Mi metto a sedere con un balzo. La mia pelle pallida è perlinata di sudore per colpa del sonno agitato che gli incubi mi hanno portato. I lunghi capelli neri corvino mi ricadono fino a sotto le spalle. Le labbra color ciliegia mi tremano. Mi alzo controvoglia e indosso i primi vestiti che trovo nell'armadio. La sera prima, la porta era stata chiusa sicuramente da qualche poliziotto che nella mattinata era venuto a osservarmi durante la mia ultima notte fuori da una cella. Forse l'hanno chiusa per paura che li uccidessi. Beh, non li biasimo. Oggi è il mio terzo giorno di prigionia. Costretta ai domiciliari, perché i legali stanno cercando di scontare la mia pena, ma troppo pericolosa da lasciare in libertà.
Apro la porta e scendo le scale fino alla cucina, dove trovo un paio di poliziotti, i miei genitori e un uomo a me sconosciuto. Mi fa ridere il loro modo di osservare ogni mio piccolo gesto con sguardo allarmato e preoccupato. Mi avvicino al piano cottura dando le spalle a tutti e prendo una tazza dal ripiano per versarci del caffè tiepido. Mi giro poi verso di loro sorseggiando la bevanda nera.
- Signorina Evans, - dice un poliziotto - lui è il signor Hudson, il responsabile dell'ospedale di cura psichiatrica per detenuti, il CDCP. Dopo tutte le sedute psicologiche è risultato che i suoi omicidi sono stati commessi per colpa della sua instabilità mentale. Per cui è stato deciso che lei verrà mandata alla CDCP. Il signor Hudson la accompagnerà seguito da una nostra scorta.-
I presenti mi guardano aspettando una mia reazione violenta, ma mi limito a fissarli e ad annuire.
Io non sono pazza.
Vengo accompagnata al piano superiore nella mia stanza da due poliziotti. Prendo la valigia da sotto il letto e inizio a infilarci dentro i pochi vestiti che contengono il mio armadio e qualche oggetto che mi lasciano passare come effetti personali oppure oggetti che mi serviranno per la mia permanenza in questo centro.
Alcuni oggetti mi sono stati sequestrati. Prendo dal cassetto del comodino una foto di famiglia scattata qualche anno fa al parco.
L'ho uccisa io. Era mia sorella ed era davvero una persona speciale.
Porto la foto al petto stringendola e facendo un respiro profondo per evitare di lasciar scorrere le lacrime sul mio viso, alla fine la ripongo nel comodino. Ho distrutto la mia famiglia. Non ne faccio più parte ormai.
Appena finita, la mia valigia nera viene trascinata fino all'auto del signor Hudson che la ripone nel cofano.
I miei genitori non mi hanno rivolto la parola da quando mi hanno trovata sul corpo di mia sorella in lacrime mentre cercavo di salvarla.
Credo che non verranno mai a trovarmi lì. Ne sono sicura.
Ho paura di quello che succederà, del posto in cui mi porteranno. Il mio corpo è assalito da ansia e tremori. Il signor Hudson mi apre la portiera sinistra dell'auto per permettermi di sedermi sul sedile consumato. Le mie mani sono bloccate da manette. Ovviamente non lascerebbero mai una pazza assassina in libertà. Ma se avessi davvero voluto uccidere quell'uomo lo avrei fatto anche con le manette alle mani. Come uccisi la vittima 65.-Ehi Alison, ti va di andare al parco oggi dopo scuola? Sai devo ancora raccontarti come è andata con Ian l'altra sera.-
Alison ascoltava la sua amica.
- Va bene Aria. Alle 4 p.m. ci vediamo lì.-
Alison arrivò puntuale all'appuntamento e successivamente arrivò Aria che cominciò a raccontarle di cone era stato bello passare la serata al cinema con il suo ragazzo. Alison invidiava Aria, era la ragazza perfetta sia dentro che fuori. Alison voleva essere lei, voleva essere innocente e ingenua. Voleva sorridere e avere un ragazzo come lei. Ma sapeva che non lo sarebbe mai potuta essere. Lei era diversa, era pazza. Un'assassina. Non stava più ascoltando ciò che diceva Aria, il suo cervello da serial killer stava elaborando un modo per uccidere l'amica. Le voci la incitavano a ucciderla.
Uccidila Alison.
Uccidi Aria.
Starai meglio senza qualcuno da invidiare.
Uccidila ora e starai meglio con te stessa.
Nel frattempo Aria si era fermata vicino ad un albero e si era seduta a gambe incrociate. Girò la testa verso l'alto e disse sorridente: -Dai Ali, siediti vicino a me.-
Alison tremava, le pupille le si erano dilatate e il respiro era irregolare.
Uccidila.
Senza pensarci, il piede di Alison colpì la faccia di Aria che gridò. Un fiume di sangue le usciva dal naso e guardava terrorizzata Alison.
-Ti prego Ali, che ti è preso. Sono io, Aria. Sono la tua migliore amica.-
Uccidila.
Aria era completamente sdraiata a terra per colpa del calcio. Alison alzò il piede e colpì varie volte su torace della ragazza. Una costola le si spezzò e si infilò nel cuore. Così morì la vittima 65.
Con questo ricordo resto terrorizzata per tutto il viaggio. Non voglio parlare. Non voglio dormire. Non voglio essere lì. Non voglio essere ciò che sono. Giro la testa verso il finestrino e osservo il paesaggio. Sto tremando. Cerco di fermare il tremore delle mani bloccandole tra le gambe, ma non aiuta.
Cerco di pensare a come sarà il CDCP. Il signor Hudson per i primi dieci minuti di viaggio mi ha spiegato che è un centro di cura psicologica per adolescenti, ma viene utilizzato anche da riformatorio. Lì si fanno delle sedute di gruppo, alcuni possono anche frequentare lezioni, ma ha anche detto che non tutti possono svolgere queste attività. Semplice. Non tutti possono uscire dalle loro 'celle'. Dipende tutto da come loro ti giudicano. Se sei pazzo ti chiudono lì dentro fino alla morte. Se la tua pazzia è domabile, ti permettono di fare qualche attività. Come mi classificheranno? Una psicopatica senza speranza o una semplice ragazza con dei problemi mentali e una mente omicida? Nessuna delle due opzioni mi può portare a sperare che non mi chiudano in una cella a riempirmi di farmaci fino alla morte.
Hai ucciso 105 persone in un due anni.
Le voci continuano a ripetere frasi che mi tormentano.
Sei senza sentimenti.
Non meriti di vivere.
Comincio ad intravedere una grossa struttura bianca. La macchina gira verso destra, entra da un cancello in uno spazio recintato da un enorme muro e percorre un vialetto. Ai miei lati vedo solo verde. Alberi, fiori, piante e una fontana enorme alla mia destra. Alcuni ragazzi passeggiano, altri leggono, altri parlano da soli, altri si incantano a fissare il vuoto. Poi un ragazzo colpisce la mia attenzione. Sta seduto sull'erba a gambe incrociate, la testa inclinata verso il cielo e gli occhi chiusi, i capelli gli ricadono sulla fronte. Le labbra rosee fischiettano qualche nota, ma non riesco a sentirlo per colpa del motore della macchina. Giro la tetsa in avanti e leggo l'enorme insegna sopra la grande porta d'ingresso:
'Centro Di Cura Psicologica Per Adolescenti'.
Sei arrivata all'inferno, dolce Alison.