Capitolo 26 - Turbamento

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Charlie continuava a tastarsi le labbra, incredulo.
Persino dopo la cena, che aveva trascorso cercando di evitare gli occhi di Helen, quella sensazione non lo aveva abbandonato.
Sentiva ancora la bocca di lei, le sue morbide labbra, contro le sue.
Entró in camera sua, sbattendo la porta. Afferró i capelli, portandoli indietro.
Era arrabbiato, turbato, confuso.
No, confuso no, lui era certo.
Era certo di ció che la sua mente, ed il suo corpo, anche il suo cuore, provó ad azzardare, volessero.
Prese a fare su e giù per la stanza.
A momenti il pavimento si sarebbe consumato, a causa dei pesanti passi.
Di lì a poco forse sarebbe precipitato al piano di sotto, nella camera di Ron. E se stesse già precipitando?
Certo, aveva provato interesse per qualche altra ragazza prima di Helen, non poteva negarselo.
Ma aveva saputo gestirlo, lui aveva saputo gestirsi.
Aveva sempre vantato un grande autocontrollo, per poi? Per poi perderlo, smarrirlo nel nulla a causa di una ragazza.
Era sempre riuscito a scacciare via dalla propra vita ogni cosa che non fosse il suo lavoro, o la dedizione, ma perché quella volta era così difficile?
Aveva la mente piena di domande, a cui non riusciva a rispondere.
O forse la risposta era davanti ai suoi occhi?
"Sei un idiota, Charlie" si accusó, ripensando a quel bacio.
Sentì le labbra ancora bollenti, vogliose nuovamente di quel contatto.
Lui l'aveva baciata.
E sapeva di non aver fatto mai cosa più giusta, e contemporaneamente più sbagliata.
Si lasció andare sul letto, cercando di ordinare gli eventi, i fatti, i sentimenti.
Tutto lo portata ad una sola risposta: lei.
Un ticchettio contro la finestra lo distrasse dal violento turbine dei suoi pensieri.
Un gufo bruno insisteva contro il vetro, Charlie si precipitò ad aprire e a sganciare la pergamena dalla sua zampa.
La srotolò subito, con le mani che tremavano per tutto l'accaduto di quella sera.

"Sono sulla pista giusta.
Papà sta bene e anche io.
Da un bacio a mia sorella.
Ti scriveró presto.
Non preoccuparti, ti voglio bene.
-J. "

Quel "da un bacio a mia sorella" gli fece sprofondare lo stomaco nei calzini.
Cosa aveva appena fatto?
Aveva baciato la sorella del suo migliore amico, di quello che avrebbe definito fratello, più che amico.
E poi i gemelli, loro non lo avrebbero mai perdonato.
Aveva scatenato una tempesta e ora doveva rimediare.
"Ora tu vai lì, e le dici che è stato un incidente" pensó, convincendosi di ció.
Aveva cominciato ad annuire.
Si diresse alla porta, poi tornó indietro.
"No! Non andarci" gli suggerì la sua coscienza.
Tiró un pugno nel muro, che fortunatamente rimase illeso, emettendo un gran boato.
I gemelli, senza preavviso alcuno, si affacciarono nella stanza, aprendo la porta repentinamente.
«Tutto bene, Charlie?» chiesero all'unisono, spostando gli occhi dal muro alla sua mano.
«Perché hai colpito il muro?» gli domandó George, inarcando le sopracciglia.
«Era...storto» proferì incerto.
«Storto?» gli fecero eco. «Come fa un muro ad essere storto?»
«Sentite, voi due, io allevo draghi, non costruisco mica le case» ribatté, poggiandosi al muro, con fare naturale e quasi altezzoso.
I gemelli lo fissarono un instante, poi si scambiarono uno sguardo, richiudendo la porta lentamente.
Sentì le gambe troppo molli, per restare lì, nel mezzo della stanza.
Si mise a sedere sul bordo del letto.
Era inquieto, come non lo era mai stato.
Non aveva vissuto quello stato emotivo neppure una volta, neanche in ambito lavorativo, e per uno che alleva draghi è dirla lunga!
Necessitava di bere, aveva la gola secca, come dopo una folle corsa sotto il sole rovente.
Si precipitò oltre l'uscio della sua stanza, aprendo la porta con una forza tale, che avrebbe potuto staccarsi.
I gemelli, che si trovavano davanti alla porta della loro stanza, sussurrando qualcosa, si fermarono prontamente, e lo fissarono.
«Tutto bene Charlie? Sembra che tu abbia visto il Ghoul della soffitta» osservarono i gemelli, divertiti, più che preoccupati.
Lui li ignoró, lanciandosi verso la cucina.
Quando fu entrato, notó che sua madre si trovava ancora lì, infatti gli sorrise non appena lo vide.
Il ragazzo prese da bere e si rinfrescó la gola.
Aveva in bocca un sapore metallico.
Forse quel bacio aveva avuto degli effetti collaterali.
«Ancora in piedi?» aveva domandato a sua madre, che stava sfogliando un libro di ricette. Lei annuì.
«Qualcosa non va, tesoro?», sua madre sapeva leggergli dentro.
«No, sto bene» mentì. «Ho sentito Jacob, lui e Thaddeus stanno bene»
«È una splendida notizia. Vai a dirlo ad Helen, immagino le faccia piacere saperlo» lo invitó Molly.
«Magari domani» sospiró Charlie, abbassando lo sguardo.
Molly lo studió con lo sguardo, poi, senza aggiungere nulla, lo sorprese, abbracciandolo forte.
«Vai a riposare Charlie, hai il volto stanco»

Charlie seguì il consiglio di sua madre.
Salì nuovamente in camera, e non fu sorpreso di trovare Bill, intento nella lettura di qualcosa.
Si cambió rapidamente e si mise a letto, sotto le lenzuola leggere.
Prese a fissare il soffitto, con una mano dietro la nuca. La mente era rapita da quella paranoie.
La sua testa sembrava essere troppo piccola, per contenere tutti quei pensieri.
Decise di provare a dormire, la notte lo avrebbe aiutato, come aveva fatto altre volte nelle decisioni difficili.
Tuttavia, di chiudere occhio non se ne parló proprio.

La mattina dopo, quando Charlie si dovette forzare a scendere dal letto. Aveva addosso solo qualche scarsa ora di sonno, e lo si evinceva dai segni attorno agli occhi. Aveva una pessima cera.
Scese le scale, che scricchiolarono sotto il suo peso.
Era tutto tremendamente silenzioso.
Non appena fu un cucina, si soltanto servì del tè; non aveva appetito.
Sua madre entró in cucina, dall'esterno, portando sulla spalla una grossa cesta di biancheria appena lavata.
«Charlie ho preparato dei biscotti, sono lì, se li vuoi», la donna indicó il piano della cucina.
«Non ho molta fame» rispose secco.
«Sei sicuro di stare bene? Hai il volto pallido» osservò sua madre, prendendo a piegare le lenzuola.
Charlie ignoró quelle parole, non aveva bisogno di qualcuno che gli facesse presente quanto avesse un aspetto pessimo.
Il silenzio fu spezzato dai suoi fratelli, che scendevano le scale per mettere qualcosa sotto i denti. Notó che erano scesi tutti, tranne Helen.
Perché non era lì?
Forse neanche lei aveva dormito, o forse stava male?
Non volle chiedere nulla.
Ma come se avesse potuto scrutarne i pensieri, sua madre chiese:
«Tesoro, dato che i tuoi fratelli stanno facendo colazione, porteresti questa biancheria ad Helen?»
Charlie non aveva potuto rifiutarsi, così, sotto lo sguardo ammiccante dei gemelli, aveva risalito le scale, per l'ennesima volta, con la sensazione di star andando a compiere una missione suicida.
Il suo stomaco mugolò ed il battito prese ad accelerare.
Quando fu davanti alla porta, posó a terra il cesto con le lenzuola candide, e bussó forte, poi spinse la maniglia. La porta si aprì, rivelando Helen, che stava con i gomiti poggiati alla finestra, così soprappensiero da non rendersi, prontamente, conto della sua presenza. Quando si fu voltata nella sua direzione, Charlie si sentì trafiggere dai suoi occhi.
Ragione o istinto? Chi doveva ascoltare?
«Ti ho portato della biancheria pulita» disse, alzando il cesto e poggiandolo sul letto. «E volevo dirti che Jacob mi ha chiesto di riferirti che stanno bene».
Lei non gli staccó gli occhi di dosso. Era come sentirsi sotto inquisizione.
"Ragione o istinto?" si domandó nuovamente.
Lei era lì, nella sua camicia da notte, in quella veste a tratti trasparente. Il profumo di vaniglia, i capelli mossi, quella vita stretta, che avrebbe voluto afferrare.
«Charlie io...» fece Helen, per cominciare.
Ma lui aveva giá trovato una risposta: Istinto.
Con due ampie falcate si era mosso nella sua direzione, e ora stava a pochi centimetri da lei.
Si era dato un'ultima vana possibilità di resistere.
Sentiva il suo respiro corto sul viso, gli occhi che saettavano da una parte all'altra, chiedendo di giungere ad una tregua. Indugió qualche istante sulla sua bocca. Poi accadde.
Charlie spinse le sue labbra contro quelle di lei, prendendole dolcemente il collo tra le mani, che poi spostó tra i suoi morbidi capelli.
La spinse contro il muro, e lei non si fece intimidire: gli strattonò i rossi capelli, ricambiando con più forza quel bacio, che si tramutó in passione, in un turbine di bramosia.
Si trovarono avvinghiati l'uno all'altra.
A quel punto la bionda schiuse leggermente la bocca, permettendo alla sua lingua di entrare. Iniziarono una danza sincronizzata e Charlie sentiva sempre più il fuoco ardere sotto la propria pelle, il sangue ribollire nelle vene.
Le afferró la vita, ricordando da quanto desiderasse farlo.
Sfioró la sua coscia, risalendo con un leggero tocco, quasi come un solletico. La sua pelle era setosa.
Alzó di poco la veste, continuando il suo percorso verso l'alto, arrivando agli slip della ragazza.
Ne accarezzó delicatamente il contorno, sfiorando la pelle sensibile dell'inguine, vicino alla sua intimità.
La sentì sussultare sotto le proprie mani.
Charlie staccó le proprie labbra da quelle della ragazza, aprendo gli occhi e studiandola.
Ragione.
Ritrasse prima la mano, poi anche se stesso, scansandosi, ma continuando a tenere gli occhi fermi su di lei.
«S-scusami Helen.» le sussurró con voce rauca.
Si voltó, uscendo repentinamente dalla stanza, sbattendo la porta.
"Ora sei un uomo morto, Charlie."

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