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Cheryl

Nessuno poteva salvarmi, nessuno poteva liberarmi dal mostro con il quale combattevo da tutta la vita, non ci riuscivo io figuriamoci se potevano farlo altre persone. Ormai faceva parte di me, ormai il mostro si era impossessato del mio corpo e non sapevo più chi ero da tempo, si era cibato della mia anima prosciugandomi totalmente, si era abbeverato del sangue che pompava il mio cuore, ora, nel petto, non sentivo più niente, nessuna forza, solo un vuoto incolmabile, si era preso tutto senza lasciami niente.

Era un avido bastardo.

Ero nel box doccia, già la quinta volta in quella giornata, l'acqua bollente aveva un forte impatto sulla mia pelle così chiara, amavo sentirla bruciare e vedere quelle chiazze rosse dovute al troppo calore, la prendevo come una punizione alternativa per me stessa.

Con la spugna impregnata di bagnoschiuma la sfregai violentemente nella speranza che così facendo mi sarei sentita meglio ma non succedeva mai.

Aumentai la pressione grattando ogni parte del mio corpo, una volta soddisfatta tirai un sospiro profondo e chiusi l'acqua.

Mi avvolsi nel mio accappatoio e appoggiai le mani ai lati del lavandino alzando il viso per guardare il mio riflesso.

Mi guardai con odio, puro disprezzo.

Mi odiavo, odiavo qualsiasi cosa di me, ma gli altri non dovevano saperlo, avrebbero percepito la mia debolezza e questo non l'avrei permesso mai a nessuno.

Il mio aspetto esteriore era l'unica parte amata dalle persone poiché il mio carattere nessuno si fermava a capirlo.

Il mio corpo potevano vederlo tutti, solo quello e nient'altro.

Andai in camera aprendo uno dei miei innumerevoli cassetti tirando fuori un intimo coordinato nero in pizzo.

Slegai l'accappatoio facendolo scivolare lungo le gambe nude e infilai la parte inferiore dell'intimo notando il contrasto scuro contro la mia pelle ancora arrossata, passai il polpastrello sul quel punto sentendo un brivido non appena la pelle fredda della mia mano toccò quella calda del fianco sinistro.

Dopo aver agganciato il reggiseno, mi sistemai i capelli in una crocchia disordinata.

Indossai dei semplici pantaloncini corti e coprì il busto con una maglia oversize blu che mi arrivava fin sopra le ginocchia ed infine, per ultimo, ma non per importanza mi cosparsi del mio profumo all'orchidea.

Avevo sempre la necessità di sentire questa ondata di profumo su di me, in un giorno arrivavo ad un minimo di circa dieci docce, mi consideravano pazza per questo e non capivano il motivo del perché io mi lavassi così tanto, nessuno tranne Jason.

Jason conosceva tutto di me, l'unica persona che aveva capito i miei segnali e l'unica ad aver provato a farmeli superare, mi ascoltava sempre malgrado io fossi una persona dall'anima tormentata e incasinata mentalmente, lui non se n'era mai andato, l'unico.

Non mi urlava addosso come mia madre per i miei silenzi, li ascoltava perché sapeva che quei miei silenzi in realtà facevano un gran rumore.

Non si arrabbiava se rimanevo impassibile a qualsiasi cosa, se ero apatica, lui mi comprendeva meglio di chiunque altro.

Scesi al piano inferiore trovando seduta sul divano la figlia di James.

I capelli ondulati castani con le ricadevano lungo lo stomaco ricoprendo il suo seno alto, aveva qualche ciocca rosa tra i capelli che evidenziava il colore della sua pelle caramellata e perfetta.

let's save ourselves from this hellDove le storie prendono vita. Scoprilo ora