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Non ho la minima idea di quale possa essere la sua cella così inizio ad affacciarmi ad ogni finestrella con la speranza di poter scorgere Louis.
Forse non aver chiesto a nessuno di seguirmi è stato uno sbaglio o non avergli dato nemmeno la possibilità di potermi seguire, ma non riuscivo più a sopportare quel lungo silenzio di Michael interrotto da quella stupida domanda. Non ho intenzione di continuare questo suo stupido gioco del silenzio, anzi gli parlerò non appena troverò l'occasione.
Ad un tratto li sento.
Quei passi.
Passi lenti e ritmici e pesanti.
Mi giro alla ricerca di una porta aperta per potermi rifugiare cercando di non lasciare ora che le voci prendano il sopravvento.
Sì, con le pillole riesco ad addormentare quella parte del mio subconscio, ma ogni volta che mi lascio prendere dal panico loro ritornano prendendo possesso delle mie azioni e della mia mente. Nonostante io non riesca a ragionare lucidamente loro riescono a giostrarmi come una marionetta facendo sembrare il mio comportamento naturale mentre cerco con tutte le mie forze di liberarmi di loro. Riescono a farmi vivere momenti di paura e di panico a piena lucidità.
Sento i passi sopra la mia testa segno che stanno percorrendo il corridoio di sopra e che tra poco percorreranno anche questo.
Come la prima volta ogni suono si annulla e il mio udito si concentra solo su loro, i miei occhi si serrano impedendomi di potermi muovere in modo semplice e silenzioso.
Inizio ad indietreggiare tenendo sempre la mano sul muro fino a quando non sento graffiare una spalla segno di essermi completamente appoggiata al muro.
I passi si fanno più vicini e li sento ancora più forti.
Il mio cuore inizia a battere alla loro stessa frequenza lenta sebbene il mio respiro sia irregolare e le gambe iniziano a tremare così come ogni singola parte del mio corpo.
Provo ad urlare, ma le parole mi muoiono in gola.
Il pavimento trema sotto i miei piedi e l'unica cosa che riesco a fare è accasciarmi in terra.

Non ho più la forza di muovermi e contro ogni mia volontà i miei occhi sembrano incollati, sento solo un vento freddo soffiare contro di me.
Ogni volta che sento arrivare quei passi succede questa dannata cosa.
L'effetto che fanno su di me è devastante anche se sono semplici passi, ma è come se potessi sentirli solo io. Come se il mondo continuasse a girare, a proseguire il suo movimento, ma io resto bloccata in questo piccolo spazio ad avvertire l'arrivo di qualcuno che sembra non arrivare mai. Come i passi di un fantasma che si aggira per il suo castello, condannato, è rimasto bloccato qui, in questa vita e in questo luogo e anche nella mia di vita. Forse una semplice anima che vaga alla ricerca del motivo della sua condanna, forse una punizione.
E io lo sento. Lo sento parlare nella mia mente. È come se quel vento avesse invaso la mia testa congelando tutto e portando quella voce con sé che sussurra parole calme mentre il mio corpo viene avvolto dal freddo che lascia ad ogni respiro e ad ogni parola. E lo sento parlare.

Sì che mi senti.

La sua voce è diversa.
È placata mentre l'altra era piena di rabbia. È una voce abbandonata a sé stessa, consenziente, ferma e sicura.

-Che cosa vuoi da me? Perché io? Non so chi tu sia!-

Urlo il più forte possibile cercando di poter ascoltare la mia voce, ma tutto tace mentre mi avvolgo su me stessa per nascondermi da quella figura che ora sempre a passi lenti e pesanti sfila affianco la mia figura.
I passi si fermano e io stringo ancora di più la testa tra le mie mani ignorando il sangue che scorre dalle mie orecchie.

È colpa tua, solo tua. Potevi salvarlo, ma lo hai lasciato morire.

Questa volta sono le voci a parlare.
Centinaia di cornacchie che graffiano con gli artigli e con il becco il ghiaccio formato da quelle parole, che si posano pesanti, che sbattono le loro ali in ogni dove facendomi diventare la testa più pesante.
Vorrei fare qualcosa.
Volevo fare qualcosa.
Io non riesco più a pronunciare il suo nome.

Insane || Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora