Capitolo 17

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Pov's Gaia
Sono sempre stata una persona forte, decisa, determinata, e nessuno, mai, era riuscito a farmi dubitare di cosa volessi, nemmeno un po', nemmeno per sbaglio. E in tanti mi hanno criticato per questo, il mio non mettermi in discussione mi ha portato anche a sbagliare, a sbattere la testa contro il muro solo perché non volevo ascoltare qualche consiglio, ma ora, col senno di poi, capisco che seguire ciò che penso, sento, e voglio, in realtà mi ha portata proprio dove volevo. Dentro di me sono una persona insicura di indole, oserei dire, la Gaia determinata viene fuori solo davanti agli altri, quando sento di dover o voler dimostrare chi sono. Ecco, con il manager la Gaia sicura e combattiva l'avevo messa da parte per un po', un tempo relativamente breve in realtà, ma che mi aveva fatto perdere credibilità in me stessa, uno degli amori più grandi che potessi vivere, e anche qualche certezza.
Al mondo non sono tutti buoni, non tutti quelli che dicono di accettare sempre e comunque poi lo fanno per davvero, non tutti capiscono, e non a tutti importa capire. Mi piace pensare che tutto ciò che succede abbia un senso, e forse il senso di tutto ciò che è successo nell'ultimo periodo è proprio questo:
so chi sono, cosa voglio, dove voglio arrivare e da dove vengo, devo solo farlo valere di più, con me e con gli altri.
E tu, Bì, tu che meno di tutti meritavi di entrare in questo caos, sarai la prima ad uscirne, te lo prometto.
<Ci tengo a spiegarti, davvero. Diciamo che mi sono fatta condizionare, che è una cosa molto strana per me. A forza di dirmi che ero sbagliata, mi ci sono cominciata a sentire per davvero, ma oggi, rivedendoti, ho capito che i tuoi occhi mi faranno sempre lo stesso effetto. E se li ho notati tra tanti, un motivo c'è, e di certo non è sbagliato> le dico, e finalmente mi apro del tutto, con lei è facile, ma c'è da dire che oggi era un argomento molto vicino anche a lei e comunque c'è da aggiungere il fatto che non ci vedevamo né sentivamo da due mesi.
In tutta risposta si lancia verso di me e mi stringe forte in un abbraccio, <in contesti diversi ma anche io ho passato questa cosa, lo capisco Bì, tranquilla> mi sussurra ed io ho i brividi lungo tutta la schiena.
<Ti va di riprovarci?> le chiedo senza troppi giri di parole, quando siamo ancora abbracciate. Lei si stacca, mi guarda negli occhi, mi sorride e poi accorcia le distanze. Quando le nostre labbra si toccano mi sembra che tutto il resto non conti più, che il resto non esista e se esiste non ci tocca, non ci riguarda. Le sue labbra morbide premono sulle mie e chiede accesso con la lingua, accesso che ovviamente non nego, e la avvicino ancora di più a me prendendola per i fianchi.
Mi erano mancate le sue labbra, che si muovono un po' insicure e che, proprio per questo, la rispecchiano al 100%,
mi erano mancate le sue mani che mi accarezzano il viso, che mi spostano i capelli dietro le orecchie se mi coprono un po' il viso,
mi erano mancati i suoi occhi, profondi, veri, che parlano, che sanno farmi capire che ci tiene, che lei c'è e ci sarà, nonostante l'abbia lasciata in un letto d'hotel con solo una lettera e una maglietta che le ricordasse che c'ero stata anche io, in quel letto, con lei.
Mi era mancata Martina, la Martina che conosco solo io, la sua dolcezza quando mi abbraccia.
Come può, tutto questo, essere considerato sbagliato?
Non può, perché, semplicemente, non lo è, perché nessuno decide cosa è normale e cosa considerare strano, o addirittura sbagliato. E mia madre l'ha sempre capito, l'ha capito, forse, prima di me, che ero attratta anche dalle ragazze, e non mi ha mai detto nulla, ogni cosa ha il suo corso e presto o tardi l'avrei capito da me. Ci stacchiamo e abbraccio di nuovo Marti, poggio la testa sulla sua spalla e, a pochi metri da noi vedo mia mamma guardarci con quel sorriso bello, comprensivo e accogliente che in poche persone ho visto. Ha capito tutto ed è felice per me, lo vedo, lo sento.
<Per stanotte dove avevi intenzione di fermarti?> le chiedo, sicura del fatto che non ha intenzione di tornare a Torino a quest'ora della notte da sola.
<Non rimango qui> mi risponde, senza, però, aggiungere altro.
<E dove vai?> insisto ancora io,
<alle 5 di mattina ci dovrebbe essere un treno regionale per Napoli, prendo quello> mi dice, senza guardarmi in faccia. A quel punto le alzo il mento per impedirle di non incrociare i nostri sguardi <ma è per il mio concerto o hai altro da fare?> le chiedo. <Certo che è per te, cosa dovrei andare a fare alle 5 di mattina a Napoli?> mi chiede buttandola sull'ironia eppure io ancora non riesco a capacitarmi del fatto che questa ragazza sta facendo di tutto per non perdersi nemmeno un piccolo pezzo del mio percorso. <Stai in hotel con me e domani andiamo insieme?> azzardo io, e lei a quel punto torna con lo sguardo su di me. Nei suoi occhi vedo stupore, tanto, evidentemente non se lo aspettava e fino a dieci minuti fa non mi sarei aspettata una domanda del genere da me stessa nemmeno io. Tra lo stupore però vedo anche timore, che di certo occupa molto più spazio, timore motivato, timore causato da me, dalle mie scelte, dai miei comportamenti.
<No Gaia, farò come avevo pensato> mi risponde cercando di non mostrare quel velo di agitazione che, invece, noto.
<Ma dai perché? Non puoi Martina, è impensabile prendere un regionale da sola a quell'ora!> alzo un po' la voce, non si rende conto dei rischi che corre.
<Gaia ti ricordi come è finita l'ultima volta? Vorrei che stavolta iniziasse e durasse un po' di più, e se per permetterlo serve che passi la notte in un treno da sola, lo farò. Perché due mesi fa, con te, sono venute via tutte le cose più belle di me, nel borsone, oltre ai tuoi vestiti, c'era la mia spensieratezza, il mio sentirmi accettata, e anche ogni mia certezza.
Ma l'amore, quello mi è rimasto ancorato addosso, e non voglio commettere un altro errore.>

Come promesso ecco l'altro capitolo! Spero vi piaccia, fatemi sapere❤️

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