31. Ragazza di cenere

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Ella prese posto nella fila più o meno ordinata di persone che stavano andando a stringere la mano ai parenti del defunto.

Quando si trovò di fronte a loro, i genitori di Letizia e Lucrezia, l'abbracciarono per lasciarla subito andare; la loro ultima figlia scoppiò a piangere tutte le lacrime che non aveva versato per il nonno morto da poco.

Lucrezia versò con mani tremanti la granatina nei bicchieri di vetro colorato: -Non ho mai pensato fosse colpa tua. Vedevo quel che vi legava, non ero cieca-

Sabe rimase al suo posto, certa che poggiare le mani sulle sue avrebbe aumentato le lacrime anziché tranquillizzarla.

-Ma tu me la ricordavi. Sei uguale a lei. Ho... ho trovato delle cose. Abbiamo messo a posto la sua stanza e non sapevo come spedirtele. Anche perché non ho idea di dove abiti tu qua-

-Stai tranquilla, Lu- Ella le accarezzò il braccio e, per un momento, Lucrezia Neri vide davvero un'ombra della sorella maggiore in lei.

-Vado a prenderle- la sedia stridette sul pavimento e la padrona di casa sparì in corridoio.

Cenere sospirò, sola, in quella verde cucina. Non poteva rimanere, non se era quello l'effetto su Lu.

Tolse dalla borsa un blocchetto di post-it e ci scribacchiò sopra il suo numero.

Lucrezia ritornò con una busta di carta simile a quelle per le lastre: -È tutto qui-

Cinder annuì, prendendola e porgendogli il post-it: -I patti sono ancora validi, Lu: tu chiami, se non vuoi o non puoi dire nulla a nessun altro, e io arrivo. Dubito che lo userai, ma volevo ricordartelo un'ultima volta-

Ella scese alla fermata del pullman sotto casa, la busta di carta stretta al petto.

Sospirò, prima di entrare: si sentiva davvero cenere.

Quasi il suo nome le avesse sempre suggerito che era destinata a bruciare fino a diventare insignificante polvere.

Un grido lacerò l'aria e lei riconobbe la voce Renata.

Ma non era l'urlo che lanciava quando rompeva un piatto o sbatteva il minolo contro lo spigolo della mobilia...

Oltrepassò il cancello mollando tutto per terra e vide l'orrore di Marco a terra. Le dita scattarono al cellulare per chiamare i soccorsi.

-Michele? Siete in aeroporto?-

-Sì, stiamo per tornare a Londra, perché?-

-Dovete venire qui. Ora-

-Cosa succede, Cinder?-

-Io... credo di aver bisogno di un caffè-

E Michael si era precipitato a cambiare i biglietti sotto lo sguardo allibito di suo marito.

La caffeina la faceva tremare ma era l'unica cosa che la faceva sopravvivere ad un funerale.

"Chi cavolo è appena morto?"

-Ella, siamo qui!- Michele lasciò cadere la valigia sul pavimento entrando in casa.

Lei alzò gli occhi da una pila di fogli, circondata da becchini: -È avanzato qualcosa sul tavolo. I ragazzi sono fuori con Leo-

Asciutta, calma e pacata... la stessa Cinder di sempre, non fosse stato per le occhiaie ancora più marcate o la totale assenza di sorriso.

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