Capitolo 34

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Passo il rossetto rosso sangue preso dalla camera di Samantha sulle mie labbra per poi lanciarlo in fondo alla cella. Tolgo la maglia e subito dopo il pantalone per poter indossare il camice che ho strappato di dosso alla ragazza in corridoio qualche ora fa, mentre ritornavo dal giardino. Lascio al collo solo la collana.
L'unico oggetto che mi ricollega a lui.
E poi mille immagini impresse nella mia mente, come scolpite, come incastonate anche nei luoghi più nascosti della mia mente. Come se volendo reprimerli, fossero esplosi in una supernova di ricordi che ha diffuso i suoi dolorosi piccoli momenti di noi nella mia testa.
Un piccolo passo in avanti verso la pazzia.
E un grande passo indietro dalla mia salvezza.
Inizio a volteggiare per la stanza immaginando un luogo diverso da quella stanza umida e orrida. Mi avvicino al letto e sempre ondeggiando prendo le due pastiglie che mi sono state portate oggi.
Le poggio sulla lingua e riprendo a volteggiare.
Voglio essere lontano da qui.
Voglio tornare indietro ed essere diversa da ciò che sono.
Sputo a terra le pastiglie con violenza e inizio a pestarle.
Mondo di infelici e di dannati.
Viviamo una vita immersi nel mare del dolore e poi ci mettono ad essiccare all'inferno. Perché nessuno è degno di un possibile paradiso. Non esiste l'essere perfetto, non esiste essere che voglia vivere la sua vita nella sofferenza. Per cui si è tentati a sbagliare. A fare quegli errori che tanto amiamo.
Mondo crudele e troppo breve per fare tutti gli errori che ti porterebbero alla felicità.

Cammino avanti e indietro per la stanza lentamente, tenendo gli occhi chiusi e poggiata al muro freddo.
I capelli sciolti mi ricadono sulle spalle e alcune ciocche sul viso.
Spingo di più la testa contro il muro beandomi di quel freddo. Mi fermo per quel che sembra l'eterno in quella posizione. Apro gli occhi solo quando mi rendo conto di essere finita in ginicchio sul pavimento.
Mi sdraio completamente a terra ascoltando con l'orecchio poggiato a terra tutti i suoni che si sentono.
Parto da ciò che mi è più vicino.
I battiti del mio cuore.
Lo sbattere delle mie ciglia.
I passi di quindici pazienti nel corridoio.
Le loro urla ovatte.
Le lancette dell'orologio.
I battiti del suo cuore.
Ogni cosa sembra essermi più vicina, tranne lui.
Sospiro cercando di non piangere.
È solo nella stanza difronte la mia, ma lo sento distante come se fossi stata ingoiata da un buco nero e lui si trovasse nella galassia più lontana.
Una stella fredda, che sta smettendo di brillare, quasi morta. Ecco cosa sono in questo preciso istante.
Mi alzo dal pavimento ed esco fuori dalla mia cella. Sono usciti anche altri pazienti e nel corridoio c'è poco spazio, per cui mi ritrovo attaccata contro persone mai viste prima. Qualcuno mi spinge e vado a sbattere contro il muro. Riprovo ad andare verso il centro del corridoio, ma vengo di nuovo spinta e cado rovinosamente a terra nel mezzo di quella massa di urlanti e impazziti.
Porto le mani sopra la testa e mi rannicchio su me stessa, non riesco ad alzarmi e a spostarmi. Inizio ad urlare sperando che mi sentano e che smettano di calpestarmi, ci colpirmi, di cadermi sopra.
Sento il respiro mancarmi e i muscoli come bloccati, come se fossero staccati dal mio corpo.
Dopo qualche minuto sento di essere morta.
Ho la vista offuscata e non riesco più a sentire alcun rumore. I colpi mi scivolano addosso come acqua. Mi costringo ad alzarmi, a capire se sia viva o meno. Riesco ad alzare la testa, ma non riesco a vedere nulla, solo piedi che si muovono velocemente in tutte le direzioni. Porto la mano sul viso, ma non riesco a sentire il contatto con la mia mano, ma quando riporto la mano difronte a me in modo da poterla vedere, vedo del sangue sulla parte bassa del palmo. La pulisco sul camice bianco e poi la guardo nuovamente per vedere la gravità della ferita, ma non trovo nemmeno un piccolo graffio.
Solo quando sento scendere una goccia di sangue sul mento capisco di aver il labbro inferiore ferito.
E soprattutto di essere ancora viva.
La folla di pazzi urlanti è diminuita e riesco a spostarmi verso il muro solo di poco. Spaesata, giro la testa prima a sinistra e poi a destra per poter trovare un passaggio libero dove poter andare, fino a quando sento una mano avvolgersi intorno al mio braccio, la quale riesce a tirarmi fuori della folla e facendomi finire in una stanza.
- Ciao Alison.-
Dice mentre manda fuori del fumo appena aspirato dalla sigaretta che tiene ferma tra le labbra.
Lo osservo qualche secondo prima di riconoscerlo.
- Ciao Calum.-
Rispondo sorridendo.
- Ti hanno spaccato il labbro quei deficenti.-
Dice sprezzante per poi buttare il filtro della sua sigaretta oramai finita a terra e poi calpestrandola.
- Non importa, è tutto okay.-
Dico convinta per poi stringere il labbro sanguinante tra i denti per aspirare quella piccola quantità di sangue che ne fuoriusciva.
Mi siedo sulla sedia affianco al suo letto e lo osservo mentre si accomoda sul suo letto difronte a me.
- Alison, non smetterà di sanguinare se non lo medichi.-
Borbotta Calum passandosi una mano tra i capelli.
Sembra diverso dal suo solito. Forse non avrà preso le sue pastiglie.
- Mi farò aiutare a medicarla da Luke. Sai se è in camera?-
Chiedo guardandolo dritto negli occhi.
- È con Ashton di sotto, stanno preparando un piano per riprendersi quel coglione.-
Dice quasi urlando e alzando dal letto di scatto facendomi spaventare. Sì, non ha decisamente preso le pastiglie.
Quel coglione? Sta parlando di Louis? Come mai dovrebbero riprenderselo? E soprattutto perché?
- Perché mai dovrebbero riprendersi Louis?-
Dico dando voce ai miei pensieri.
Calum ridacchia incrociando le braccia e passando la lingua sulle labbra.
- Non sto parlando di quel cazzone, sto parlando di Michael.-
Appena sento il suo nome mi alzo di scatto dalla sedia e mi avvicino maggiormente a Calum.
I battiti del mio cuore sono accelerati così come il mio respiro e i miei occhi spalancati.
Cosa gli sarà successo?
- Ricordi ieri mattina che siamo entrati nella camera di Samantha?-
Dice sorridendo sghembo.
Annuisco con la testa incitandolo a finire di raccontare ciò che è successo a Michael.
- Il coglione è rimasto nella stanza, ieri lo hanno beccato e... -
Non gli lascio finire la frase che corro fuori dalla sua cella e mi ritrovo nella confusione più totale. Spingo alcuni pazienti per poter raggiungere la stanza di Michael sperando che quello che sto pensando non sia vero, ma appena entro non lo trovo.
Butto a terra alcuni vestiti e tiro via le lenzuola dal suo letto per la disperazione e la rabbia.
Non posso credere a ciò che ha fatto.
Perché è rimasto lì?
Sapeva che restando lì sarebbe andato incontro a un grosso guaio.
Cado sulle ginocchia piangendo e urlando.
Non posso rischiare di perderlo di nuovo.
Un mano si poggia sulla mia spalla. Un tocco leggero e confortante che appartiene sicuramente ad Angel.
- Che succede, Ali?-
Dice con vice preoccupata.
Prendo un respiro profondo cercando di calmarmi.
Passano alcuni secondi prima che la risponda.
- Michael è in isolamento.-
Sussurro solamente prima di riprendere a piangere.

SANTA FE
È il ristorante californiano dove sto mangiando ora lol. Comunque avevo troppa voglia di aggiornare che in questa settimana mi sono alzata un'ora prima e sono andata a dormire tre ore dopo del normale. Potevo aggiornare anche in tram, ma Praga è troppo bella e non riuscivo a togliere gli occhi dal finestrino.
Ho dimenticato cos'altro dovevo dire,
Ciao xx
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Insane || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora