Sentivo il sangue scaldarmi nelle vene. Correvo da ore, e non potevo permettermi di fermarmi. Dovevo trovare un riparo prima che calasse la notte: restare da sola, allo scoperto, era troppo pericoloso.
Quel giorno era stato già troppo lungo per i miei gusti. Mi ero nascosta in un armadio per ore, trattenendo il respiro, finché quella mandria di zombie non aveva abbandonato la casa che stavo svaligiando. Cercavo cibo, come sempre. Per fortuna, lo zaino era così pieno da sembrarmi un fardello, ma un fardello necessario.
Persa nei pensieri, non mi accorsi dell'albero davanti a me. Ci sbattei contro con la faccia, ruzzolando all'indietro. Maledissi la mia solita goffaggine—anche alla fine del mondo ero rimasta la stessa.
Caddi sulla schiena, stringendomi il labbro che iniziava a sanguinare. Dovevo smettere di perdermi in quei pensieri mentre correvo.
Un brivido mi attraversò il corpo. Mi alzai di scatto. Tre zombie stavano arrivando dritti verso di me.
Senza esitare, estrassi una freccia dallo zaino e ne colpii due dritti in testa. Il terzo cadde a terra, colpito da una freccia che non era la mia.
Qualcuno mi aveva appena salvata.
Mi nascosi dietro un albero e imbracciai l'arco, pronta a reagire. Non vedevo nessuno, ma sapevo che c'era qualcuno nei paraggi. Forse, con un po' di fortuna, se ne sarebbe andato.
—Esci fuori, ti ho vista.—
Quella voce mi gelò il sangue. Per un istante sentii la paura schiacciarmi.
I suoi passi si avvicinavano. Mi affacciai dal tronco, l'arco teso, pronto a colpire.
—Non ti avvicinare.—
Davanti a me c'era un uomo sulla quarantina, capelli castani lunghi fino alle spalle, il volto segnato da cicatrici. I suoi occhi non si staccavano dai miei. Aveva una balestra puntata dritta verso di me.
—Cosa vuoi?— domandai, facendo due passi indietro per tenerlo a distanza.
—Ti ho appena salvato la vita. Non so come hai fatto a sopravvivere finora con quell'arco di legno. È ridicolo.—
Puntai la freccia ai suoi piedi. —Tranquillo. Ho una mira eccellente. Non ho bisogno delle tue critiche.—
Lui capì il messaggio: non volevo che si avvicinasse.—Ragazzina, dov'è il tuo gruppo?—
Sorrisi. —Non ho nessun gruppo. Sto da sola.—
Il vento di inizio primavera alzò alcune ciocche dei miei capelli biondi. Fu allora che l'uomo, con uno scatto fulmineo, mi bloccò le braccia dietro la schiena. Sentivo il suo respiro caldo sul collo.—Non prendermi per il culo. Una come te non durerebbe tre ore, in questo mondo di merda.—
Rimasi paralizzata, senza sapere cosa rispondere. La sua stretta sui miei polsi si fece più forte. Decisi di reagire.
Gli diedi una testata all'indietro, abbastanza forte da spaccargli un labbro. Riuscii a liberarmi, recuperai l'arco e lo puntai contro di lui.
—Non sai con chi hai a che fare. Non osare toccarmi di nuovo.—
—Daryl!—
Una voce maschile ci interruppe. Un uomo dai capelli scuri, accompagnato da un ragazzino con un cappello da sceriffo, apparve dietro di lui, puntandomi una pistola.L'arciere si leccò il sangue dal labbro, fissandomi. —Cazzo, ti salvo la vita e tu mi rompi il labbro?—
Lo ignorai, mantenendo l'arco puntato verso i nuovi arrivati.—Daryl, tutto bene?— chiese l'uomo bruno.
Silenzio.
—E tu chi sei?—
Il ragazzo si avvicinò, serio, la pistola ancora puntata. —Carl, fermati. Non spararle!—Nessuna risposta.
—Carl, ho detto stai fermo.—
Sentii il clic del grilletto. Senza pensarci, scagliai una freccia nello stesso istante in cui il colpo partì.Mi ritrovai stesa a terra. Il cielo, in quel momento, mi sembrava incredibilmente azzurro e limpido.
Era così che doveva finire? Morire per mano di un ragazzino?
Bene.

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RIGHT HERE IN MY ARMS
Fiksi PenggemarErano passati troppi anni da tutta questa situazione, avevo paura e non vi mentirò che ho passato tutto questo tempo a pensare alla mia vita prima degli altri. Quando incontrai i suoi occhi azzurri, riuscì a percepire tutto il dolore che aveva avut...