Capitolo 24

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Vedo gli occhi di Michael diventare scuri e fissare la figura dietro di me. La ragazza al suo fianco invece sorride, divertita dalla scena, mentre Ashton fissa Michael scioccato.

- Lasciala, immediatamente.-

Dice Michael cercando di mantenere la calma. Le sue mani strette a pugno stritolano la delicata mano della ragazza, la quale ha una smorfia di dolore impressa sul viso.

- Vedo che ancora non hai imparato, Clifford. Una volta che le cose le lasci andare, non appartengono più a te.-

Dice il ragazzo dietro di me.

- Così come tu non hai perso l'abitudine di rompere il cazzo. Ti ho detto di lasciarla andare.-

Dice Michael restando impassibile. Io lo guardo, in cerca del suo sguardo. Nel momento in cui le traiettorie dei nostri sguardi si incrociano, un brivido di freddo attraversa la mia colonna spinale divulgandosi per tutte le ossa. Il ragazzo si mette davanti a me, interrompendo quel contatto visivo con Michael.

- Lei non è più tua. O meglio dire che non lo è mai stata.-

Dice. Michael apre la bocca per ribattere, ma non emette nessun suono. Serra le labbra e lascia la mano della ragazza spingendola e avvicinandosi minacciosamente verso di noi. Quando ormai era ad un passo da noi sussurra:

- Non finisce qua, Louis. Siamo ancora a metà gioco. Questo turno l'hai vinto tu, ma giuro che il prossimo lo vincerò io.-

Si gira verso Ashton e la ragazza, a cui fa un cenno del capo, e si dirigono tutti e tre verso la cella di Luke.

Louis si gira e mi dice che mi avrebbe aspettato più tardi nel giardino. Si incammina con le mani in tasca verso la fine del corridoio per poi sparire dalla mia visuale.

Resto immobile ad osservare il corridoio vuoto, ma riempito dalle urla dei pazienti. Così un po' come la mia anima. Vuota, priva di ogni sentimento e stracolma dalle migliaia di pensieri che fuggono da una parte all'altra della mia mente, confondendomi. Non riesco a capire più cosa sia giusto o cosa sia sbagliato. Razionale o irrazionale. È solo un gran casino. Mi gira la testa. Troppi pensieri. Troppa confusione. Troppo dolore. Mi poggio con le spalle al muro e alzo la testa al soffitto.

Il mio petto si alza e abbassa velocemente. La pelle si imperla di piccole gocce di sudore. Le pupille si dilatano. Le mie mani cercano qualcosa a cui aggrapparsi.

Le gambe tremano.

Il cuore sembra scoppiare da un momento all'altro.

- No, no..-

Sussurro chiudendo gli occhi.

Sento un squarcio al centro del petto, come se due mani mi avessero aperto la gabbia toracica.

Sento l'ossigeno entrare nei miei polmoni.

Sento il sangue scorrere nelle vene.

Sento i muscoli contrarsi.

Apro di colpo gli occhi quando sento la gola restrimgersi fino a impedire all'ossigeno di passare.

Lo scorrere del sangue si blocca.

I muscoli si rilassano fino a non mantenere il mio corpo in piedi.

Cado a terra portando le mani alla gola.

Tutta la confusione che ho in testa si blocca.

Tutti i pensieri implodono e si fondono. Il silenzio regna nella mia testa.

Poi urlo.

Urlo insieme al silenzio che si è trasformato in urla nella mia testa.

Centocinque urla squarciano quel silenzio.

Alison, ti siamo mancate?

Non ho preso le pillole in questa settimana e le voci sono tornate.

Riescono a controllare ogni singola cellula del mio corpo. L'unica forza più forte di me. Il mio corpo trema sotto l'ascolto di quelle fottutissime voci. Mi avvolgono in un fascio di vibrazioni che al contatto con la mia pelle bruciano, come se la pelle fosse bucata da carboni ardenti.

Mi costringo ad arrivare nella mia stanza, trascinandomi a terra.

Non riuscirai a seppellirci per sempre.

Mi aggrappo alle lenzuola del letto e cerco di tirarmi su, ma un forte dolore al ventre mi fa ritornare sdraiata per terra. Stringo il labbro tra i denti facendolo sanguinare.

Ti possediamo. Siamo dentro di te. Ti comandiamo. Non moriremo fino a quando non morirai con noi.

Infilo la mano sotto il cuscino e cerco a tentoni le otto pillole. Continuo a tremare e riesco a fare movimenti limitati. Il mio corpo si sta come raffreddando, congelarsi, indurirsi.

Riesco a prendere in un pugno le pillole e le porto una alla volta alla bocca. Ne mando giù una, poi un'altra e un'altra ancora. Alzo la testa al soffitto per cercare di ingoiarle meglio. All'ottava pillola il tremore diminuisce fino a scomparire. Resto sul pavimento, ma poggio le spalle al letto e osservo il muro davanti a me.

Le due parti di cartellone giacciono a terra. Sento la mancanza della mia città, sento la mancanza delle mie cose, dell'aria aperta, di ogni piccola cosa. Voglio tornare alla normalità, voglio fare tutto ciò che ho sempre fatto, voglio tornare a convincermi di essere normale. Chiudo gli occhi. Quando ero libera, fuori da questo posto, mi piaceva passare le giornate a cercare di ascoltare il mondo. Non semplicemente ascoltare, ma essere un tutt'uno con le vibrazioni dei suoni circostanti. Ascolto.

Le urla dei pazienti, il rumore di sedie strisciare sul pavimento, il rumore di una scodella caduta, lo sbattere di una porta, il rumore del pugno di un paziente al muro, il battito di una pedina su un cartellone da gioco, il rumore delle tubature dell'acqua, le foglie pestate nel cortile, la palla che rimbalza, il rumore dei tacchi di Samantha, il vento fuori la finestra, il ticchettio di un orologio, il silenzio. Alla fine c'è sempre una parte in cui regna il silenzio. Vibrazioni lente e omogenee si susseguono creando un suono impercettibile ad ogni essere.

Mi concentro sul ticchettio dell'orologio continuando a restare con gli occhi chiusi per tremila seicento secondi. Apro gli occhi e mi alzo senza nessuno sforzo e dolore. Alzo i capelli in una coda e mi dirigo verso il giardino per incontrare Louis. Scendo lentamente le scale, non importa se mi sta aspettando da molto. È lui che ha scelto me, non io. Non ho nessuna intenzione di collaborare con lui. Cammino facendo passi fermi nel cortile e aspiro più aria che posso. Alcuni pazienti si allontanano alla mia sola vista. Vedo i capelli neri di Louis in lontananza, è seduto su una panchina e osserva dei ragazzi giocare a carte sull'erba.

Mi siedo accanto a lui e non proferisco parola, aspetto sia lui a parlare per primo.

- Invece ti conviene collaborare con me, avrai i tuoi vantaggi.-

Riesce a capire il pensiero delle persone dalla sola espressione visiva. C'è gente che per affinare questa pratica ci mette anni, invece per lui è un dono naturale.

- É quali sarebbero? Sentiamo.-

Dico mordendomi il labbro, riaprendo quindi la piccola ferita che mi ero procurata al labbro inferiore e sentendo il ferreo sapore del sangue scorrerci sopra.

- Per prima cosa, riusciremo a trovare un modo per uscire di qui.-

Dice girando a guardarmi e concentrandosi sul mio labbro insanguinato.

- E secondo, ma non ultimo vantaggio, è un modo per farla pagare a Micheal e alla sua banda da quattro soldi.-

Dice passandosi la lingua tra le labbra per poi circondarci il mio labbro inferiore e succhiare la piccola quantità di sangue che lo bagnava.
LA MORALE È SEMPRE QUELLA
FAI MERENDA CON GIRELLA
Ssssalve belle people! Piaciuto il capitolo? Passereste a leggere la mia nuova OS 'Alone Together' e le altre mie fanfiction? Vi ringrazio se lo fate. Grazie anche per i voti e le visualizzazioni. Grazie di tutto! ♡
Bye bye xx

Insane || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora