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Mi chiudo il cancellino alle spalle e mi siedo sul marciapiede di fronte a casa, imprigionando il viso coperto di lacrime, nelle braccia appoggiate alle ginocchia. Non ho più una casa. I miei genitori non mi vogliono più. Mia madre mi ha ripudiata.

Che cosa posso fare? Che cosa devo fare? Non ho più un posto dove andare a vivere. Casa mia non è più casa e la mia camera, nella quale sono cresciuta e nella quale mi sono sempre trovata accolta e coccolata, mi è stata preclusa ed è stata la testimone del litigio mio e di mamma, quindi non so se riuscirò mai a vederla come una volta senza rivivere il tutto ogni volta che chiudo gli occhi.

Vorrei tanto scavalcare il cancellino e mettermi a tirare pugni e calci alla porta di casa fino a che mamma o papà non verranno ad aprirmi e non mi accoglieranno, nuovamente, a casa mia. Vorrei scavalcare il cancellino e arrampicarmi sulla finestra della camera di mia sorella, infilarmi nella sua camera e spiegarle tutto, raccontarle di Olivia, spiegarle il mio amore per lei e il fatto che non sono diversa anche se amo una ragazza e non un ragazzo. Anche se spero che, con lei, non ci sia bisogno di spiegarle nulla. È una ragazza intelligente.

Vorrei scavalcare il cancellino, entrare in casa in ogni modo e trovare, per caso e magicamente, un marchingegno speciale che mi consentisse di tornare indietro nel tempo per poter, così, cancellare il pezzo del passato che ha creato una faglia insanabile tra me e la mia famiglia. Farei di tutto pur di non vedere più lo sguardo schifato di mamma, il comportamento menefreghista di papà e gli occhi spauriti di mia sorella. Non so cosa darei per poter tornare indietro e riuscire a staccarmi dal corpo di Olivia per non farmi beccare con le mie labbra attaccate alle sue, da mia mamma, per non sentire il potere della mano di mamma sulla mia guancia e per non assistere al litigio tra lei e la mia ragazza. Non so cosa darei per non dover sentire urlare mia mamma che sono malata, che sono diversa, che faccio schifo.

Non è giusto. Non dovrebbe funzionare così: i genitori, teoricamente, dovrebbero supportare i figli in qualsiasi loro decisione dovrebbero amarli incondizionatamente e difenderli dal mondo. E invece io, ora, mi ritrovo nel mondo a dovermi difendere da loro.

Mi asciugo le lacrime e mi soffio il naso decidendo che basta, non posso più piangermi addosso, non ora, non in questo momento. Adesso ho solo bisogno di andarmene da qui e trovami un posto dove stare.

Controllo ciò che mamma ha ficcato all'interno del mio zaino: due paia di pantaloni a caso, tre paia di magliette a maniche lunghe, una maglietta a mezze maniche e un pigiama. Tutto qui. Non ho né un libro da leggere, né il caricatore del telefono o altri oggetti che, per me, sono indispensabili. Non ho il computer che mi serve per l'università né i libri che stavo studiando. Sospiro e mi passo una mano tra i capelli, ingarbugliandoli ancora di più insieme alle lacrime che ho ancora appiccicate alle dita e alle guance.

Mi alzo in piedi e mi infilo lo zaino sulle spalle. Inizio a camminare senza meta, cerco solo di mettere più distanza possibile tra me e la mia casa perché la sua vicinanza, al posto di farmi sentire al sicuro, mi fa provare solo un grande dolore.

Mentre cammino, sento il telefono che, nella tasca dei pantaloni, vibra e lo prendo per vedere chi mi sta chiamando. È Olivia. Sicuramente vorrà sapere come sto, com'è andato il litigio e se sono riuscita a calmare mamma. Per un secondo penso che potrei risponderle, chiederle di venirmi a prendere e trasferirmi a casa sua. Ma, mentre sto per slittare il dito sullo schermo del telefono, mi rendo conto che, in realtà, non ho proprio voglia di parlare con lei o di vivere la mia quotidianità a casa sua. E non so perché. Non so perché provo questi sentimenti visto che, fino a meno di due ore fa, avrei dato tutto quello che possedevo per poter passare tutti i minuti della mia vita a casa di Olivia. Per cui faccio spallucce, senza pensarci più di tanto silenzio la chiamata, mi metto il telefono in tasca e, dopo essermi legata i capelli in una crocchia scomposta con l'elastico che tengo sempre attorno al polso, mi incammino verso una direzione precisa, questa volta: casa di mio fratello. Ho capito che lui è l'unico che potrebbe ospitarmi e prestarmi un letto e un cuscino, o anche solo il divano. In fondo, è lui che, mesi fa, mi ha dato il coraggio di andare da Olivia, quindi sono sicura che mi vuole talmente bene da riuscire ad accettare chi sono veramente.

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