Capitolo 58

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Pov's Martina
Dopo quelli che sembrano essere una trentina di minuti, Marco ci raggiunge per avvisarci che dobbiamo andare via. Gaia prende la sua borsa, per poi raggiungere la mamma e Giorgia, che ci aspettando davanti al divanetto sul quale Frida sta ancora dormendo.
Mentre loro prendono le ultime cose, mi avvicino alla piccolina, le sposto un ciuffo di capelli da sopra il viso, per poi prendere in braccio delicatamente, nel tentativo di non svegliarla né disturbare il suo sonno. Riesco nel mio intento, forse per l'attenzione con cui mi muovo, o forse perché il suo sonno è troppo profondo per essere interrotto.
<Marti dalla a me, ti fa male la schiena poi> cerca di dirmi Gaia, ma io scuoto la testa in segno di negazione. Luciana e Giorgia cercano di insistere a darla almeno a loro, ma fallendo. Per me non è un problema portarla in braccio, anzi.
Gaia si avvicina a me e mi stampa un bacio casto sulle labbra, per poi rivolgermi un sorriso e accarezzarmi con dolcezza la guancia sinistra.
Ad interrompere questo contatto così semplice eppure profondo, è Marco, che, dopo aver sbuffato, ci dice con tono alternato che dobbiamo andare via.
Facciamo ciò che dice, usciamo dal locale e ci dirigiamo verso la macchina, in un religioso silenzio quasi imbarazzante, ma che, a me, non tocca nemmeno un po'.
Sono abituata al silenzio, ci ho vissuto insieme per due lunghissimi anni, e quasi trovavo conforto e amore, in lui. E, con il tempo, è diventato quotidianità, normalità, tanto da sentirmi a disagio se veniva spezzato da qualcosa che non fosse la mia voce, la musica, o il suono della chitarra o del piano.
Un silenzio che per tanti sembrava essere invalidante, invivibile e strano, ma che per me è stato un po' la salvezza perché, si sa, chi impara a stare bene da solo, con altri sta meglio di chi, in solitudine, non sa respirare nemmeno per un minuto.
Io che con gli altri mi sono sempre sentita a disagio, così come succede ancora alcune volte, avevo imparato a fregarmene e a non sentire il peso di un mio parere diverso, contrario, opposto o non esposto. Io ero io, e se loro non mi avessero accettato, ero consapevole che tornare in camera mia e chiudermi dentro di me e nel mio mondo, non sarebbe stato un problema, non in quel momento, non per la me che ero.
Per questo, questo silenzio ma così come tutti gli altri, ora, è un silenzio che non mi strozza, ma che mi causa un fastidio inspiegabile se penso alla sua causa, se penso da chi è stato indirettamente imposto, dalla sua mancanza di voglia di comprendere e accettare la vita privata di un'artista, che non dovrebbe minimamente interessagli e su cui non ha diritto di replica, dato che il suo impegno e lavoro è seguirla esclusivamente a livello lavorativo.
Non vorrei mai e poi mai che la nostra relazione diventasse un ostacolo per il suo sogno.
Non potrei perdonarmelo mai, e sono sicura che saprei comprendere il momento esatto in cui allontanarmi, per non mandare a rotoli i piani di una vita intera.
E spinta dall'amore mi allontanerò, lentamente o di punto in bianco, e proprio quest'amore mi avvolgerà ancora cercando di asciugarmi le lacrime amare che scenderanno, perché sì, lo faranno.
E l'amore cercherà anche lei, e la guarderà realizzare il sogno di una vita, ma a debita distanza.
L'amore sa fare male
ma per te posso rischiare.

Però l'amore sa anche fare del bene, e fa soprattutto quello, e lo accarezza piano per poi condurlo nel mio cuore.
E me ne accorgo quando, una volta arrivate a casa di Gaia, ci sdraiamo una accanto all'altra.
Non vorrei essere da nessun'altra parte se non qui, tra le sue braccia, con gli occhi incastrati nei suoi lucidi ed emozionati.
Sei vera, Gaia
te lo leggo nei sorrisi,
sei intelligente
si vede da come parli,
sei pura
si vede dalla tua voglia di fare sempre e solo del bene,
e sei anche matura
e lo dimostri quando, rassegnata, capisci che non è possibile tenere il male lontano per sempre.
Sei bella, Gà.
Sei.

<Mi fai leggere che hai scritto?> mi domanda dolcemente riferendosi alle parole che ho scritto prima, e che vorremmo diventassero una canzone, mentre con una mano mi accarezza la guancia.
Le faccio una smorfia, mi vergogno a farle leggere parole che ho scritto pensando a lei, parole che mi sono uscite prendendo spunto dalle sue frasi, dai suoi occhi, dai suoi respiri.
<E dai Bì, fallo per me> insiste ancora, con un musetto dolce e il labbro inferiore leggermente più esposto rispetto a quello superiore.
Mi avvicino per stamparle un bacio sulle labbra, e la mia bocca incontra il suo sorriso dolce, nato probabilmente perché ha capito che ho ceduto.
<Tieni> le porgo il mio telefono, con la voglia di nascondermi per la vergogna e la timidezza ma con, allo stesso tempo, il desiderio e quasi la necessità di guardarla per cercare di comprendere cosa pensa, cosa le passa per la testa, qual è la prima emozione che le tocca il cuore quando legge ciò che ho scritto.
Finisce di ascoltarla e alza lo sguardo, mi sorride e ha gli occhi un po' lucidi.
<Che bella Marti> sussurra con voce spezzata, mentre io le sposto un ciuffo di capelli che le copre il viso bellissimo che ha.
<È un bel messaggio, poi è scritto in modo fantastico...> continua, lasciando per la seconda volta la frase in sospeso. Sta cercando le parole giuste, lei le dosa, le sceglie e, solo dopo, le usa.
<Posso chiederti per chi l'hai scritta? Hai pensato a qualcuno, no? Almeno la finiamo rimanendo su quest'onda> mi chiede, pronunciando in modo insicuro le prime due domande, e cercando quasi di giustificarle con l'ultima frase.
<Per te, per chi altro sennò?> le chiedo retorica, pensando a quanto mi spaventa immaginare una canzone scritta ad una persona che non è lei.
Non ho mai provato niente di così grande per nessuno prima d'ora, e la possibilità di perderla mi spaventa da morire.

Ecco a voi! Volevo avvisare che ho già in mente la fine, mancheranno una decina di capitoli credo, ma anche meno probabilmente.
Fatemi sapere cosa ne pensate❤️

Un giorno, se ti vaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora