Il semaforo

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Sento qualcuno bussare alla mia porta. "Avanti", dico mentre sono sdraiata sul letto. "Amore, vuoi qualcosa da mangiare?", chiede mia madre gentilmente. "No, grazie", continuo,
"Vieni pure a sederti se vuoi, mamma", la invito infine, vedendola un po' indecisa sulla soglia della porta. La mamma ad un tratto diventa tutta felice e viene a sedersi vicino a me sul letto. "Allora... Come è andata oggi a scuola? Tutto bene? Come stanno le tue amiche ?", inizia lei.
"A scuola è andato tutto bene. La Kofler ha fissato la verifica di matematica per giovedì e abbiamo fatto un po' di ripasso. Io ho studiato tutto il pomeriggio. E le mie amiche stanno bene, grazie".
Non le racconto del nuovo compagno di classe, perché non me lo ha chiesto, quindi non gliene parlo se non lo sa.
"Bene, mi raccomando, studia e se hai bisogno chiedi pure aiuto a me", si offre lei gentilmente. "Certo. Come è andata oggi a lavoro, mamma?", domando poi io.
Mia madre fa il medico in un ospedale vicino al nostro paese.
"Bene, bene. È andato tutto bene. Dopo il lavoro, sono andata a prendere un po' di veli. Te ne ho comprati due. Vuoi venire a provarli, giù ?"
"Va Bene", mi limito a rispondere.
La mamma si alza e mi sorride. "Ti aspetto giù allora. Preparo un po' di the nel frattempo", dice lei con uno sguardo premuroso. Annuisco e comincio a mettermi a posto.
Adoro la mamma, se devo essere sincera. Lei è sempre stata sia una madre che un padre per noi, anche perché il padre non lo abbiamo mai avuto o meglio fingiamo di non averlo mai avuto.
Mio papà ci ha lasciati quattro anni fa, per un'altra donna. Non ha più chiesto di noi e noi fecimo lo stesso. In famiglia lo odiano tutti. Abbiamo persino cambiato i nostri cognomi e li abbiamo resi uguali a mia madre. Prima ci chiamavamo "Gamal", adesso siamo "Eltoukhi". Quando andiamo in Egitto e ci chiedono che fine abbia fatto lui, diciamo semplicemente che è scappato. Perché è questa le verità, no?
Lui è scappato dalle sue responsabilità. Ci ha lasciati soli in un'età così difficile e fusa. Ho sempre avuto bisogno di una figura paterna al mio fianco, ma proprio nel momento in cui ne avevo la maggior necessità, ho aperto gli occhi e non l'ho trovata.
Ho sofferto tantissimo per tutti questi anni. Sono arrivata addirittura a credere che fosse successo tutto per colpa mia. Ma che idiota ero?!
Prima che lui se ne andasse, ero più sorridente e socievole, adesso... beh... adesso è solo adesso.
Quella che ne ha sofferto di più, però, è stata mia madre. Si è sentita praticamente inferiore all'altra donna con cui lui se n'é andato. Non l'ha superata facilmente. La sentivo piangere tutte le notti in camera sua. Io non ci potevo fare nulla, lei non voleva mai il mio aiuto, quindi ho lasciato che si rialzasse da sola; e adesso devo ammettere che sta molto meglio di prima. Anche Yousef ha sofferto tanto per via di questo abbandono, infatti avevo scoperto che aveva addirittura scritto un diario a riguardo. Devo ammettere che sono rimasta piuttosto sorpresa da questo suo lato sensibile. Insomma... Ognuno di noi ha sofferto a proprio modo. Abbiamo passato un po' tutti le pene dell'inferno poi, dopo circa due anni, abbiamo ricominciato a respirare.
Ora stiamo bene o meglio cerchiamo di stare bene.
Dopo essermi sistemata i capelli, scendo giù per fare un po' di compagnia a mia madre.
"Eccomi, Karma", urlo scendendo le scale.
"Cos'è adesso non mi chiami più "mamma" ?", chiede lei ridendo. Mi pone un sacchetto e io lo apro. Dentro ci sono due veli bellissimi, uno è rosa chiaro e l'altro è beige. Provo subito quello rosa, così lo lego all'indietro e faccio uscire qualche ciuffo di capelli.
Mi vado a guardare allo specchio e devo ammettere che mi sta veramente bene: il colore dona perfettamente sulla mia pelle olivastra. "Come sei diventata grande, bambina mia! Mashallah, sei... bellissima", sussurra mia madre con le lacrime agli occhi. Vado subito ad abbracciarla, lei ricambia e, quasi quasi, mi strozza. "Sì, mamma, anche io ti voglio bene. Però, così mi uccidi".
Lei si stacca da me e sorride.
Provo anche il secondo velo e, anche quello, mi piace. Così, io e mia mamma passiamo il resto del pomeriggio a parlare e a discutere del più e del meno.

Oggi mi sono alzata prima che suonasse la sveglia, mi sono sistemata e mi sono vestita con calma.
Così, scendo giù in salotto, saluto la mamma e decido di uscire di casa prima del solito. Attraverso la strada e mi fermo al semaforo aspettando che diventi verde, di modo che, io possa passare. "Buongiorno, Daryn".
Mi guardo di fianco e vedo Ethan. "Buongiorno", dico cercando di sorridere. Avrei preferito fare la strada da sola. Pensavo che stesse scherzando quando, il giorno prima, mi aveva chiesto di fare la strada insieme, dato che abitiamo vicini. "Come ti va?", chiede lui dopo un po'.
"Bene, grazie. E a te come va?"
"Bene", risponde lui sorridente
È troppo allegro, per i miei gusti e sono solo le 7:45 di mattina.
Finalmente il semaforo si fa verde, così attraversiamo la strada e andiamo dritto. "Senti... volevo chiederti un favore", riprende di nuovo lui.
"Dimmi tutto, Ethan"
"Sai... domani c'è la verifica di Matematica, non è che, oggi, potresti darmi una mano?"
Ci penso su un attimo. Teoricamente, non ci sarebbe nessun problema: oggi non ho nessun progetto da portare avanti, quindi volendo potrei pure fermarmi una o due ore con lui. Però, il punto non è questo. Non sono mai stata da sola a studiare con un ragazzo, di solito studio in gruppo con le mie amiche.
"Va Bene. Ci fermiamo a scuola, in biblioteca, appena suona la campanella", dico io dopo un attimo di esitazione. Ho deciso di accettare, solo perché la preside mi aveva raccomandato di aiutarlo. "Davvero?! Grazie mille, Daryn. Mi stai facendo un gran favore, visto che in matematica non sono molto bravo", dichiara lui sorridendo. Ricambio il sorriso e continuo a camminare dritto. "Tu qui hai tante amiche, vero?", chiede lui d'un tratto. "Beh... Sì, ne ho abbastanza".
"Ho visto. A scuola sei abbastanza conosciuta. Insomma... Ti rispettano tutti, la preside ti loda di continuo e tutti gli alunni ti salutano. Come fai?", domanda corrucciato.
"Non faccio nulla. Sono solo gentile con tutti e vado bene a scuola. Sono sicura che anche tu prima o poi ti farai degli amici qui".
"Lo spero tanto. A proposito, ieri ho parlato con tuo fratello"
"Mi dispiace per te", dico io assumendo un'espressione totalmente indifferente. Lui ride forte e mi chiede il perché.
"Perché è odioso", rispondo con tono freddo. Lui mi fissa a lungo per poi dire: "Sei carina quando ti arrabbi". A quell'affermazione, le mie guance vanno a fuoco e, per una frazione di secondo, mi sembra di aver smesso di respirare.
Torno a guardare diritto e non parlo, dato che sono veramente imbarazzata. Tra di noi cala il silenzio e io vorrei poter scappare. "Comunque, ho scoperto che io e tuo fratello giocheremo nella stessa squadra", parla lui cercando di spezzare il silenzio e di sciogliere la tensione. "Il Dresano, intendi?", chiedo cercando di sorridere.
"Sì, proprio quella. In America giocavo a calcio. È la mia passione da quando ero piccolo. Ricordo, che il primo regalo che mi fecero, fu un pallone da calcio. Poi, a sei anni, mi mandarono a giocare ed ero piuttosto bravo e quindi adesso continuerò", afferma lui deciso.
"Che bello", mi limito a dire.
"E tu fai qualche sport?"
"Beh... No. Però, vado in palestra quattro giorni alla settimana e gli altri tre giorni vado a correre", rispondo educatamente.
"Beh... sei molto sportiva".
Siamo arrivati davanti al liceo, così saluto Ethan e vado a fermarmi con le mie amiche. Loro cominciano a parlare, io non sento nulla di quello che dicono, perché in mente ho solo una frase: "Sei carina quando ti arrabbi".

Amore proibitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora