41. Prezzo e valore

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-... finché, dopo tanto, tantissimo, tempo il tritone ritornò con la pozione. La fata la portò quindi nel paese degli elfi e da lì passò di mano in mano fino a raggiungere il piccolo umano che aveva tanto rischiato per loro, creature indifese. Il bambino bevve la pozione sorso per sorso, sentendo un gusto nuovo ogni volta che il liquido gli passava sulla lingua- Ella si sistemò meglio sulla poltrona di pelliccia sintetica di Alice -E alcuni gusti erano buoni, buoni come lo zucchero filato o la panna montata che aveva mangiato insieme alle fate, altri però avevano lo stesso sapore di stantio, sapido o insipido del pane dei goblin, qualche sapore ricordava la carne cruda delle caccie fatte insieme agli elfi e altri quello del pesce cotto sulle spiagge nere delle sirene. C'erano dei sentori di smog e sintetico in tutto quel che beveva... ricordavano i suoi primi anni, quelli nei quali pensava che la sua gente avesse ragione, che il mondo fosse suo e che sarebbe durato in eterno anche se lui buttava a terra la carta della caramella o sputava la gomma americana per poi attaccarla a qualche albero...-

Il campanello trillò per tutta la casa e Sabe s'alzò di corsa seguita a ruota dalla piccola di casa.

Le stanze appena assopite si risvegliarono e i ragazzi si riversarono in corridoio domandando chi e cosa.

-Non lo so- borbottò Ella già pensando ad una qualche emergenza.

-Mi apra immediatamente!- sbraitò una voce al citofono.

Cinder dette un'occhiata alla videocamera solo per trovar conferma ai suoi pensieri: -Se ne vada: sono le undici di sera! È un orario ignobile anche per lei!-

Aron puntò i piedi: -Qui piove, mi faccia entrare! Non mi costringa a licenziare i suoi amici, da brava-

Cenere sospirò con le mani tra i capelli: -La faccio entrare nel salone. Prenda la prima porta a sinistra, segua il corridoio fino alla terza porta; le concedo mezz'ora, se non esce da questa casa passato quel tempo, la sbatto fuori a calci-

-Sabe- la tirò imperiosamente per la manica del pigiama Alice.

-Lo so, tesoro. Cerco di sbrigarmi- le accarezzò la testolina tutta treccine, dispiaciuta.

-Che vuole?- domandò Dorian appoggiato al tavolo.

I capelli di Sabe ondeggiarono quando lei scosse la testa in una bugia bianca muta.

-Forse dovrebbe scegliersi uno pseudonimo migliore dei suoi soprannomi, Ella Sabe- l'omino grassoccio posò un libro sul lungo tavolo del salone.

Lei alzò un sopracciglio: -Non sa la storia dietro a quei soprannomi, signor Acosta, per cui è pregato di tacere-

-La domanda è... perché uscire allo scoperto con qualcuno che ha l'esperienza, la capacità e tutte le intenzioni per criticarla?- Acosta congiunse i polpastrelli.

-Non si sforzi: per quanto possa essere bravo con la psicologia sulla carta, non è minimamente in grado di comprendere la mia- il tono di Isabella trasudava fiele di sprezzo.

Aron sorrise allusivo: -Neanche se lei è uguale a me?-

Ella rise: -Lei non è uguale a me, signor Acosta! Non fosse per carattere, sicuramente per educazione-

-Dice?- la stuzzicò ancora lui.

-Dico- sibilò.

Gli occhi azzurri dell'uomo cercarono lo sguardo scuro di lei notando che il colore era mutato dal primo pomeriggio: -Se aumentassi... diciamo di cento?-

Sabe rise ancora, sprezzante: -Mia nonna diceva che le persone che hanno un prezzo saranno sempre costrette ad inchinarsi di fronte a quelle con un valore ... Sa tanto di frase fatta ma non l'ho mai trovata così azzeccata. Sono le undici e ventitré, signor Acosta, ed io ho un valore. Lei cos'ha?-

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