12

12 1 5
                                    

«Ciao.» Mormora lei salutandomi con la mano, per nulla imbarazzata del fatto che è davanti alla mia porta di casa senza essere attesa.

«Ciao.» Rispondo al suo saluto cercando di nascondere la mia sorpresa e la mia vergogna perché mi sono presentata con i capelli sfatti e l'abbigliamento da casa.

La faccio entrare e, chiudendo la porta dietro di lei, respiro profondamente per calmare l'agitazione che si è mossa in me non appena ho visto i suoi occhi chiari che mi fissavano dal mio giardino.

«Ho trovato il tuo indirizzo sulla tua domanda di tirocinio», mi informa lei voltandosi verso di me, «e ho pensato di venire a portarti questo.» Prende qualcosa dalla borsa e, quando alza le mani, vedo il libro del quale abbiamo parlato l'altro giorno.

«Grazie mille.» Lo prendo dalle sue mani sfogliandolo.

Vedo Liv mentre si dondola su se stessa e si guarda intorno. È strano vederla nel mio soggiorno. Se avessi saputo che oggi l'avrei vista, avrei di sicuro optato per dei vestiti migliori che, noto ora, fanno a botte col vestitino floreale di lei e i suoi sandali bassi.

«Ti ho disturbata per caso?» Mi chiede all'improvviso forse notando il mio sguardo ancora stupito.

Scuoto la testa. «Assolutamente no.» rispondo. «Anzi, scusami per come sono vestita ma non aspettavo nessuno.»

La ragazza mi squadra dall'alto in basso e poi sventola la mano in alto come se volesse scacciare una mosca molesta.

«Ma piantala, sei a casa ed è domenica, come ti volevi presentare, in ambito da sera?» Mormora. «Piuttosto, smettila di sentirti in imbarazzo per nulla e fammi vedere casa tua, eh?»

«C-certo.» Rispondo leggermente sorpresa dalla semplicità della sua risposta. «Vieni pure.»

Pregando che sia tutto in ordine, che papà non stia girando in mutande o in accappatoio, che Isabella non abbia lasciato in giro i suoi vestiti, come fa di solito, che mamma non decida di uscire dal bagno tutta nuda per poi andare in camera a vestirsi, inizio a mostrarle il piano inferiore.

«E questa è la mia camera.» Le dico dopo aver finito col piano di sotto ed esserci trasferite di sopra.

Liv entra nella mia camera lentamente e con le mani dietro la schiena, osservando tutto ciò che la stanza contiene, dai muri colorati di azzurro alle mensole stracolme di libri, al computer acceso sulla scrivania.

«Sa di te.» Afferma alla fine.

La guardo aggrottando le sopracciglia. «Sa di me?»

Olivia annuisce sedendosi sul mio letto. «Sì, sa di te.»

«Che cosa significa?»

«Che ha il tuo profumo», inizia guardandosi intorno, «e poi si vede che è camera tua.»

«Sì beh, ci sono le mie foto appese alle pareti.» Mormoro indicando il portafoto sulla mensola sopra alla scrivania in cui è incorniciata una foto che immortala me e i miei fratelli e varie mie foto appese alle pareti di quando ero piccola, di quando ho fatto la maturità insieme alle mie amiche del liceo, di quando, insieme a tutta la famiglia, abbiamo fatto l'ultima vacanza al mare tutti insieme.

«Ma non è solo per quello.» Afferma Olivia dopo aver osservato attentamente ogni singola foto presente. «Non te lo so spiegare: quando ho visto la camera di tua sorella, sapevo che non era la tua perché non mi sapeva di te. Questa, invece, sì.»

Mi guardo intorno come se non conoscessi ogni centimetro di questa stanza, come se non sapessi quante crepe ci sono in alcuni punti del muro o dove la vernice è più intensa rispetto al altre parti; la guardo come se non l'avessi mai vista per cercare di capire quali sono gli oggetti che Olivia collega a me: forse i libri o i vari peluche che sono appollaiati sulle mensole, oppure le tantissime calamite provenienti da varie parti del mondo che sono attaccate su una bacheca in sughero appesa al muro, o magari la lampada di sale che tengo sulla scrivania e che accendo la notte per aiutarmi a conciliare il sonno o, forse, dai mille evidenziatori, pennarelli colorati, post-it che sono sparsi su tutta la scrivania e che uso quando studio. Chissà.

NaturaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora