Capitolo 27

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Pov's Martina
Mi siedo a tavola e guardo i tre componenti della mia famiglia, Nicolò, mio fratello, mi guarda preoccupato, segno che sicuramente a breve nostra madre e nostro padre mi faranno uno di quei discorsi infiniti e pesantissimi.
E infatti è proprio ciò che succede dopo qualche minuto di silenzio.
<Martina con chi sei stata a Roma?> mi chiede mia madre, la guardo stranita, me l'ha già chiesto e, quindi, sa già la risposta.
<Te l'ho già detto, con Gaia> le rispondo io, cercando di stare più calma possibile, e di non scoppiare prima del dovuto.
<Martina lo sai che non vogliamo che ti frequenti con delle ragazze> mi ricorda mio padre, e per quanto io sia sempre forte e sembri quasi impassibile ad ogni cosa che mi si viene detta, dopo questa frase il cuore mi trema un po'.
<Mi piacciono le ragazze, non posso farci niente, ne avevamo già parlato> gli rispondo guardandolo negli occhi, cercando di fargli capire che ciò che a loro appare come una gabbia, in realtà a me fa stare bene.
<È una cosa passeggera, e, in caso non dovesse esserlo, la nasconderai, a noi non sta bene> continua mio padre, con un tono di voce più alto rispetto a prima.
<Non posso farlo, non ce la faccio> gli rispondo io abbastanza frustrata, non arrabbiata, sono solo stanca e penso che questo discorso sia uno dei più insensati che io abbia mai sentito in vita mia.
<E invece ce la farai, perché noi non vogliamo questo per te! È sbagliato, cazzo, vuoi capirlo?> mi urla contro mio padre, non prima di alzarsi in piedi e avvicinare pericolosamente il suo volto al mio. Chiudo gli occhi, forse questa è una gabbia anche per me, forse un po' mi pesa, forse avrei voluto essere etero, passare inosservata se tengo la persona che amo per mano, essere accettata dalla mia famiglia. Mi sarebbe piaciuto forse, o forse no, forse avrei trovato qualcosa per cui star male anche in quel caso, però adesso il cuore lo sento così debole che quasi ho paura che, di punto una bianco, possa fermarsi, cessare di battere, lasciarmi qui impassibile con l'uomo che mi ha messo al mondo ad un passo dal mio viso, e non per lasciarmi un bacio sulla fronte.
<Papà ti prego non ce la faccio ci ho provato un sacco di volte! Gaia ve la farò conoscere, vi piacerà, ne sono sicura, non è sbagliato, te lo giuro pà> gli rispondo io, sull'orlo di una crisi di pianto.
<Non ce ne frega un cazzo Martina, fallo entrare nella tua testa. Starai con un ragazzo, fine della storia> cerca di chiudere il discorso mio padre, fallendo.
<Te lo scordi, io non mi impongo di vivere una vita diversa da quella che voglio solo perché voi siete dei limitati! Giratevi dall'altra parte quando mi vedete con una ragazza, oppure chiudete gli occhi, a me non cambia un cazzo> trovo, non so dove, la forza di rispondere. Stavolta sto urlando anche io, e, scazzata, mi alzo dalla sedia e faccio per andare in camera.
A fermarmi è una stretta dura e decisa sul mio polso, mi giro e mio padre mi guarda negli occhi. Vedo fuoco nei suoi, vedo rabbia, vedo voglia di cambiarmi, e in fondo, ma solo in fondo, vedo un pizzico di amore, quell'amore vero e indescrivibile che provano i genitori per i figli. Un amore con il quale mi aveva cresciuta, l'amore che si era portato dietro quando mi accompagnava al parco, quando mi facevo male ed era lì a darmi un bacio e a dirmi che presto sarebbe passato tutto. Un amore che adesso non riesco a riconoscere più, e tutto questo per il mio orientamento sessuale, che a lui non porta alcun cambiamento, perché parliamoci chiaramente, nella sua vita, se io sto con una ragazza, a lui non cambia niente.
I miei pensieri malinconici vengono bloccati da uno schiaffo fortissimo sulla mia guancia destra, sulla quale poi porto una mano, sentendola bruciare. Guardo con disprezzo l'uomo che mi ha cresciuta, e che dovrebbe provare un amore incondizionato verso di me, e che invece mi costruisce una gabbia attorno, delle mura altissime che non mi fanno vedere ciò che vorrei.
Velocemente salgo le scale ed entro in camera mia, subito dopo aver chiuso la porta alle mie spalle scoppio in un pianto silenzioso, quasi rassegnato. In questo momento avrei bisogno di Gaia, di una sua parola di conforto, o anche solo di un suo sguardo, uno di quelli che, anche se in silenzio, mi urlano che a lei vado bene così, che non mi cambierebbe mai, che non sono sbagliata. Ma lei qua non c'è, ed ora non posso nemmeno sentirla, spero che dopo mi chiami, e per accertarmi che lo faccia le mando un altro messaggio.

Martina: Ciao Gì ora starai cantando, spero stia andando tutto bene. A casa mia è successo un casino con mamma e papà, appena puoi mi chiami? Ho bisogno di parlartene, non ce la faccio più. Grazie, e scusa per i troppi messaggi.

Lascio il telefono sul letto e prendo la chitarra, mi siedo e strimpello un po', mi rilassa inventare una melodia, e pensare che, magari, un giorno potrà essere ascoltata anche da qualcun altro, anche se, a dire la verità, non ci credo molto.
Dopo un po' la poso, guardo l'orologio e noto che sono passate due ore, Gaia dovrebbe aver finito, e allora mi fiondo sul telefono per leggere la sua risposta.

Gaia: Ciao Bì, scusa per prima, non ho avuto un secondo. Posso chiamarti ora?

Sorrido, e non rispondo al messaggio, la chiamo direttamente. Il mio sorriso si allarga, per quanto possibile dopo questa serataccia, al suono della sua voce.
Gaia: <Ei ciao amore, come stai?> mi chiede, retorica, sa già come sto, ma vuole sentirlo da me.
Martina: <Una merda, a te è andato tutto bene? È stato bello?> le chiedo, non vorrei appesantirla da subito.
Gaia: <Si Marti, tantissimo, ma adesso raccontami, cosa è successo?> mi chiede ancora, sento dolcezza nella sua voce, consapevolezza che ciò che dirò farà male anche a lei, e non sarà niente di bello, per nessuna di noi due.
Consapevole che la parte brutta del mondo esiste, nonostante ci convinciamo che non sia così.
C'è ancora chi pensa che siamo sbagliate, c'è ancora chi pensa che dovremmo cambiare.

Per voi un capitolo deprimente, mio mood costante.
Fatemi sapere cosa ne pensate❤️

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