Capitolo 82

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Stone cold
Demi Lovato

"Mi sono preso una coltellata per te, e non mi pento. Lo rifarei. Altre cento volte. Ma Maira ti prego, non provare più a dire che avresti preferito morire. Non farlo. Non davanti a me."
La sua voce trema. E io sono una codarda. Sono troppo codarda.

Rimango lì immobile, senza neanche guardarlo in faccia.

Davanti al mio silenzio, lui risponde con parole forti e taglienti. Parole che non vorrei ascoltare.

"Sai qual è la cosa che mi fa imbestialire? Il fatto che tu dica che saresti voluta morire, anziché dire che forse non saresti arrivata a questo se tu non avessi mai incontrato Cameron. Perché andiamo, se non l'avessi incontrato ora non staresti qui. Non staresti così male."

Lentamente, lascia la casa.

I miei occhi si chiudono insieme alla porta che si chiude lentamente. Non sento lacrime che li riempiono, forse è meglio così. Magari se non piango non sentirò molto dolore.

Li riapro e sono sola.

Resto sola.

Sola come una pietra in mezzo alla strada. Una pietra fredda.
Ed è esattamente quello che sono. Ferma in mezzo alla stanza, immobile.
Solo Dio sa come mi sento.

Avrei voluto dire a Juan di non andarsene, perché è l'ultima persona che è restata al mio fianco.
Avrei dovuto dirgli che sono troppo impulsiva. Che è risaputo che le parole escono troppo velocemente dalla mia bocca. E che la mia testa ci mette troppo tempo a elaborare le parole giuste da dire. Perché sono sempre in ritardo.
Lo sono sempre stata.
Sempre compreso le cose troppo tardi. Mi sono sempre pentita.
Pentita di non aver mai fatto le cose che avrei voluto.
E a volte, pentita di averle fatto nonostante sapessi che mi avrebbero portato solo dolore.

Cos'è meglio fare? Avere rimpianti? Rimorsi?

Chi lo sa.

Non l'ho mai capito. Mai.

Andare avanti senza pensare a niente, pensando solo ai sentimenti non va bene.
Non mi ha fatto bene.

Bisogna dar ascolto alla ragione?
Bisogna dar ascolto al cuore?

Io cos'è che ho seguito? Il cuore?

Dovrei pentirmi anche di questo? A questo punto non dovrei più fare niente. E non dovrei più pensare al passato.
Ma non è così che funziona.

Non è così che funziono io.

Sono sempre arrivata al punto in cui le persone hanno dovuto sputarmi la verità in faccia. Per un semplice motivo: sono sempre stata troppo positiva.
Sempre così dannatamente positiva da essere quasi menefreghista. Perché nella mia mente, io avrei avuto una seconda chance per fare le cose. Un'altra possibilità per dire ciò che non sono riuscita a dire quando dovevo.
Sarà anche così? Anche ora che non c'è nessuno con me?

Anche ora che Juan non è più al mio fianco?

Sento un bruciore nel braccio, lì dove c'è il tatuaggio.

Bibia be ye ye.

Forse ho sbagliato anche a tatuarmelo. Non andrà tutto bene.

No.

Con Cameron non sarebbe dovuta andare oltre. O forse doveva andare così.
Non sono nata per essere felice. Perché appena lo sono, riesco appena ad odorare il profumo della serenità e subito vola via. Vola via portata da un vento freddo e meco.

'Mi sono preso una coltellata per te.' 

Le parole di Juan rimbombano e rimbombano.
Forti e chiare nella mia testa, riecheggiano in maniera assordante.

Lo avrebbe rifatto. Altre cento volte.
E io l'avrei rifatto? L'avrei fatto anche solo per la prima volta? L'avrei fatto per Juan?

Per un altro ragazzo sicuramente. Per Cameron l'avrei fatto.
Forse è proprio questo il problema principale.
Ma infondo lui mi ha ferita ugualmente.

Diversa da quella di Juan, ma c'è.

E anche se è coperta dai vestiti, c'è una cicatrice. Chissà se gli fa ancora male. Non gliel'ho mai chiesto. Mai.
Eppure sono stata io la causa di tutto.

Sono andata a trovarlo sia in ospedale che a casa, gli ho chiesto come stesse. Ma di quella ferita mai mi sono interessata.
Quando sono diventata così egoista? Vorrei che qualcuno me lo dicesse, perché io davvero non lo so.

Quella ferita gli fa male come quella che ho dentro io?
Forse a lui fa più male, ma quando mai me ne sono interessata?
E adesso lui si ritrova con due ferite. Provocare entrambe da me.

Sono ancora ferma qui, in mezzo la stanza. Con le spalle rivolte verso la porta.
Non so quanto tempo è passato, ma sento la porta aprirsi.

Forse Juan è tornato. Forse ha capito che in fondo non sono davvero così.
Ma non ho la forza di girarmi.

"Maira che ci fai lì, sei tornata da poco?"
E per quanto io ami mia madre, devo ammettere che al momento non è la sua voce quella che voglio sentire.

Un flebile "sì" riesce a prendere forma dalla mia bocca, e quasi come ricevessi una spinta da dietro me ne vado in camera mia.

Non mi giro neanche, forse perché spero ancora di trovarci qualcuno dietro di me pronto ad aiutarmi.

A differenza di Juan, che la porta l'ha chiusa delicatamente, io la sbatto.
La chiudo con tutta la forza che ho in questo momento.

Con tutta la rabbia che sento.

Ed è proprio quel rumore che fa scattare qualcosa in me. Mi butto sul letto e inizio a piangere.

E urlo.

Urlo come non ho mai fatto.

Sento subito mia madre che sale le scale e la smetto. Riesco a percepire la sua figura dall'altra parte del muro, ma non entra.
Non bussa. Non mi domanda niente.

E torna di nuovo indietro.

Dovrò ringraziarla per questo.

Resterò qui a pensare.

Visto come sono andate le cose, a quanto pare non l'ho mai fatto abbastanza.

Runaway heart ~Cameron Dallas~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora