?» Le chiedo sedendomi di fianco a lei.

«Dipingo.» Mormora guardando la sua opera con la testa inclinata di lato, come se volesse inquadrare la tela da un'altra angolazione.

«Davvero?» Chiedo con un sorriso. «Non me ne ero accorta, sai?»

Lei alza un attimo lo sguardo dal suo disegno, regalandomi la visione dei suoi occhi azzurri, e si gratta la fronte con la punta del pennello, ridacchiando.

«Che dipingi?»

«Ho voglia di cambiare quel quadro lì», mormora indicando il quadro sopra la tv, col pennello, «quindi stamattina presto ho preso la tela, i pennelli e le tempere e mi sono messa all'opera.»

La guardo dipingere ancora per una mezzoretta. In tutto questo tempo non parliamo ma mi basta guardare i suoi movimenti, le sue mani esperte e il guizzo che la sua mascella fa ogni volta che finisce di dipingere un pezzo del quadro e lo guarda con concentrazione.

Alla fine, riesco a vedere e a capire qual è il soggetto di questo quadro: un albero con un tronco snello e dei rami attorcigliati e sinuosi, pieni di rametti più piccoli e foglie colorate e rigogliose. Il cielo non è azzurro, come si potrebbe pensare, ma è composto da tante piccole pennellate di tanti colori diversi che, insieme, formano un concerto di allegria. È completamente differente dal quadro che, ora, è appeso al muro del suo salotto.

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