Capitolo 42 - Tempesta

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Il ballo e tutti gli eventi di quella notte magica restarono un bellissimo ricordo.
Ad Helen sembrava di aver vissuto una fiaba, era certa ne esistesse una babbana riguardante un ballo, un principe e una scarpetta di cristallo.
Ma Charlie non era un principe, e lei non era una dama che avesse bisogno di essere salvata.
Avevano bruciato insieme, consumandosi come candele, ed Helen non poteva smettere di ricordarlo.
Non c'era angolo del castello che non le riportasse alla mente il vigore, la presa, il corpo e l'anima del ragazzo.
L'anima, si, perché sentiva di averla toccata.
I suoi modi, così tenaci, eppure così delicati con lei, le tornavano alla mente in ogni momento. Al buio dei sotterranei, o alla luce del parco.
Di fronte al vero amore lei si era spogliata, in ogni modo possibile, e adesso le mancava sentirsi così vulnerabile, una contraddizione, per lei che era così temprata.
La quotidianità era tornata a gravarle addosso, noiosamente. In quegli ultimi giorni era solita sedere in cortile con Adeline, ma nessuna delle due riusciva a concentrarsi, finivano per guardare il cielo pensierose, e ricadere nelle beffe dei gemelli.
«Ah, l'amore!» rise Fred.
«Tu stai zitto, mister sbavo-dietro-a-Grace»
George rise di gusto.
«Cavolo Freddie, Helen ha proprio ragione».
Per fortuna, a infrangere quella routine asfissiante, c'era l'ansia del torneo.
Tutte e tre le scuole sfidanti erano in fervore, a volte più dei campioni stessi, ignari del loro destino.
La seconda prova era stata un crescere di attesa: si era tenuta sui fondali del lago nero, e la povera Fleur non era riuscita a portarla a termine; Helen aveva cercato di confortarla.
Le lezioni con il professor Moody, oltretutto, erano divenute, per quanto strane, molto interessanti. Aveva una specie di malsana ossessione per le maledizioni senza perdono, e aveva provato ad insegnare alla classe come resistere alla maledizione imperius.
Adeline era estasiata di avere a che fare con un ex-auror, infatti, non mancava mai di trattenersi in classe per chiedere qualcosa, ed il professor Moody l'aveva quasi presa in simpatia.
Helen cercava di apprezzarlo nel migliore dei modi, dal momento che la difesa contro le arti oscure fosse fondamentale per diventare spezzaincantesimi.
«Quella roba che beve, non me la conta giusta» proferì Helen, affiancando Adeline in corridoio.
«Paranoica come Jacob! Ogni volta che mi scrive una lettera, mi raccomanda di tenermi lontana da Moody» sospiró l'amica.

A parte le verifiche, lo studio e le ansiogene prove del torneo tremaghi, quell'anno sembró volare.
Helen si disse soddisfatta per le cose apprese, e ogni giorno più consapevole di dove il suo futuro l'avesse condotta.
Aveva scambiato lettere con Charlie durante tutto l'anno scolastico, e per san Valentino le fece recapitare una meravigliosa rosa rossa, singolare, quanto lei. Una rosa eterna.
Poco dopo era giunto il compleanno dei gemelli, che avendo finalmente 17 anni, potevano far impazzire la signora Weasley, persa la traccia.
Per di più, insieme a loro ed Adeline, aveva passato discretamente l'esame di materializzazione, sebbene, doveva ammetterlo, i gemelli fossero più bravi di lei in quest'ultima. Forse per la loro naturale propensione a pianificare bravate. Li vide confabulare sul come avrebbero potuto materializzarsi in casa per spaventare Percy.
Tuttavia, se da una parte quell'anno aveva riservato tanta felicità e un nuovo sentimento, d'altra parte, il finale, diversamente dalle fiabe, era stato tutt'altro che lieto.
Il signor Crouch era scomparso, morto probabilmente, e tante altre cose strane accaddero, per poi culminare nell'ultima prova del torneo.
Helen non avrebbe mai dimenticato il momento in cui Harry Potter era comparso nell'arena, accolto dagli applausi entusiasti, dalle urla gioiose di Hogwarts, brandendo la coppa tremaghi in una mano, ma nell'altra il corpo di Cedric.
Helen aveva urlato il suo nome, constatando che fosse altrove, lontano da loro, da quel mondo crudele. Aveva gli occhi sbarrati, e Harry non riusciva a staccarsi da lui, fu necessario l'intervento di Silente.
«È tornato...È tornato!» ripeteva Harry, scosso dal pianto.
Helen fu una delle poche che colse quelle parole, come i gemelli, che sembravano congelati.
Il ministro Fudge si fece vicino al punto in cui Harry era atterrato, pallido in volto.
Helen sapeva chi fosse tornato, e si sentì mancare.
Aveva ricordato la notte alla coppa del mondo, e poi tutti i bei momenti condivisi con Cedric durante quell'anno, e non poteva credere stesse accadendo.
Non avrebbe mai dimenticato, e non avrebbe neanche provato a farlo, il volto di Cedric Diggory, freddo e senza vita, con la luce verde ancora dipinta negli occhi; quegli occhi ridenti, ora vuoti.
Le urla straziate di Amos Diggory riempirono l'aria, ed Helen si sentì mancare, i gemelli la presero al volo, mentre sentiva le gambe venirle meno.
Hogwarts aveva vinto la coppa tremaghi, ma aveva perso uno dei migliori studenti che avesse avuto: un giovane leale, pronto ad aiutare gli altri, disposto a mettersi in gioco per dare onore alla sua scuola.
Il professor Moody si era scoperto essere un impostore: Barty Crouch Junior, un seguace di Voldermort, nonchè figlio di Bartemius Crouch, morto proprio per mano di suo figlio.
Adeline era sconvolta, e con lei Helen, che aveva nutrito un certo sospetto.
Neanche Hogwarts era un luogo sicuro?
Le sembrava l'inizio di qualcosa di terribile.
Poco dopo quel giorno, Silente annunció l'evidenza al banchetto di fine anno, schierandosi contro il ministero, che rifiutava di credere alla realtà:
Cedric era morto per mano di Voldemort. Lui era tornato, non c'erano mezzi termini.
E solo Harry Potter poteva conoscere e portare con sè quella sofferenza. Probabilmente lo avrebbe fatto per sempre.
Fuori di lì le persone sparivano, le loro vite erano spezzate, il cielo si rabbuiava.
Una tempesta era in arrivo.

Quando fu giunto il giorno di lasciare il castello per fare ritorno a casa, in vista dell'estate, Helen avvertì una fitta al petto. Erano notti che non dormiva, ripensando a tutto l'accaduto.
Sua madre era morta così? Con la stessa espressione di Cedric? Non poteva toglierselo dalla testa.
Avrebbe voluto restare ancora lì, nel suo dormitorio, in quel castello che, quell'anno, le aveva regalato momenti fantastici. Aveva paura di lasciare quel posto, come se avesse potuto scomparire, come se stando lì avesse potuto vivere nei ricordi, così distanti dai terribili eventi che si stavano preparando.
L'incertezza del futuro incombeva su di lei, come pronta a schiacciarla.
Le lacrime le ricaddero copiose sulle guance, mentre chiudeva il baule, assicurandosi ci fosse tutto.
Poi il suo sguardo si posó sulla rosa che Charlie aveva stregato per lei, era appassita da giorni, ed Helen conosceva il motivo:
"Quando sarai felice, questa rosa apparirà bellissima, ricordando a te quanto mi riempi di gioia, ogni volta che mi regali un sorriso.
Quando sarai triste, lei soffrirà con te, ricordandoti che la felicità puó fare ritorno, anche quando ci sembra di brancolare nel buio.
Ti amo Helen.   "
Lei non era felice in quel momento, aveva paura forse, o era angoscia; eppure quella rosa sarebbe tornata vivace, come avrebbe fatto lei.
"Charlie" pensó, stringendola al petto.
Charlie l'aspettava a casa, e con lui la sua famiglia.
Si asciugò il volto e, guardando la stanza un'ultima volta, uscì, facendosi fluttuare il baule dietro.
Il sesto anno era concluso, e ora il settimo l'attendeva.
Una nostalgia l'attanagliò, contemporaneamente ad un senso di eccitazione: poco ancora e si sarebbe lanciata nel mondo magico del lavoro, affiancata da Bill.
Nella sala grande gli studenti stranieri salutavano i loro amici, promettendo che li avrebbero scritti.
Sembrava tutto così lontano, così felice.
Tutti si scambiavano baci e abbracci, addii e arrivederci.
Era un grande tumulto.
Fleur le si avvicinò, baciandole le guance in modo gentile, comprendendo quello stato d'animo.
Lo stesso fecero alcuni dei suoi amici francesi, ed un paio di Durmstrang con cui Helen aveva passato del tempo.
Fu triste nel vederli andare via, ma anche lieta, per il bei momenti vissuti insieme.
Poi i francesi si congedarono, prendendo posto nella carrozza, trascinata da maestosi cavalli alati; i bulgari scomparvero nel lago nero, a bordo della grossa nave scura.
La folla di studenti di Hogwarts si affrettó alla stazione di Hogsmeade.
Helen camminava da sola, soprappensiero come sempre, ma fu prontamente affiancata da Adeline, che le prese la mano, stringendola.
«Terra chiama Helen!» fece come suo solito, ridendo appena.
«Helen io so come ti senti, perché anche io mi sento così» continuò. La bionda la guardó, aveva gli occhi gonfi e stanchi, come i suoi. «Io non ho paura, perché saremo insieme» le sussurró.
Helen lasció cadere il baule e la strinse forte, istintivamente.
Si lasció andare lì, tra le braccia della sua amica, che le accarezzó i capelli. Si capivano a vicenda, come sempre. Adeline aveva compreso il motivo di quel turbamento.
Non riuscì a dire altro, ma non furono necessarie parole.
Quando i gemelli furono sopraggiunti, facendosi carico dei loro bauli, con la solita gentilezza, Helen notó fossero piuttosto allegri. Si chiese come facessero.
«Harry ci ha dato il suo premio, abbiamo mille galeoni!» fecero insieme, non stando più nella pelle.
Le ragazze furono felici della notizia, si trattava di una delle poche note positive.
«La gente ha bisogno di ridere, potremmo pensarci noi» proferì Fred, con un velo di malinconia.
Helen sorrise ai due, che le circondarono le spalle, come a dirle che ci fossero, che la capissero, sebbene sapessero mascherare il dolore dietro agli scherzi.
Quando ebbero preso posto sul treno, che si mise in moto repentino, alla volta di King's Cross, Helen capì che l'attendeva un'altra estate, ma da questa, non sapeva cosa aspettarsi.
Strinse le mani dei tre amici, guardandoli negli occhi uno per uno.
«Qualsiasi cosa accada, io ci sono».
All'esterno del treno, da nuvoloni plumbei, la pioggia cominció a cadere.
Per la seconda volta sul mondo magico incombeva una terribile minaccia.

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